Amiamo Dio con Gesù e Maria

5° Libro, Capitoli 21 a 30

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view post Posted on 14/8/2010, 15:24
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Domenico-89

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CAPITOLO XXI

MERITO DELLA BUONA VOLONTA'

Un giorno si celebrava la S. Messa per l'anima di una povera donna che doveva essere tosto sepolta. Geltrude, mossa a compassione, recitò in suo suffragio cinque Pater in onore delle Piaghe del Signore. Allora, ispirata dal cielo, offerse caritativamente per quella poveretta tutto il bene che la divina bontà aveva operato in lei, e per suo mezzo. Vide allora quell'anima posta, con onore, sul trono che il Signore le aveva preparato nei cieli. Tale seggio venne trasportato ad altezze sublimi che sorpassano i posti inferiori, quanto i Serafini sono posti al di sopra dell'ultimo coro degli Angeli.

Geltrude chiese a Gesù come mai quell'anima avesse potuto ottenere una gloria così grande, dopo le preghiere e l'offerta fatta a suo vantaggio. Egli rispose: « Ella lei ha meritato in tre modi: 1) perchè ha sempre conservato la volontà e il desiderio di servirmi nello stato religioso; 2) perchè ebbe dilezione per gli uomini giusti e per i Religiosi; 3) perchè li ha onorati e ha fatto loro del bene per mio amore. Tu puoi concludere, mirando la gloria immensa di quest'anima, come mi piaccia trovare queste tre disposizioni nel cuore degli uomini».




CAPITOLO XXII

PUNIZIONE Al DISOBBEDIENTI E AI MORMORATORI

Una persona venne a morire, dopo di avere fedelmente pregato durante la vita per le anime purganti. Siccome però, a causa della fragilità umana, non era sempre stata perfetta nell'obbedienza, preferendo talora i rigori del digiuno e delle veglie e simili austerità, alla docilità dovuta ai superiori, apparve adorna di diversi ornamenti, sotto i quali però si celavano delle pietre di peso così grande, che ci volevano parecchia persone perchè potessero trascinarla verso Dio. Stupita Geltrude seppe, per divina ispirazione, che quelle che conducevano quest'anima erano le anime del purgatorio liberate con le preghiere di quella defunta; gli ornamenti erano le preghiere che aveva recitate per esse; ma le pietre erano le disobbedienze commesse.

Le disse allora Gesù: « Queste anime, spinte dalla riconoscenza, non mi permettono di farla passare da un purgatorio ordinario, per mostrarla poi in tutto lo splendore della sua bellezza; pure è necessario ch'ella abbia da espiare le disobbedienze e i tenaci attacchi al suo giudizio». Geltrude obbiettò: « Ma non ha ella, dolce mio Signore, riconosciuto i suoi falli prima del trapasso, pentendosene dall'intimo del cuore? Ora sta scritto: Se l'uomo riconosce i suoi falli, viene da Dio perdonato! ». Egli rispose: « Sì, e s'ella non avesse riconosciuto i suoi torti, ilpeso delle pietre sarebbe stato così schiacciante che forse non avrebbe mai potuto giungere fino a me».

Geltrude si accorse allora che l'anima pareva nascondere sotto i suoi ornamenti una caldaia bollente, destinata a fondere le pietre e a scioglierle completamente. Le preghiere da lei fatte per le anime purganti ed i suffragi dei fedeli dovevano, come buoni servitori, aiutarla in quella operazione. Il Signore le fece poi vedere il cammino per dove quelle anime dovevano passare per giungere al Paradiso, sotto l'aspetto di un'asse stretta e ripida, piena di scabrosità e di difficile scalata. Coloro che volevano salire dovevano aiutarsi con le mani e tener fermo l'asse da entrambe le estremità; ciò significa che bisogna aiutare le anime con le nostre buone opere. Coloro che avevano meritato l'aiuto degli Angeli in quell'ascesa, ne avevano vantaggio grande, perchè ai lati dell'asse vi erano due orribili ceffi; erano demoni che impedivano alle anime di salire. I Religiosi ch'erano stati obbedienti, trovavano lungo quell'asse una ringhiera, alla quale potevano affrancarsi per non cadere; ma se Superiori negligenti non avevano fatto percorrere ai loro sudditi la via dell'obbedienza, l'appoggio pareva mancare e le cadute erano a temere. Le anime docili all'obbedienza camminavano con sicurezza, appoggiandosi alla ringhiera, mentre gli Angeli scostavano gli ostacoli dal loro cammino.

Un'altra defunta apparve a Geltrude con lei orecchie coperte da una specie di cartilagine, ch'ella toglieva a gran fatica con le unghie; espiava le colpe commesse, ascoltando parole di mormorazione e di maldicenza. Di più aveva la bocca foderata interiormente da una pelle compatta, che le impediva di gustare le dolcezze divine; ciò perché aveva parecchie volte parlato male del prossimo.

Il Signore le disse che, se l'anima della defunta soffriva tali pene per colpe commesse con semplicità e delle quali si era amaramente pentita tante volte, coloro che hanno l'abitudine di commettere quei peccati, subiscono un castigo assai più grave. Non solamente la loro bocca è foderata da una grossa pelle, ma questa pelle è munita di punte che, salendo dalla lingua al palato e discendendo dal palato alla lingua, le feriscono dolorosamente facendo gocciolare, in modo disgustoso, una materia nauseante. Non possono perciò essere ammessi alla divina presenza, perché appaiono odiosi agli abitanti del cielo.

Geltrude allora disse gemendo al Signore: « Ahimè, dolcissimo Gesù, Tu mi rivelavi, tempo fa, i meriti delle anime; adesso mi mostri maggiormente le sofferenze dei loro purgatorio! » Egli rispose: « Ciò avviene perchè allora le anime erano più facilmente attratte dalle ricompense; ora invece, a fatica, e ben poche sono spaventate alla vista dei più duri castighi.




CAPITOLO XXIII

DESIDERIO DELLA MORTE CHE IL SIGNORE ECCITAVA IN GELTRUDE

Nella festa di S. Martino, mentre si cantava il Responsorio: « Beatus Marttnus, obitum suum longe ante praescivit. - Il Beato Martino conobbe l'ora della sua morte, molto tempo prima», Geltrude, presa d'ardente brama, disse al Signore: «Quando dunque, o mio diletto Gesù, mi darai la stessa lieta nuova? » Egli rispose: « Presto ti ritirerò da questa vita! » Tale affermazione accrebbe i suoi desideri: da quel punto ella sospirò di morire per essere con Cristo, quantunque prima non avesse mai avuto tale desiderio.

Il mercoledì dopo Pasqua, mentre aveva ancora in bocca la Sacra Ostia, sentì queste divine parole: « Veni, electa mea, et ponam in te thorum meum - Vieni, mia diletta, porrò in te il mio trono ». Geltrude, a quel detto, comprese che, presto, si sarebbero verificate le parole che aveva intese nella festa di S. Martino: « Presto ti ritirerò da questa vita ».

Il Signore aggiunse: « Nel tempo che ti rimane da passare in terra, non vivere più per te, ma sforzati di procurare la mia gloria, seguendo le divine ispirazioni e l'ardore dei tuoi desideri». La sua morte però venne differita. Ci è permesso di credere che il Salvatore non volle toglierla dai mondo, senza che prima avesse acquistato il merito del desiderio e della preparazione alla quale era stata invitata con le parole suesposte.

E' scritto infatti che i meriti s'accrescono in proporzione dei desideri.

Una certa domenica, mentre provava un desiderio veemente di morire, Gesù le disse: « Se io dovessi compire alla tua ultima ora, tutto quello che tu hai coltivato in cuore dall'infanzia fino a questo momento, sarebbe poca cosa in confronto della grazia che la mia gratuita bontà ti ha destinato, senza che tu l'abbia desiderata ». Poi aggiunse: « Scegli ora quello che vuoi: morire, oppure rendere sempre più bella la tua anima con una lunga malattia, quantunque sappia che tu temi molto la polvere delle negligenze che accompagnano le infermità prolungate ». Geltrude inchinandosi davanti alla divina accondiscendenza, rispose: « O mio caro Signore, si compia in tutto la tua santa Volontà! ». E Gesù: « E' giusto che tu mi lasci questa scelta, ma se per amor mio, consenti a rimanere ancora quaggiù, Io dimorerò in te e ti riscalderò sul mio seno come la colomba nel nido, fino a quando ti condurrò meco nelle luminose regioni dell'eterna primavera ».

Dopo tali parole il suo desiderio della morte si placò: tutte le volte che rientrava nel suo interno, sentiva una voce interiore ripeterle quel versetto: « Columba mea in foraminibus petrae - La mia colomba è nel cavo della roccia. (Cant. dei,cant. 14).

Più tardi il suo desiderio ritornò a divampare, ed ella pregò il Signore di prenderla con sè. Ma Gesù le disse: « Può una vera Sposa avere una sì ardente brama di giungere in un luogo ove sa che il suo Sposo non potrà più abbellirla con nuovi ornamenti, ed ella stessa non potrà più offrire un dono al suo Diletto?». Infatti l'anima, dopo morte, non può nè crescere in meriti, nè lavorare per Dio.




CAPITOLO XXIV

PREPARAZIONE PER L'ETERNA DIPARTITA

Geltrude un giorno doveva comunicarsi, ma si sentiva così sfinita, che chiese al Signore se quell'estrema debolezza l'avrebbe tolta da questa misera vita. Il Signore le rispose: «Quando una giovinetta vede i messaggeri del suo fidanzato moltiplicare le visite e stringere i contratti che precedono le nozze, si sente animata ad intensificare i suoi preparativi. Cosi tu sotto i colpi del male, nulla devi trascurare per ben apparecchiarti alla morte ». Ella chiese: « Come farò a capire che è giunta l'ora tanto desiderata, nella quale mi toglierai dalla prigione del corpo? ». E Gesù: « Due Angeli, Principi illustri della Corte celeste suoneranno con le loro trombe d'oro e giungerà al tuo orecchio il dolce canto: "Ecce Sponsus venit, esite obviam ei - Ecco lo Sposo che viene, andategli incontro" (Matt. XXV, 6). E Geltrude: « Quale carro mi condurrà quando seguirò quella via regale che a Te mi conduce, o mio unico Diletto? ». Rispose Egli: « Sarà il dardo possente del desiderio divino che, sfuggendo dalle profondità del mio amore, si dirigerà verso di te, per portarti fino a me!.». Ella insistette: « Su quale seggio potrò riposare? ». E Gesù: « La confidenza piena e intera che ti farà tutto sperare dalla mia bontà, sarà il seggio per il tuo viaggio estremo ». La Santa riprese: « Quali saranno le redini? ». « Le redini saranno l'amore ferventissimo che ti fa desiderare i miei abbracci ». Ella ancora: « Siccome non so come devo disporre il resto del mio equipaggio, non mi è neppure dato di conoscere quello che devo chiedere per compiere un viaggio così desiderato! ». Gesù rispose: « Tu puoi spingere ben lungi le tue ricerche: t'assicuro però che avrai la gioia di vederle oltrepassate, perché lo spirito umano è incapace d'immaginare tutti i beni che preparo si miei eletti; tale impotenza forma la mia delizia».




CAPITOLO XXV

LA FRECCIA D'AMORE

Un certo frate, predicando un giorno nella cappellina delle Monache, disse queste parole: « L'amore è una freccia d'oro e l'uomo è padrone, in un certo senso, di tutto quello che colpisce con tale freccia. E' dunque vera pazzia attaccarsi alle cose della terra e trascurare quelle del cielo ». Queste parole infiammarono Geltrude di tali ardori da farle esclamare: « O mio unico Diletto, perchè non posso avere questa freccia? Te la lancerei tosto per colpirti, e impadronirmi per sempre di Te! ». Ella vide in quello stesso istante il Signore che si preparava a scoccare su di lei una freccia d'oro. « Tu vorresti - disse Egli - trafiggermi se avessi una freccia d'oro. Io la posseggo e ti ferirò in tal modo che tu non guarirai mai più! ». Tale freccia pareva aver tre punte: una davanti, una in mezzo, una all'estremità, per indicare il triplice effetto d'amore, che la sua ferita opera in un'anima.

La punta anteriore della freccia che trafigge l'anima, la rende per così dire, languente e le fa perdere il gusto delle cose passeggere, al punto che non vi trova più alcun piacere e consolazione. La seconda trafigge l'anima, facendo di essa una specie di malata febbrile, che chiede con impazienza rimedia ai suoi dolori: quest'anima infatti brucia di un desiderio sì ardente di unirsi a Dio, che le diventa assai penoso vivere e respirare senza di Lui. La punta posteriore trafigge l'anima e la trasporta verso beni così inestimabili, che non si può dire altro se non che tale anima è come separata dal corpo, e beve a lunghi sorsi al torrente inebriante della Divinità.

Dopo questa rivelazione Geltrude, guidata da un pensiero umano, bramava di morire nella cappella, come se il luogo ove si trova il corpo, possa contribuire ad accrescere i meriti dell'anima. Ella poneva tale domanda fra le sue solite preghiere. Ma un giorno Gesù le disse: « Quando l'anima tua uscirà da questo mondo ti porrò all'ombra della mia protezione paterna, come una mamma stringe al suo seno e copre dei suoi abiti il suo amato bimbo, quando attraversa un mare burrascoso. Pagato che tu avrai il debito alla morte, ti prenderò con me per farti gustare delizie ineffabili nella pianura verdeggiante del cielo, così come una mamma, la quale non solo vuol salvare il bimbo suo dai pericoli della traversata, ma condurlo in porto». Allora Geltrude ringraziò Dio e rinunciò al suo desiderio puerile per abbandonarsi interamente alla divina Provvidenza.




CAPITOLO XXVI

CON QUALE FEDELTA' DIO CUSTODISCE LE PREPARAZIONI DI UN'ANIMA ALLA MORTE

Un giorno, nella preghiera, Geltrude implorò la misericordia di Dio per l'ora della morte. Ricevette questa risposta: «Come potrei non perfezionare in te, quello che ho così bene incominciato? ». Ella riprese: « Caro Gesù, se Tu mi avessi tolta dal mondo quando, tempo fa, mi avevi promesso che presto sarei venuta a Te, credo che, con la tua Grazia, mi avresti trovato meglio disposta; con tutti questi ritardi, mi sento diventata negligente e tiepida! ». Rispose l'amabile Redentore: « Nelle sagge disposizioni della mia Provvidenza tutte le cose hanno il loro tempo; credilo, tutto quello che hai fatto per prepararti a ben morire è, per mia bontà, gelosamente custodito e nulla vi aggiungerai senza che io aumenti tale tesoro».

Geltrude comprese, da queste parole, che il Signore agisce come si fa nel mondo. Quando un ricco si prepara a celebrare le nozze, ha cura in tempo della messe, di raccogliere grano per la imminente festa e propaga ovunque la nuova di tale solennità; così fa al tempo della vendemmia, per la provvista del vino; tutto è custodito nei granai e nelle cantine, fino al giorno delle nozze: anche se non si parla della festa, pure le riserve sono accuratamente custodite, per venire generosamente distribuite a tempo debito. Così il buon Dio ispira talvolta ai suoi eletti di prepararsi alla morte, benchè essa sia ancora assai lontana.




CAPITOLO XXVII

APPARECCHIO ALLA MORTE

Geltrude aveva composto un'istruzione assai utile per insegnarci come pensare devotamente alla morte, almeno una volta all'anno, e prepararci con fervore a quell'ora così incerta.

Il primo giorno di tale esercizio era consacrato all'ultima malattia, il secondo alla Confesstone, il terzo all'Estrema Unzione, il quarto alla Comunione, il quinto alla morte. Ella s'impegnò a praticare quanto insegnava agli altri, e la domenica che precedeva i cinque giorni del suo apparecchio, implorò l'assistenza divina nella S. Comunione. Recitò, in quell'unione che fa dell'anima amante un solo spirito con Dio, il salmo Quemadmodum (Sal. XLI) con l'inno Jesu nostra redemptio (inno della festa dell'Ascensione, nella sua forma antica, conservato nei breviari monastici).

Le disse il Signore: « Vieni a stenderti su di me come il profeta Eliseo si è steso sul fanciullo che voleva risuscitare ». Elia chiese: « Come farò? ». Egli rispose: « Applica le tue mani sulle mie mani, cioè confidami tutte le tue opere. Applica i tuoi occhi al miei occhi, tutte le tue membra alle mie sacratissime membra, cioè unisci alle mie sante membra tutte le membra del tuo corpo coi loro atti, di modo, che, in avvenire, non agiscano che per la mia gloria, per mia lode e per mio amore ».

Ella obbedì e vide ben tosto uscire dal Cuore di Gesù, come una cintura d'oro che legava la sua animi al Signore, col vincolo di un indissolubile amore.

Al momento della S. Comunione, ricordandosi ella che si sarebbe confessata volentieri. alla vigilia se l'avesse potuto, perchè bramava il perdono di ogni colpa e negligenza, invocò il Signore il quale fece uscire da ciascuna delle sue membra dei piccoli arpioni d'oro per afferrare e racchiudere quell'anima benedetta, con la forza della sua incomparabile Divinità, così come s'incastona nell'oro una gemma preziosa.

All'indomani, siccome la sua debolezza cresceva, Geltrude recitò due volte il salmo Quemadmodum, e l'inno Jesu nostra redemptio, in memoria dell'unione della Divinità e dell'Umanità, realizzata in Cristo per la salvezza del mondo. Le parve allora che gli arpioni d'oro, che uscivano dalle membra di Gesù per imprigionare l'anima sua, fossero raddoppiati.

Al terzo giorno recitò tre volte lo stesso salmo per onorare l'unione di Cristo con la Trinità sempre adorabile, unione che prepara la nostra glorificazione; gli arpioni d'oro parvero triplicati. Infine alla quarta feria, mentre celebrava l'esercizio da lei composto sull'ultima malattia, con fervida divozione, le parve che la sua anima fosse immersa nel Cristo, come una perla incastonata nell'oro. Quell’oro aveva dei rosoni, in forma di foglie di vite, che si curvavano ai margini della perla, per darle più vivo risalto. Geltrude comprese che la Passione di Gesù Cristo, in unione della quale aveva offerto al Signore la sua ultima malattia, rendeva l'anima sua gradita allo sguardo della SS. Trinità. Nella quinta feria, essendosi messa alla presenza di Dio, si ricordò i suoi peccati e li espresse sotto forma di confessione, nell'amarezza del cuore; man mano che li ricordava, la bontà divina li cancellava, ed essi comparivano come gemme brillanti, che adornavano i rosoni d'oro di cui abbiamo parlato.

Nella VI feria, mentre faceva l'esercizio dell'Estrema Unzione, il Signore Gesù parve assisterla con tenerezza grande: dalla profondità del suo divín Cuore, faceva stillare un liquore che doveva purificare, con la sua unzione, occhi, orecchie, bocca e le altre membra. Per accrescerne lo splendore, Gesù le diede, come ornamento, i meriti delle sue sacratissime membra e le disse: « Confidami il tuo ornamento nuziale; come madre fedele lo custodirò fino al momento opportuno, e non permetterò che tu ne offuschi lo splendore, con una sola negligenza».

Ella seguì devotamente tale consiglio, il Signore chiuse nel suo Cuore sacratissimo quell'ornamento, come in un sicuro forziere.

Il sabato seguente, essendosi ella apparecchiata molto accuratamente all'ultima S. Comunione, quattro gloriosi Principi della milizia angelica le apparvero durante la S. Messa, all'Elevazione dell'Ostia, davanti al trono della divina Maestà, disponendosi uno a destra, e uno a sinistra, fiancheggiandolo, e circondandolo colle braccia; gli altri due condussero Geltrude davanti a Gesù, che l'accolse con tenerezza, la fece riposare sul suo Cuore, poi la coperse Lui stesso col vivificante sacramento dell'altare, (che teneva fra mano sotto forma di velo), e se l'unì in una felicità ineffabile.

Alla domenica, la Santa pensò al giorno nel quale renderebbe l'ultimo respiro, e siccome recitava le preghiere annesse all'esercizio della buona morte, il dolce Salvatore si degnò apparirle con la solita bontà. Con la sua mano venerabile benedisse ciascuna delle sue membra, che dovevano un giorno morire al mondo e ch'ella gli offriva perchè vivessero, d'allora in poi, unicamente per la sua gloria e il suo amore. Ricevendo. tale benedizione ciascun membro si trovò segnato con una croce d'oro, così fortemente impressa che sembrava attraversarlo da parte a parte. Quelle croci erano d'oro per significare che tutti gli atti e i movimenti di Geltrude dovevano essere nobilitati dalla virtù della divina unione: avevano forma di croce perché tutte le macchie che la fragilità umana le avrebbe fatto contrarre ancora, dovevano essere cancellate subito in virtù della Passione di Cristo.

All'Elevazione dell'Ostia, mentre offriva a Dio il suo cuore che stava ormai per lasciare il mondo, domandò al Signore, per la sua santa Umanità, di rendere pura e liberi da ogni colpa l'anima sua e per la sua altissima Divinità di ornarla con tutte le virtù. Infine lo pregò per l'amore che aveva unito la Divinità suprema, alla sua santissima Umanità, di disporla a ricevere i suoi favori.

Tosto Gesù parve aprire con le due mani il Cuore suo divino, e applicarlo con ineffabile amore a quello di Geltrude, che si trovava aperto nello stesso modo davanti a Lui. La fiamma dell'amore divino, sprigionandosi dalla fornace ardente del Cuore di Gesù, infiammò talmente quello della Santa, che parve liquefarsi e scorrere nel Cuore di Dio. Allora, da quei due Cuori, così felicemente uniti uno all'altro, s'inalzò un albero di meravigliosa bellezza. Il tronco, era formato da due fusti: uno d'oro, l'altro d'argentó, che si attorcigliavano mirabilmente come i tralci dì una vite, slanciandosi a grande altezza. Le foglie di quell'albero brillavano e parevano illuminate dai raggi del sole: il loro splendore glorificava la meravigliosa, sempre tranquilla Trinità, procurando delizie ineffabili a tutta la Corte celeste. Disse Gesù: « Questo albero è spuntato per l'unione della tua con la mia Volontà! ». Il fusto d'oro Rappresentava la Divinità, quello d'argento, l'anima unita al Signore.

Mentre Geltrude pregava per le anime che le si erano raccomandate, quell'albero produceva frutti speciali, che la fiamma dei divino amore colorava in vermiglio. Quei frutti s'inchinavano spontaneamente verso coloro per i quali Geltrude pregava, in modo ch'essi potevano coglierli con divozione e ritrarne grande vantaggio per l'eterna salvezza.

Geltrude, sentendosi poi affranta per la debolezza, si distese sul letto, dicendo: « Signore, ti offro per la tua gloria il riposo che prendo, e ti prego di gradirlo come se fosse accordato alle membra della tua santissima Umanità ». Rispose Gesù: « La virtù della mia Divinità cancelli le colpe che la fragilità umana ti farà commettere in avvenire».

La Santa chiese poi al Signore se l'avesse chiamata a sè per la malattia che la faceva allora soffrire. Egli rispose: « Questa malattia ti porrà in luogo a me più vicino. Un fidanzato, che ha la sua diletta lontana, arde d'amore per essa: allora per avvicinarla a sè, le manda una numerosa scorta di cavalieri coi loro servi che portano doni stupendi, e la rallegrano al suono dei tamburi, delle cetre, facendole corteggio con apparati lussuosi fino al suo arrivo in un castello vicino al palazzo. Là, il fidanzato va a trovarla lui stesso, accompagnato dal suo seguito di valletti, signori, baroni e, con tenero amore, le dona l'anello di fedeltà, come pegno della sua promessa. Ben presto le dà l'arrivederci, giacchè ella rimarrà in quel castello fino al giorno delle nozze nel quale la condurrà alfine, con un magnifico corteggio d'onore, alla dimora reale. E io, poichè sono il tuo Dio e ti amo con amore forte e geloso, sono con te, e in te realmente soffro tutti i dolori del tuo corpo e del tuo cuore: i miei Santi mi accompagnano su questo cammino regale, e partecipano alla tua grande felicità. I liuti, i tamburi, i doni che ti offrono in tale viaggio, non sono altro che le sofferenze e gli incomodi della malattia: strumenti di musica armoniosa, essi mi risuonano continuamente all'orecchio, mi piegano a sensi di pietà ed eccitano l'amore del mio divìn Cuore a colmarti di benefici, per attirarti e unirti sempre più a me. Quando avrai meritato il posto che ho prefisso per Te, e le tue forze, ormai sfinite, ti faranno capire che la morte è vicina, allora, davanti a tutti i Santi, ti darò il bacio soavissimo e l'anello dello sposalizio cioè il sacramento dell'Estrema Unzione. Esso sarà un bacio perchè in te diffonderò veramente l'unzione, con la dolcezza del mio soffio divino; tale unzione penetrerà in modo così intimo l'anima tua, che nessun pulviscolo di colpa, o di negligenza che potrebbe distogliere da te il mio sguardo non potrà più sfiorarti. Più tu affretterai il momento dell'Estrema Unzione e più la tua felicità sarà grande. In tale stato tu sarai a me così vicina, che quando mi disporrò a condurti nel mio eterno regno, ne sarai interiormente avvertita, a motivo appunto di tale prossimità, e tutto il tuo essere trasalirà di allegrezza nell'attesa della mia venuta. Io verrò raggiante di gioia, e prendendoti nelle mie braccia, ti farò attraversare il torrente della morte temporale, per condurti, immergerti e assorbirti nell'oceano della mia Divinità, ove, diventata uno stesso spirito con me, regnerai nei secoli dei secoli. Sarà appunto allora che, in ricambio delle dolci armonie che le tue sofferenze mi avevano fatto gustare durante la malattia, la musica celeste risuonerà al tuo orecchio. Tu dividerai le delizie che la mia Umanità gode ora, in compenso dei dolori sofferti in terra per la salvezza degli uomini».

E Gesù aggiunse: « L'anima che desidera essere confortata in punto di morte con tali grazie, deve aver cura di rivestirsi ogni giorno di abiti magnifici, cioè d'imitare le opere della mia santissima vita; deve salire sul carro del corpo, e lasciarsi guidare in tutto dalla grazia; sforzarsi di soggiogare la natura e porre nelle mie mani le redini del corsiero, cioè affidarmi la direttiva della volontà, credendo, con fiducia che la mia bontà saprà condurla paternamente al vero bene. Non mancherà d'offrire per la mia gloria tutti i suoi dolori, e io in ricambio, l'ingemmerò di perle preziose e di vari ornamenti. Se, per l'umana fragilità, riprenderà talora le redini che m'aveva affidate, per seguire la sua volontà, cercherà di cancellare con la penitenza tale colpa, rimettendo di nuovo la sua volontà fra le mie mani. Allora sarà ricevuta dalla destra della mia misericordia, che la guiderà con onore al regno dell'etema luce».

La domenica seguente, mentre Geltrude celebrava la gioiosa festa del suo prossimo transito, che l'avrebbe ammessa alla presenza della SS. Trinità, si mise a contemplare, in una specie di estasi, i meriti e i gaudi di ciascun ordine degli Angeli e dei Santi, trovando ineffabili delizie nel considerare i beni di cui sono colmati, ringraziando a nome loro dall'intimo del cuore. Ella lodò pure il Signore, per l'onore, grazia e gloria di cui ha arricchito la Vergine Maria; nè mancò di supplicare la stessa Madre celeste perchè si degnasse, per amore di Gesù, supplire alla sua indigenza, offrendo per essa al Signore tutte le virtù della sua anima verginale, che erano state a Lui più gradite.

Allora la Regina del cielo, spinta da questa supplica, offerse a Gesù la sua castità verginale, quasi manto di splendente candore; la sua dolce umiltà sotto forma di una tunica verde; il suo fedelissimo amore, sotto quello di un paludamente purpureo.

Il Salvatore rivestì Geltrude di quelle virtù, e tutti i Santi, rapiti di vederla così meravigliosamente adorna, si alzarono chiedendo a Dio di diffondere su di lei tutte le grazie che loro stessi avrebbero ricevuto, se si fossero convenientemente preparati.

Gesù alla nobile preghiera degli eletti, pose sul petto della sua Sposa una magnifica collana, adorna di preziosissime gemme: ciascuna di esse pareva assorbire le grazie che gli eletti non avevano potuto ricevere per difetto di preparazione. Non bisogna però concludere che una sola persona possa essere arricchita dei favori che le altre hanno trascurato, ma solo capire come la riconoscenza prepari un'anima a ricevere, in una certa misura, le grazie di cui altre non hanno voluto approfittare.




CAPITOLO XXVIII

CONSOLAZIONE DATA A GELTRUDE DAL SIGNORE E DAI SANTI

Una volta Geltrude, mentre con raccoglimento pensava alla morte, disse al Signore: « Oh, come sono felici e ben difesi coloro che meritano di essere consolati, nel loro transito, dai Santi! E' una gioia alla quale però non posso aspirare perchè non ho reso omaggi speciali a nessun Santa. Credo persino di non avere neppur desiderato d'ottenere la loro assistenza in morte, ma soltanto la tua, o Gesù, unica delizia dell'anima mia e santificatore di tutti gli eletti! » Rispose Gesù: « Tu non sarai priva dell'assistenza in morte dei Santi, per avermi preferito, com'è giusto a essi; anzi si faranno una gioia di soccorrerti e di circondarti di mille tenerezze. All'ora della morte, quando gli uomini sentono la più grande angoscia, essi ti colmeranno di consolazioni. Quando quell'ora benedetta sarà scoccata, Io stesso mi presenterò si tuoi sguardi, pieno di grazia, d'incanto, di delizie, col fascino della mia Divinità e della mia Umanità ».

Chiese allora Geltrude: « Quando mai, o fedelissimo Amico, mi condurrai dalla prigione dell'esilio al riposo della beatitudine? ». Egli rispose: « Quale sposa regale vorrebbe ascoltare presto le acclamazioni e i voti del popolo suo, lamentandosi che lo sposo ritarda, quando il suo diletto sa, durante questo indugio, colmarla delle carezze e dei baci del suo amore? ». « Ma Gesù - insistette Geltrude - quali delizie puoi trovare in me, che sono il rifiuto delle creature e come osi paragonarle ai segni di reciproco affetta fra sposo e sposa? ». Rispose il Salvatore: « Queste delizie le provo dandomi a te nel S. Sacramento dell'altare, in quell'unione che non esisterà più, dopo la terrena vita: essa ha per me un incanto infinito, di cui le dimostrazioni dell'affetto umano, non possono dare la minima idea. Gli amori umani passano col tempo, ma la dolcezza di questa unione, con la quale mi dò a te nell'Eucarestia, non può attenuarsi giammai. Al contrario, più si rinnova, più prende di vigore e di efficacia ».




CAPITOLO XXIX

FEDELI PROMESSE DI DIO E PRIVILEGI

Il Signore, come già si è detto, l'animava in vari modi a desiderare la morte. Poco tempo dopo ella fu colpita da una malattia di fegato, che venne dichiarata dai medici inguaribile. Geltrude ne ringraziò, con immenso giubilo, il Signore e gli disse: « O mio Gesù, benchè per me la felicità suprema sarebbe di abbandonare la prigione del corpo per unirmi a Te, pure, te lo dichiaro apertamente, se il voler tuo fosse contrario alle mie brame, vorrei restare quaggiù fino al giorno del giudizio, e vivervi per la tua gloria, in un'estrema miseria».

Le rispose il Salvatore: « La tua buona volontà ha davanti al mio sguardo lo stesso effetto, come se fosse stata eseguita a perfezione ». Dicendo quelle parole il Signore parve sentire tali delizie, e ciascuno dei sensi della sua Umanità deificata lasciò scorrere un nettare prezioso nel quale i Santi attingevano gloria, gioia, felicità. Le disse Gesù: « Nel giorno in cui ti attrarrò a me, le montagne, cioè i Santi, stilleranno questa dolcezza, perché, per aumentare la tua beatitudine, i cieli spanderanno miele su tutta la terra. E le colline, cioè gli abitanti terreni, lasceranno scorrere latte e miele, dopo d'aver ricevuto, per i tuoi meriti, le consolazioni della grazia ».

Geltrude accolse con commossa riconoscenza una risposta così amabile. Per accrescere la sua gratitudine ella medìtò tutte le promesse del genere che lo Sposo divino le aveva fatto o direttamente, o per mezzo di altri, poi ringraziò Dio con acceso fervore.

La divina bontà le aveva promesso, nella sua illimitata ampiezza, che l'amore avrebbe consumato veramente tutte le sue forze. Difatti nessuna morte doveva rapirla, se non la nobile potenza dell'amore, che prevalse contro il Figlio di Dio, separando l'anima sua preziosa dal suo santissimo Corpo.

In seguito, per una deliberazione della SS. Trinità sempre adorabile, lo Spirito Santo aveva ricevuto la missione di compiere felicemente in Geltrude, in virtù delle sue divine operazioni, tutta ciò che doveva realizzarsi in essa, durante la malattia e all'ora della morte. Doveva cioè agire con lo stesso amore col quale aveva operato ineffabilmente l'Incarnazione, nel seno della Vergine.

L'amore si sarebbe fatto inoltre servitore dell'eletta di Dio, e tutte coloro che l'avrebbero curata nell'ultima malattia, sarebbero state largamente ricompensate dalla divina liberalità, perché l'amore divino verrebbe, a sua volta, a servirle nelle stesse circostanze.

Sul punto di spirare Dio avrebbe accordato a Geltrude tutte quelle grazie che a una creatura è dato ricevere in quell'ora suprema. Una grande moltitudine di peccatori farebbe vera penitenza, per un effetto della gratuita bontà di Dio, e coloro che avrebbero dovuto un giorno pervenire alla grazia, sarebbero stati allora preparati, in una certa misura. Di più molte anime purganti sarebbero liberate, e per accrescere la gloria e i meriti di Geltrude, entrerebbero con essa nel regno celeste, come famiglia della sposa.

La Verità divina, le aveva fatto ancora altre promesse chiunque pregherebbe per lei, avrebbe sentito personalmente l'effetto della sua supplica. Lodando poi e ringraziando Dio dei doni a lei fatti, si sarebbero ottenuti i medesimi favori, se non subito, almeno a tempo opportuno. E se dopo tali lodi e ringraziamenti, si fosse domandata una grazia in nome dell'amore col quale Dio l'aveva scelta da tutta l'eternità, l'aveva dolcemente attirata a sè, se l'era intimamente unita, aveva gustato in essa le più pure delizie, per consumarla infine felicemente nel divino amore, si sarebbe stati infallibilmente esauditi, purché si domandassero cose vantaggiose per la salvezza eterna.

Infine il Signore aveva giurato, nella verità della sua Passione e sotto il sigillo della sua preziosissima morte, di ricompensare chiunque pregherebbe caritatevolmente per lei negli ultimi istanti, o dopo la sua morte, per ottenere tutte le protezioni e i soccorsi che si possono desiderare per se stessi in quella circostanza, con l'intenzione di raccomandare al Signore, insieme a Geltrude, anche coloro per i quali Dio desidera di essere pregato.

E' bene, prima d'incominciare la preghiera, offrirla al Signore in unione dell'amore che l'ha fatto discendere dai cielo in terra, per compiere l'opera della Redenzione. Dopo le preghiera bisogna rinnovare quest'offerta, in unione all'amore col quale il Signore sofferse crudele morte che presentò al Padre con tutto il frutto della sua santa Umanità nel giorno dell'Ascensione. In tal modo si riceverà all'ora della morte tutto quello che sarà stato fatto nel mondo per l'eletta del Signore, e si godrà come se si fosse soli a domandare questi favori, con grande divozione.




I. Come il Signore promise a Geltrude di esaudirci.

Noi saremo giudicati secondo lo stato dell'ultimo momento! La cosa più importante per noi, è di pregare Dio per fare una buona morte. Siamo però cosi oppressi dal peso dei nostri peccati, che ci torna difficile essere esauditi; pertanto, se vogliamo giungere felicemente in porto, dobbiamo supplicare il Signore di accordarci, per i meriti di Geltrude, una morte più santa di quella che avremmo potuto ottenere con le nostre sole forze.

Infatti il Salvatore ha giurato, per i dolori della sua Passione e della sua morte innocente, che colui il quale si rivolgerà alla Sua Sposa diletta, mentre ella è ancora in vita, alla sua morte, o nello scorrere dei secoli, sarà esaudito oltre i suoi stessi desideri.




II. Preghiera per ottenere una buona morte, simile a quella di Geltrude.

O Gesù, amantissimo Signore, ti saluto, ti lodo in mio nome e in quello di tutte le creature, perchè hai abbandonato la compagnia degli Angeli per venire a incarnarti in questa valle di lagrime, in un eccesso d'amore per l'uomo che Tu avevi creato. Accordami, o dolce Signore, come alla tua Sposa Geltrude un felice transito dalle miserie della vita, alle gioie dell'eternità; la tua gratuita bontà estenda poi questa somma grazia, a tutti coloro che prediligi con amore speciale. Ti prego, per la tua Santa Circoncisione, di lavare tutti i miei peccati nel Sangue vermiglio che scorse dal tuo delicatissimo Corpo; Ti supplico per la santa tua vita e opere perfettissime, di perdonare le mie negligenze e tutto quanto ho fatto, opponendomi alla tua santa Volontà. Adornami con l'abbondanza delle tue virtù, liberami, per la straziante tua agonia nell'orto, da tutte le angosce. Ti prego, per il giudizio falso e iniquo di Pilato, di giudicarmi secondo la tua infinita misericordia, e non secondo la mia fragilità. Ti supplico per la flagellazione e la coronazione di spine di perdonarmi il mio orgoglio e la mia presunzione. Ti prego per il peso opprimente della Croce e per tutte le tue sofferenze, di rendermi partecipe dei tesori della tua Passione, per supplire alle mie trascuratezze nell'osservanza della S. Regola. La tua santa morte mi ottenga tramonto sereno e cristiano; fa che, dopo una sincera Confessione, possa ricevere il Sacramento dell'Estrema Unzione. Il santissimo tuo Corpo sia l'ultimo mio cibo, e il viatico per passare da questa vita al cielo. Purificami nel tuo prezioso Sangue, da tutti i miei peccati e l'anima mia mi sfugga dalle labbra, così pura, chiara, incontaminata come uscì dalle mani di Dio. Te ne scongiuro, per la tua morte, cancella in me ogni macchia e togli tutto quanto ha potuto dispiacerti. Gli abitanti del cielo e della terra, a Te si uniscano, o caro Gesù, per pagare al Padre celeste il debito della sofferenza e della penitenza che io non avessi ancora saldato.

Guardami con bontà, e tutti gli Angeli, i Santi, gli eletti mi mirino pietosamente nell'ora del trapasso.

Proteggimi da ogni avversità, perché sia subito introdotta nell'eterna gloria. Ricordati, o Padre celeste, che il tuo Figlio unico ti ha offerto, nel giorno dell'Ascensione, sofferenze, virtù, meriti in misura sovrabbondante, non solo per pagare i debiti della mia anima, ma di tutto il mondo e di mille mondi. Abbi dunque pietà di me e dammi la tua ricchezza in cambio della mia povertà. Se avessi ancora, qualche debito, dì al tuo Figlio di pagarlo, perchè possiede tutto abbondantemente e dà volentieri ogni cosa, giacchè per noi ha sofferto ed è morto.




III. Chi ringrazia Dio per i cinque motivi seguenti, otterrà quello che Gesù ha promesso con giuramento di dare a Geltrude.

O felicissima Sposa di Gesù Cristo, S. Geltrude, io ringrazio con tutto il cuore il tuo divino Sposo per i beni di cui ti ha colmata.

Grazie, o Gesù, che l'hai eternamente predestinata a' tuoi favori!

Grazie, o Gesù, di averla attirata amorosamente a Te! Grazie, o Gesù, d'aver unito il tuo Cuore ai suo cuore!

Grazie, o Gesù, d'esserti preparato nel suo cuore una gradita dimora!

Grazie, o Gesù, d'aver consumato l'opera della sua santificazione e d'averla degnamente coronata in cielo!

O eletta Sposa di Gesù, S. Geltrude, mi rallegro con Te per tanti doni e ti prego d'accordarmi, in virtù della tua promessa, le grazie che più mi stanno a cuore e la gioia immensa di raggiungerti in cielo con tutti i miei cari.




CAPITOLO XXX

DOLCE RIPOSO

Più tardi il Signore apparve a Geltrude come Colui la cui bellezza sorpassa infinitamente la bellezza dei figli degli uomini. Pareva accoglierla con tenerezza fra le sue braccia e prepararle un nido di riposo sul lato destro presso il suo divin Cuore, sorgente di ogni beatitudine. Vi poneva, quasi letto di riposo, i crudeli dolori del suo santissimo Corpo, sofferti sulla Croce per la salvezza del mondo e l'anima doveva trovarvi la sua eterna salvezza. Poneva sotto il capo, a modo di guanciale, lo strazio provato sulla Croce a causa dell'inutilità della sua Passione, per un gran numero di anime. I candidissimi lenzuoli erano l'estrema desolazione a cui fu ridotto quando Egli, l'Amico più fedele, si vide abbandonato da tutti gli amici, arrestato crudelmente come un ladro, legato senza pietà, condotto a morte ed insultato, beffeggiato, oltraggiato dai suoi nemici. Il Signore la coperse infine di tutti i frutti della sua morte preziosa, perchè fosse santificata, secondo il disegno della divina bontà.

Mentre Geltrude riposava dolcemente sul lato destro dei Figlio di Dio, rivolta verso il suo amantissimo Cuore, ella vide quel Cuore divino, sorgente di ogni bene, distendersi davanti a lei come un giardino celeste, ove sbocciava il grazioso sorriso di tutte le spirituali bellezze. L'alito che sfuggiva dalle labbra della santa Umanità di Gesù vi faceva germinare un'erba verdeggiante, mentre i pensieri del suo santissimo Cuore, sotto la forma di rose, di gigli, di violette e d'altri fiori magnifici, vi diffondevano delicati profumi.

Le virtù del Signore parevano una vigna feconda, la vigna d'Engaddi i cui frutti sono squisitamente dolci. Ora gli alberi delle virtù divine e le vigne delle amabili parole, stendevano intorno all'anima di Geltrude i rami per colmarla di delizie. Gesù nutriva quell'anima cara coi frutti di quegli alberi e la dissetava coi vino della vite. Tre ruscelli di limpidissima acqua sembravano zampillare dal centro del divin Cuore, ma lungo il loro corso meraviglioso, mescolavano le loro acque. Le disse il Signore: « All'ora della morte berrai di quest'acqua e l'anima tua vi attingerà una perfezione così compiuta che non ti sarà più possibile vivere nella prigione del corpo; intanto contempla questi ruscelli con delizia, per accrescere i tuoi meriti eterni».

Avendo Geltrude chiesto al Padre di mirarla attraverso l'innocentissima Umanità di Gesù, che fu pura, illibata, adorna di virtù per l'unione con l'eccellentissima Divinità, meritò di sentire gli effetti di tale preghiera. Ella chiese ancora: « Dammi, o Padre amantissimo, la dolce benedizione della tua tenerezza ». E il Signore, stendendo la Mano onnipotente, tracciò su di lei il segno della Croce. Tale benedizione, colma di grazie, parve formare al di sopra del suo letto una tenda dorata, ove erano sospesi tamburelli, lire, cetre ed altri strumenti di musica, tutti in finissimo oro essi simboleggiavano i frutti inestimabili della Passione santissima di Gesù e procuravano a quella eletta godimenti nuovi, variati, ineffabili.

Mentr'ella riposava fra tante delizie, non era più una malata trattenuta sul letto del dolore, ma una Sposa diletta che gustava le gioie delle nozze, o meglio, un'anima assetata di Dio che, dopo d'aver ricevuto la fecondità di Lia, beveva avidamente la dolcezza degli amplessi, così a lungo desiderati da Rachele. Dolcemente accarezzata dal soffio della divina misericordia, ella ricordava la lunga sterilità degli sforzi passati; quel ricordo non solo era senza amarezza, ma giocondo per f beni di cui il Signore la colmava. L'abbondanza dei pingui pascoli, ove Gesù l'aveva posta, le permetteva di riparare le passate negligenze e d'aumentare la perfezione, il pegno, la bellezza delle sue opere.

Perciò ella riunì alcune preghierine, altre ne compose più ferventi ancora, e volle dirle ordinatamente in nome delle membra del suo corpo, per riparare le negligenze ch'ella credeva d'aver avuto nella recita delle Ore canoniche, nell'Ufficio della Beata Vergine e dei defunti. Volle pure riparare l'imperfezione delle sue virtù, perchè le parve di non aver praticato abbastanza l'amore di Dio e del prossimo, l'umiltà, l'obbedienza, la castità, la concordia, la riconoscenza, l'unione alle gioie e alle pene del prossimo. Credeva pure di dover riparare per le opere di pietà nelle quali le sembrava di essere stata trascurata e specialmente nella lode divina, nello spirito di riconoscenza, nella correzione. della vita e nella meditazione; ella estendeva la, sua intenzione riparatrice alla Chiesa universale.

Geltrude non s'accontentava di recitare, per tali scopi una preghiera sodisfatoria, ma vi aggiunse duecentoventicinque brevi aspirazioni, in nome di tutte le membra del suo corpo, e un Pater con un'Ave dopo ciascuna di esse. Tutte quelle preghiere erano così soavi che, non solo, portavano i cuori a divozione, ma attraevano col loro incanto il Cuore di Dio, Re e Sposo di eterne delizie.

In seguito Geltrude si sforzò di pagare tutti i debiti, secondo le promesse che Gesù, Verità infallibile le aveva fatto. La sua confidenza era invincibile, pure ella non dimenticava mai la sua miseria e, con le suddette preghiere, s'applicava a rendersi meno indegna dei favori ch'ella sperava fermamente di ricevere dalla liberalità di Dio.

Infine Geltrude rilesse, punto per punto la S. Regola, accompagnando ciascuna parola da suppliche ferventi e da profondi sospiri, che supplivano alle sue negligenze, e nobilitavano tutti i suoi atti.

Dopo quei ferventi esercizi, ella concentrò le sue forze fisiche e morali a cose più elevate; ridisse migliaia di volte i versetti che meglio esprimevano l'ardente fervore delle sue brame, per attrarre fino nelle profondità dell'anima Colui che la faceva languire d'amore. Inalzò poi la sua intenzione per quanto le fu possibile, unendosi all'amore e alla gratitudine che le Persone della SS. Trinità si tributano fra loro, facendosi con ciò l'interprete dell'intera creazione.

In seguito ella ridisse ancora, con confidenza, questo versetto che le ritornava continuamente alla memoria: « Desiderate millies! ». E aggiungeva: « Veni jestinans propere - Vieni affrettati! ». « Sitivit anima mea (Sal. XLI). La mia anima è assetata ». « Tuus pi aevalens amor - Il tuo amore prevale » con la preghiera: « O Padre amantissimo ti offro la santa vita ecc. (Vedi Libro II, cap. XXIII: ma là comincia con queste parole: « Tutta penetrata ancora da quel ricordo ecc.). Questa preghiera le era stata ispirata da Dio stesso e gli effetti meravigliosi della medesima, dovevano applicarsi anche a tutti coloro che l'avessero recitata con fede e divozione. Geltrude praticò questo esercizio durante tutta la malattia, senza che l'estremo esaurimento delle forze glielo impedissero. Ogni giorno, fedelmente, offriva riparazioni per i peccati commessi con le membra, del suo corpo, a meno che l'amore non la portasse ad atti più sublimi.

Nell'abbondanza delle delizie, di cui il suo spirito così spesso si nutriva, ella si effondeva in preghiere ed esortazioni così dolci, con le persone che la visitavano, che tutti facevano a gara di servirla, onde gustare i suoi amabili colloqui. Pu appunto questo motivo che indusse molti a pregare Dio perchè prolungasse un'esistenza così preziosa; è fuori di dubbio che Dio, il quale ascolta sempre le preghiere degli umili, le abbia, conservato la vita per accrescere i suoi meriti e per favorire la carità delle Monache.

Ecco i passi dell'inno più sopra citato Desiderate millies

Mi Jesu, quando venies? Me laetum quando facies? De Te- quando me saties? Veni, Veni, Rex optime, Pater immensa¢ gloria¢: Efulge clare laettus: Jam expectamus saepius. Ut mala nostra superes Ut mala nostra supereos Partendo et voti compotes Nos tuo vultu saties.

E tu, mille volte desiderato, O mio Gesù, quando vieni? Quando mi farai felice? Quando potrò in Te saziarmi? Vieni, Vieni o Re dei re, Padre della gloria infinita: Portami la gioia e la luce Che attendo da tanto tempo. Il tenero tuo amore ti spinga a trionfare della nostra malizia: Perdonaci, esaudisci i nostri voti, e saziaci nella vista del tuo Volto.

Edited by Domenico-89 - 24/6/2016, 05:39
 
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