Amiamo Dio con Gesù e Maria

5° Libro, Capitoli 1 a 10

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view post Posted on 14/8/2010, 15:27
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Domenico-89

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L'ARALDO DEL DIVINO AMORE - RIVELAZIONI DI S. GELTRUDE

LIBRO QUINTO

PREFAZIONE DI LANSPERGIO


Questo quinto libro fornisce salutari rivelazioni che c'insegnano come bisogna prepararsi alla morte, accoglierla con gioia e rassegnazione, implorando l'aiuto di Dio e dei Santi. Si vede anche come l'equa censura della divina giustizia renda a ciascuno, dopo la morte, secondo le opere compiute, quantunque la misericordia di Dio abbia preparato, per quelli che muoiono nella carità, un aiuto potente nelle preghiere e nelle buone opere dei viventi.

In questo libro sono riportate alcune pratiche di devozione utilissime ai defunti, i quali sono soprattutto suffragati dalle offerte attinte nel tesoro infinito dei meriti di Gesù Cristo. E' una glorificazione meravigliosa della misericordia di Dio, della ineffabile dolcezza della sua bontà che concede a tutti gl'infelici peccatori un rimedio, col quale possono, se vogliono, liberare se stessi e gli altri dalle colpe e dalle pene dovute al peccato.


PROLOGO:


Siccome il Signore rivela talvolta, per il bene dei meriti dei defunti, per eccitarci coi loro esempi a respingere gli ostacoli ed ottenere le eterne ricompense; così ci e parso opportuno raccogliere in questo ultimo libro quanto il Signore volle rivelare a Geltrude, riguardo a parecchie anime. Si parla dapprima dell'affabile, gloriosa, venerabile Abbadessa Geltrude di Hackeborn della quale si è stimolati ad ammirare la vita, quantunque difficile ad imitarla; e spinti a ringraziare il buon Dio che volle colmarla di doni tanto eccelsi.


CAPITOLO I. - GLORIOSO TRAPASSO DI GELTRUDE DI HACKEBORN, SECONDA ABBADESSA DEL MONASTERO E SORELLA DI S. MATILDE


Geltrude di Hackeborn fu veramente grande, piena di Spirito Santo e degna di tutta la nostra filiale tenerezza. Bisogna renderle lode e onore perchè durante quaranta anni e undici giorni, ella esercitò la carica abbaziale con saggezza, prudenza, soavità e discrezione ammirabile, a la gloria di Dio ed a bene delle anime.

Aveva ardente amore per Dio, tenerezza e sollecitudine incomparabile per il prossimo, disprezzo profondo per se stessa.

La sua umiltà la portava a visitare gli ammalati, a soccorrerli, a servirli colle sue mani: li consolava, si sforzava di farli riposare e voleva sollevarli in tutti i loro bisogni, cosa che faceva spendendosi completamente, fino a quando la tenerezza delle sue figlie, non subentrava a porre un limite alla sua dedizione d'amore. Spesso era la prima nei lavori più pesanti, si faceva un onore di scopare il chiostro, riordinare la casa, e talora si affaticava da sola, fino a quando il suo esempio e le sue dolci parole trascinavano amabilmente le Suore a venirle in aiuto.

La sua esimia virtù aveva irradiato splendori durante tutta la vita: rosa di meravigliosa freschezza, era la compiacenza di Dio e degli uomini. Dopo quaranta anni e undici giorni di fecondo Superiorato, fu colpita, da una malattia, chiamata piccola apoplessia.

Coloro ch'ebbero il bene di conoscerla sanno quanto penetrò nell'anima delle sue figlie lo strale scoccato dall'Ormipotente per attrarre a sè, e togliere dalla terrestre miseria quell'anima così nobile e così ricca di virtù!

Noi non pensiamo che possa esservi stata in tutto il mondo creatura dotata dai Signore di doni naturali, gratuiti e nascosti, più ricchi e preziosi. Infatti, benché il numero delle persone che aveva accolto e educato nella vita religiosa sorpassi di molto il centinaio, pure non abbiamo mai sentito dire che alcuno ispirasse maggior affetto di lei e potesse esserle preferita. Basti dire che alcune bimbe, di non ancora sette anni, ricevute nel Monastero, ed incapaci di discernimento, erano talmente attratte dalla sua bontà appena l'ebbero conosciuta per madre della loro anima, che la preferirono tosto al babbo, alla mamma ed a tutti i parenti. Sarebbe troppo lungo diffondersi in particolari e dire com'era giudicata dagli estranei che la vedevano e raccoglievano le sue parole, ricche di sapienza celeste. Tornino tutti questi doni che le furono accordati, in lode e ringraziamento a Dio, abisso infinito e sorgente di ogni bene!

Quando dunque questo raggio di sole parve scomparire sotto le ombre di morte, le figlie, temendo con la perdita di si luminoso esemplare di saggia direttiva, d'una Madre sì tenera, di deviare dal retto sentiero della perfezione, si rifugiarono, con slancio dei cuore, nel Padre delle misericordie, implorando, con insistenti suppliche, la guarigione della loro Madre. Dio, che è la bontà suprema dalla quale tutto ciò che è buono riceve cose buone, non sdegnò le preghiere di quelle anime desolate; ma siccome il rendere la salute all'inferma non entrava nei disegni della sua Provvidenza, volle tuttavia consolare le figlie, mostrando la beatitudine della loro Madre. Perciò esaudì le loro suppliche; dando loro, per mezzo di Geltrude, risposte piene di conforto, come si vedrà in seguito.

Una volta infatti, mentre Geltrude pregava per la malata, desiderando conoscere il suo stato, il Signore le disse: « Ho atteso questo tempo con gaudio ineffabile, per condurre la mia Sposa nella solitudine e parlarle cuore a cuore. Il mio desiderio si attua, perchè ella entra in tutte le mie vie e compie in ogni cosa la mia Volontà ». Tali parole significavano che la malattia è quella solitudine ove Gesù parla al cuore della sua diletta, più che alle sue orecchie; le sue parole non colpiscono l'orecchio del corpo, perchè le parole che si rivolgono al cuore sono più sentite che ascoltate. Le parole del signore alla sua eletta sono le tribolazioni e le angosce ch'ella prova pensando che la malattia la rende inutile, ch'ella perde il tempo, che le consorelle affaticandosi intorno a lei, lo perdono esse pure, giacchè non le sarà dato di poter guarire. Ma ella risponde a tali tentazioni nel modo da Dio desiderato, cioè, custodendo la pazienza e non bramando che una sola cosa, cioè che in essa si compia la divina Volontà.

Questa risposta si fa sentire fino in cielo, non in modo umano, ma per mezzo dello strumeno divino del Sacro Cuore di Gesù, ove risuona per allietare la SS. Trinità e tutta la Corte celeste. Infatti il cuore dell'uomo non potrebbe certo accettare volontieri la sofferenza per compiere la Volontà di Dio, se tale disposizione non fosse riversata nell'anima sua dallo stesso Cuore di Gesù Cristo; è dunque per mezzo di questo Cuore divino, che tale risposta può riecheggiare in cielo.

Disse ancora il Signore: «La mia eletta compie i miei più cari desideri, accettando i dolori della malattia, lungi d'imitare la regina Vasthi che disprezzò gli ordini d'Assuero, quando quel re le ordinò di entrare col diadema in testa, perchè i grandi della corte potessero, contemplare la sua bellezza. Io pure voglio far risplendere la magnificenza della mia Sposa davanti all'adorabile Trinità ed a tutta la Corte celeste, perciò la tormento con gli spasimi della malattia. Ma ella compie i desideri del mio Cuore, accettando con tranquillità, pazienza e discrezione í ristori che il suo stato reclama: ciò le varrà grandi gradi di gloria, perchè deve superare se stessa per agire in tal modo. Ella però deve farsi coraggio pensando che, grazie alla mia bontà infinita « diligentibus omnia eooperantur in bonum - Tutto coopera al bene di coloro che amano » (Rom. VIII, 28).

Un'altra volta, mentre Geltrude pregava per la malata, Gesù le disse: « Talvolta mi compiaccio di mirare, la mia eletta che sta preparandomi doni graditi, e allora le procuro perle e fiori d'oro. Ecco ciò che queste parole significano; Le perle sono i suoi sensi, i fiori sono le ore disponibili che le permettono di prepararmi, ornamenti belli, graditi, preziosi; giacchè, appena può e riprende le forze, si occupa subito della sua carica, per quanto le riesce possibile. Con sollecitudine prende diverse misure per conservare ed accrescere la Religione perché, dopo la sua morte, le sue parole ed i suoi esempi siano come colonna saldissima che, per la mia eterna gloria, sostenga la stato religioso.

Se però s'accorge che il lavoro nuoce alla sua salute, lo lascia tosto e mi abbandona ogni cosa con grande fiducia. Questa fedeltà a riprendere il lavoro, o a lasciarlo quando le forze declinano, commuove profondamente il mio Cuore». Un'altra volta che la santa Abbadessa, di dolce memoria, s'affliggeva di non poter compiere lavori di mano, temendo di sciupare il tempo, si rivolse, con la solita umiltà a Geltrude, preferiva i suoi consigli a quelli delle altre, le raccomandò di pregare il Signore per quell'intenzione.

Geltrude lo fece ben volentieri e ricevette questa risposta: « Il Re di bontà non esige che la sua diletta lavori a rendere più bella la sua corona, mentre Egli stesso, prodigandole la sua immensa tenerezza, si compiace di tenerle le mani strette nelle sue; ma ciò che vuole prima di tutto, è che sempre si trovi pronta a compiere la sua Volontà. Così il mio divin Cuore si compiace nella sua eletta, sia che sapporti dolcemente l'infermità che le impedisce di lavorare, sia che si occupi, per quanto può, della sua carica, quando la sofferenza le lascia un po' di respiro ».

Siccome poi la malattia le impediva di esercitare perfettamente i suoi doveri di Abbadessa, ella pensò di dimettersi, ma prima volle sapere da Geltrude quale era la divina Volontà. La Santa ricevette questa risposta: « Con tale malattia santifico la mia Sposa per stabilirmi in essa, quasi in gradita dimora, così come il Pontefice, mediante la consacrazione, santifica una chiesa. Le serrature poste alla porta della medesima, la garantiscono contro i malfattori; così, mediante la malattia, Io la chiudo, per così dire, afflnchè i suoi sensi siano liberati da una folla di cose esteriori, che non hanno grande utilità e spesso turbano il cuore, allontanandolo da me. Nel libro della Sapienza ho proclamato: « Deliciae meae sunt esse cum fìliis hominum - Le mie delizie sono di stare coi figli degli uomini » (Prov. VIII, 31). Ho dunque mandato la malattia a questa mia Sposa per abitare in essa, secondo quest'altra parola: « Juxta est Dominus his qui tribulato sunt corde - Il Signore è vicino a coloro che soffrono » (Ps. XXXIII, 19). Ho voluto ch'ella sia adorna di buoni desideri e di ottima volontà, perchè mi sia dato dimorare in essa come un re sul suo letto di riposo, e gustare le mie delizie nella sua anima, prima di fare gustare a lei stessa le gioie eterne. Lo ho lasciato l'uso parziale dei sensi esteriori, perché potesse trasmettere ancora le mie volontà alle sue figlie, come altra volta diedi agli Israeliti l'Arca santa che rivelava i miei oracoli e nella quale essi dovevano onorarmi. Simile a quell'Arca santa ella deve dare la manna, cioè diffondere sulle sue suddite la dolcezza delle consolazioni con teneri affetti, e parole soavi. Ella deve rinchiudere anche la verga di Aronne per la correzione delle ribelli, dopo di aver riflesso la cosa nel vigore dello spirito, ricordandosi che avrei potuto Io stesso correggere i cattivi col rimorso, o con la sofferenza, ma che ho preferito agire con la sua mediazione per aumentare i suoi meriti. Quando ella avrà esercitato la sua missione secondo la misura delle sue forze, non subirà nessun detrimento se, fra coloro ch'ella corregge, ve ne sono alcune che non si emendano, perchè l'uomo pianta e inaffia, ma Io solo dò l'incremento ».

Altra volta ella si turbò, temendo che vi fosse negligenza da parte sua nell'omettere la S. Comunione, l'orazione ed altre pratiche di Regola. Le sembrava anche di comunicarsi con poco rispetto, poiché la sua grave infermità le impediva di prepararsi accuratamente. Il Signorà volle istruirla e consolarla per tramite di Geltrude: « Sappi che quando, per giusto senso di discrezione, tralascia di comunicarsi; o di compiere altra pratica, la mia infinita bontà si affretta ad attribuirle un bene che supplisce a quello che non ha potuto acquistare, perchè tutti i tesori della Chiesa sono miei, ed Io posso disporre dei medesimi ».

Siccome è proprio delle anime virtuose temere il male anche dove non esiste, ella si contristò, vedendo le persone che la servivano, perdere il tempo, poichè le lor cure non le portavano nessun reale refrigerio. Ma Dio, che è fedele e che non permette che un'anima sia tentata al di sopra delle sue forze, la consolò ancora per mezzo di Geltrude. « Desidero che per mio amore e per mio onore ella sia servita con rispetto, bontà, diligenza e allegrezza, perchè Io, il Dio che in essa abita, l'ho posta a capo del Monastero; ciascuna è dunque tenuta ad assisterla, come i membri servono il capo. Ella, da parte sua, deve rallegrarsi che ani serva di lei, come di un tenero amico, per aumentare i meriti dei miei eletti, giacchè considererò come resi a me tutti i servigi che le saranno prodigati, e tutta l'affezione che le si dimostrerà, sia pure con una sola parola».

Nel giorno di S. Lievino (vescovo e martire, compagno di S. Bonifacio - XII Novembre) tutta la Comunità si era riunita per domandare la sua guarigione al santo martire; Geltrude, avendolo pregato con maggior insistenza, ebbe questa risposta: « Quando il re si rallegra con la sua sposa nel segreto della camera nuziale, è forse conveniente che un soldato venga a pregarlo di far uscire la sposa, perchè la famiglia del servo possa godere la presenza dell'augusta regina? Così non si può troppo supplicare per avere la guarigione di una persona tanto unita a Dio e che, con la sua sapienza e bontà, offre al Re dei cieli le prove della sua tenerezza ». Impariamo che coloro che maggiormente glorificano Dio nel loro stato d'infermità, meritano, invocando i Santi, di ricevere una dolce abbondanza di grazia che accresce la loro pazienza e li aiuta a ritrarre dalla malattia frutti più graditi a Dio.

Prendo come testimonio della fedeltà di quanto dico tutte le persone che in questa malattia hanno riconosciuto la grazia di Dio, ed ammirato la virtù di quella veneranda Madre.

Durante ventidue settimane ella rimase così priva dell'uso della lingua da non poter manifestare nessun desiderio, nè con parole, nè con segni; ella diceva solo queste due parolette: spiritus meus - il mio spirito. Le consorelle che la servivano non potevano nè capire, né sodisfare i suoi desideri. La cara Madre, dopo d'aver ripetuto lungamente e con fatica: spiritus meus, vedendo che tutto era inutile, taceva come un dolce agnello, e, guardando con l'occhio semplice della colomba quello che si faceva contro la sua volontà, sorrideva mestamente, senza mai lasciar trapelare la minima impazienza.

Il grande amore di Dio e del prossimo, vita della sua vita, erano così profondamente radicati nei suo cuore che, persino nei momenti del più acuto spasimo, bastava una sola parola riguardante Dio, per renderla serena, tanto che sembrava non avere più nulla da soffrire.

La sua grande divozione si manifestava con copiosissime lagrime prima della S. Comunione, e con lo zelo per ascoltare la S. Messa. Ella voleva, ad ogni costo esservi condotta, quantunque fosse priva dell'uso di una gamba e che l'altra fosse così addolorata da non poter neppure toccarla: ma tutto dissimulava purchè non la privassero del grande tesoro della S. Messa.

Aveva pure grande fervore per il divin Ufficio. Facile ad assopirsi per la sua malattia, si faceva violenza per destarsi quando suonavano le ore canoniche, e riusciva, come per miracolo, a mantenersi sveglia. Se poi aveva incominciato il suo leggero pasto, le interrompeva sino alla fine delle preghiera. L'ultima volta che disse: spiritus meus, fu per chiedere di recitare Compieta, dopo dì che entrò in agonia.

La sua bontà mostrò assai spesso la perfezione della sua carità; siccome non poteva articolare che le due parole spiritus meus, se ne serviva in ogni bisogno, per ricevere cioè coloro che la visitavano, per accompagnare un gesto affettuoso a chi la circondava, per rispondere a tutte le domande, per esprimere tenerezza alle sue figlie, stringendo loro la mano e accarezzandole amorosamente. Tutte confessavano che, lungi dall'annoiarsi, provavano a quel capezzale delizie misteriose, molto più che se ne avessero ascoltato discorsi eloquenti, accompagnati da doni preziosi. Ella congedava le sue figlie con le stesse parole: spiritus meus, levando la mano malata per benedirle con soavità: scena commovente e dolce!

Un giorno seppe che una sua figlia, colpita da grave malore, aveva dovuto coricarsi. Quantunque non potesse nè fare un passo, nè dire altre parole se non spiritus meus, fece capire, con cenni ripetuti, che voleva visitare l'inferma e lo fece con tanta insistenza che bisognò accontentarla e condurla dalla malata. Ella le mostrò tali segni di compassione coi suoi gesti, che anche i cuori indifferenti, ne furono commossi fino alle lagrime. Ma la penna non può vergare il poema di virtù e di tenerezza che si celava in quel cuore; perciò offriamo a Dio, Autore d'ogni bene, un sacrificio di lode per i doni meravigliosi fatti alla sua Sposa.

Da quanto andiamo dicendo, si può concludere che vi era qualche cosa di miracoloso nel pronunciare ch'ella faceva, in modo distinto, queste parole spiritus meus, poichè non poteva dire altro. Geltrude, che l'amava con particolare tenerezza, volle interrogare il Signore chiedendoGli la ragione di questo fatto. Egli rispose: « Sono il Dio che abito in essa: ora Io ho attirato e unito intimamente il suo spirito al mio, si che ella, in tutte le creature, cerca me solo. Quando per chiedere, o per rispondere, ella dice spiritus meus, parla di me, che vivo nel suo spirito. Così ogni volta che pronuncia queste parole, mostro alla Corte celeste come quest'anima non pensi che a me e le preparo una eterna ricompensa ».

Potremmo ancora riportare molti altri fatti riguardanti questa venerata Madre, ma crediamo bene abbreviare perchè tali cose provano una sola realtà cioè che, essendo ancora visibile, agli occhi umani, pure Dio abitava in lei e con lei, così che, in tutte le, sue azioni, ella si lasciava condurre dolcemente, dallo Spirito del Signore (ciò che è conforme agli insegnamenti della Sacra Scrittura).

Un mese prima di perdere la parola, ella si sentì così male da sembrare sul punto di morire. Quando le venne data con sollecitudine l'Estrema Unzione, davanti alla Comunità riunita, il Signore Gesù apparve raggiante di splendore: Egli tendeva le mani come per abbracciare la sua Sposa, e stava sempìe di fronte a lei, in modo che potesse vederlo da qualsiasi parte si fosse voltata.

Géltrude comprese la tenerezza del Signore per la sua Sposa diletta, giacchè, quattro mesi prima della sua morte, si era mostrato a lei nello stesso atteggiamento, tendendo le mani per ammettere fa sua anima al divino amplesso e all'eterno bacio.

Geltrude chiese poi al Signore come mai quella venerarti da Abbadessa potesse uguagliare i meriti delle vergini già canonizzate, che avevano, versato il sangue per la fede. Le rispose Gesù: « Il primo anno che ella ricevette la carica abbaziale unì talmente la sua volontà alla mia e compi, con la mia grazia, tutte le sue opere con tale perfezione, da uguagliarsi alle vergini più sante; in seguito ella continuò a progredire; così le riserbo un aumento di beatitudine pari ai suoi meriti ». Da queste divine parole si potrà comprendere la fulgida gloria di cui la nostra Madre è rivestita in cielo.

Quando arrivò il giorno tanto ardentemente desiderato e preparato con tante suppliche, quando scoccò l'ora dell'agonia il Signore accorse a lei con gaudio: a destra aveva la sua beatissima Madre, a sinistra S. Giovanni Evangelista, l'apostolo prediletto. Il Salvatore era seguito da una immensa moltitudine di Santi e specialmente dalla candida falange delle Vergini che, durante l'agonia della morente, sembravano riempire la casa e frammischiarsi con le monache.

Le consorelle non abbandonarono la moribonda, deplorando la sua perdita con lagrime, sospiri e supplicando Dio per il trapasso di quella diletta. Quando Gesù giunse al suo capezzale, le mostrò tanta bontà, con tenerezze divine, che la morte perdette tutta la sua amarezza. Quando poi, nella lettura del Passio, si giunse a quelle parole et inclinato capite emisit spiritum, Gesù. parve non poter, più trattenere le fiamme del suo amore: si chinò verso la malata, aperse con le sue stesse mani il Cuore e lo tenne davanti a lei.

La Comunità tutta era in preghiera. Geltrude, spinta dalla sua particolare affezione, disse al Signore: « O buon Maestro, in virtù di quella inesauribile tenerezza con cui ci hai dato una Superiora così degna del nostro amore, degnati, per quanto è possibile, assimilarla alla tua Madre, mostrandole qualche cosa dell'affezione di cui hai circondato la beatissima Vergine, quando usci dal suo corpo mortale». Il Signore, commosso da tenera compassione, parve dire a sua Madre: « Dimmi, o Madre, ciò che ho fatto per Te; di più dolce, quando stavi per uscire dal corpo, perché questa mia Sposa mi prega di agire nello stesso modo con la sua Superiora morente ». La misericordiosissima Vergine rispose con bontà: « La cosa che mi parve più deliziosa, o Figlio mio, fu quella di trovare un rifugio sicuro fra le tue braccia ». « Tu hai ricevuto questo favore, o Madre, per avere meditato spesso sulla terra, con dolorosi sospiri, tormenti della mia Passione ». E aggiunse: « La mia eletta dovrà supplire a tali meriti che non ha, sopportando oggi l'angoscia che le procura la sua respirazione difficile, tante volte quante tu stessa hai sospirato in terra al ricordo della mia Passione».

Cosi ella passò quel giorno d'agonia. Durante questo tempo ella usufruì delle tenerezze del divin Cuore che si apriva davanti a lei come un giardino di fiori profumati, o come un tesoro di aromi preziosi. Ad ogni istante si vedevano gli Angeli scendere dal cielo, guardarla e invitarla a seguirli con questa dolce melodia da essi modulata: « Vieni, vieni; vieni, o Signora, perché le delizie del cielo sono preparate per te ». « Alleluia, Alleluia! - Veni, veni, veni, Domina, quia te expeetant coelt deliciae. Alleluia, Alleluial ».;

L'ora deliziosa s'avvicinava, l'ora nella quale le Sposo celeste, il Re di gloria, il Figlio del Padre si preparava a fare riposare nella Camera nuziale dell'amore quella Sposa diletta che aspettava con sì ardenti desideri il volo supremo. Il Signore si avvicinò e le disse queste dolci parole « Ecco che nel bacio del mio potente amore, io m'impossesso di te, affine di presentarti al Padre mio, nell'amplesso del mio Cuore ». Come se avesse voluto dirle: « La mia onnipotenza ti ha trattenuta finora in terra per darti possibilità di maggior merito; ma l'ardore della mia tenerezza non può più trattenersi, quindi ti libera dal corpo e ti consegna a me, come desideratissimo tesoro, perchè calmi la violenza dell'amore, gustando in te le più soavi delizie ». E subito quell'anima felice, cento volte felice, lasciando la spoglia mortale, s'inalzò con giubilio ineffabile, per entrare nell'augusto santuario del S. Cuore di Gesù, che le era stato aperto con tanto amore, letizia e generosità, come più sopra abbiamo detto. Nessun mortale saprebbe immaginare quello che lassù quell'anima, che meritò di passare per tale via, ricevette di tenerezza, ciò che vide e intese. La debolezza umana: non potrebbe esprimere che balbettando le tenere carezze dello Sposo che accolse la sua diletta nelle profondità del suo Sacro Cuore, e i giocondi trasporti della Corte celeste che, con le sue lodi, parve coronare quella festa di nuove gioie.

Unite pur non al palpito gaudioso del cielo, tenteremo di cantare un inno di giubilo e di ringraziamento a Dio, Autore di ogni bene.

Quando dunque quel sole brillante, che aveva diffuso così lontano i suoi benefici raggi, scomparve dalla terra, quando quella gocciolina d'acqua rientrò nell'oceano da dove era uscita, le figlie, rimaste quaggiù nelle tenebre della desolazione, levarono verso il cielo lo sguardo della fede per tentare di scoprire mediante la speranza, qualche cosa della gloriosa felicità della loro Madre. Tuttavia esse continuavano a piangere per il sacrificio di una Madre così buona, veramente superiore a tutto quello che avevano visto nel passato, e che potevano sperare nell'avvenire. I loro rimpianti erano però illuminati da un certo senso di gioia al pensiero della gloria di quell'eletta: così facevano salire le loro lodi verso il cielo, confidando la loro desolazione alla tenera affezione dell'Estinta. Esse cantarono il Responsorio Surge Virgo, et nostra Sponso preces aperi; tua vox est dulcis in aure Domini: quae pausas sub umbra Diletti. Ab aestu mundi transfer nos ad amoena paradisi. Pulchre Sion filia pro mortali tunica. Agni testa vellere, et corona gloriae. Ab aestu. - Levati, o Vergine, e presenta le nostre preghiere allo Sposo: la tua voce è dolce all'orecchio del Signore: o tu, che riposi all'ombra del Diletto, toglici dagli ardori di questo mondo e trasportaci nelle delizie del Paradiso. O figlia di Sion che hai mutata la tunica mortale con la veste dell'Agnello e con la corona della gloria.

Essendo malata Matilde, cantora del Monastero, fu Geltrude che intonò questo canto: il corpo verginale, tempio agusto di Cristo, fu portato da mani caste in cappella e deposto davanti all'altare.

Quando tutta la Comunità si prostrò in preghiera, l'anima dell'eletta defunta comparve, rivestita di gloria incomparabile. Ella stava davanti alla SS. Trinità e pregava per le agnellette che, durante il terreno pellegrinaggio, le erano state confidate.

Mentre si cantava la S. Messa per la defunta, Geltrude sfogava il suo dolore con Gesù, il quale volendo consolarla le disse con tenerezza: « Non basto forse io a darti tutto quello che ti ho tolto? Nel secolo si usa fidarsi di un uomo onesto, il quale dopo la morte dei suoi vassalli, prende in tutela i loro beni, perchè si è persuasi che egli nulla trascurerà per il vantaggio degli eredi. Fidati dunque di me, io ti consolerò perchè sono la bontà infinita: se tu a me ti rivolgerai con tutto il cuore, sarò per te, tutto quello che la defunta Madre era per ciascuna di voi ».

Nello stesso momento in cui, come più sopra si disse, il Signore ricevette nel suo Cuore l'anima della defunta, diffuse sul mondo intero una rugiada di grande dolcezza, e Geltrude comprese che in quell'istante, tutte le preghiere che salivano al cielo erano esaudite.

All'indomani, giorno della sepoltura, Geltrude fece la sua oblazione all'Offertorio della prima Messa, per l'anima della defunta. Per supplire ai suoi meriti offerse l'amabilissimo Cuore di Gesù, tale e quale è nei suoi rapporti con l'umanità, cioè colmo dei beni e delle perfezioni che scorrono dal medesimo Cuore sui cuori degli uomini, per risalire poi, con pienezza, verso Dio. Il Signore parve accettare quell'offerta, sotto il simbolo di un vaso, in forma di cuore, colmo di ricchi doni: Egli lo chiuse nel suo seno, poi chiamò l'anima della defunta, dicendole: « Vieni piccola vergine (virguncula) vieni da me, e disponi dei beni che le tue figlie ti hanno mandato ». Ella si volse allora al suo Diletto, ed immerse la mano nel seno del Signore, osservando quello che in esso racchiudeva. Siccome colà trovava la perfezione di tutte le virtù e di tutti i doni, ella toglieva a uno a uno quei tesori, li indirizzava a Dio, e diceva con la sua solita dolcezza: « O amato Gesù, questo converrebbe alla Priora, questo a quell'altra, e questo a quell'altra consorella». Siccome sulla terra aveva notato ciò che mancava a ciascuna, ora cercava di supplirvi con le virtù del Cuore di Gesù. Il Signore, guardandola con ineffabile amore, le disse ancora: « Avvicinati di più, o mia diletta ». Ella si alzò e si pose a sinistra del Signore che la circondò col suo braccio e, serrandola al Cuore, le disse: « Vedi ora le cose come le miro Io stesso ».

Quelle parole le fecero capire ch'ella era guidata dall'affezione umana nel distribuire alle sue figlie i doni del Signore, secondo ciò che aveva conosciuto in terra. Ora che il Signore l'aveva unita totalmente a sè, ella non poteva vedere se non ciò che Dio vedeva, quel Dio che ama gli uomini più di quanto noi possiamo comprendere e che però loro lascia dei difetti, che servono ai suoi disegni di Provvidenza.

All'elevazione Geltrude offerse a Dio, per l'anima della sua diletta Priora, in unione alla sacratissima Ostia la filiale tenerezza che Gesù provò per Maria, sua amorosissima Madre. Allora il Figlio di Dio, chiamando soavemente la defunta, le disse: « Avvicinati, piccola vergine. Voglio mostrarti la filiale affezione del mio Cuore ». La Madonna prese quell'anima fra le sue braccia, la condusse dal Signore che si chinò su lei per farle gustare, con un soavissimo bacio, qualche cosa della filiale tenerezza che sentiva per la sua Madre. Siccome tale visione si ripeteva ad ogni S. Messa, e più di venti erano già state celebrate per la defunta, Geltrude cercò di offrire a Dio qualche cosa di più grande ancora, per aumentare i meriti della sua amatissima Priora. Ella presentò dunque la filiale affezione che Gesù, come Dio, ebbe per il Padre, e che, come uomo, ebbe per la Madre.

Il Figlio di Dio, tenendosi ritto davanti all'eterno Genitore, chiamò l'anima della defunta e le disse: « Vieni, mia Signora e mia Regina, perchè ti viene invìato un dono ancora più prezioso ». E siccome l'anima della defunta, guidata dalla Mano della Madonna, erasi inalzata a vette sublimi, Geltrude, seguendola con lo sguardo, le disse: « O Madre mia, ben presto non potrò più nè vederti, nè capire la meravigliosa gloria che ti circonda ». Ella rispose: « Tu potrai però sempre interrogarmi su quanto desideri sapere ». E Geltrude: « O Madre cara, perchè le tue preghiere non ci ottengono di frenare le lagrime? Noi ci sentiamo tutte male a furia di piangere la tua assenza, pur sapendo che a te non piacciono queste esagerazioni indiscrete ».

La defunta rispose: « Il mio Salvatore; nella sua dolce tenerezza, muta per me in gloria e in vantaggio tutto quello che di solito torna di poco profitto ad altri: ora sappi che, per la discrezione con cui seppi guidarvi, Egli mi permette di offrire in un calice d'oro tutte le lagrime che voi versaste per la mia morte. Per ciascuna di queste lagrime Egli versa in me le dolci acque della Divinità e quando esse hanno calmato la mia sete, canto al Diletto un inno di ringraziamento per le mie figlie e per tutti colora che mi piangono ».

Geltrude chiese se tale effetto era raggiunto da tutte le lagrime, o soltanto da quelle che si versavano in vista di Dio, per il timore che la sua morte portasse un rilassamento nella religiosa osservanza. Quell'anima beata rispose: « Questa gioia mi viene elargita, anche per le lagrime che si versano solo per semplice tenerezza; tuttavia quando offro le lagrime sparse per l'onore di Dio, allora il mio Salvatore stesso canta con me l'inno del ringraziamento: queste sante lagrime mi procurano un gaudio superiore alle altre, così come il Creatore è al di sopra delle creature ».

Poi, avendo chiamata Geltrude per nome, le disse: « Cara figlia, sappi che ho ricevuto una ricompensa speciale per averti incoraggiata in vista di Dio, a compiere quell'affare che bene conosci. Per questo io ascolto sempre nel Cuore del mio Diletto un canto d'amore che assomiglia a quello di uno strumento melodioso, tanto che tutta la Corte celeste si rallegra con me. Tale canto procura ai miei occhi un mite splendore, al palato un gusto squisito, all'odorato un soave profumo. Soltanto il senso del tatto non prova speciale godimento, perchè ho commesso alcune negligenze a questa riguardo, quantunque con buona; intenzione e per amore di pace ».

Mentre si sonava l'Elevazione, Geltrude offerse l'Ostia santa al Padre, per riparare le negligenze della defunta. L'Ostia divina apparve allora come uno scettro ammirabile che sembrava bilanciarsi con un grazioso movimento: esso era davanti all'anima della defunta che non poteva tuttavia toccarlo, perchè, nell'altra vita, non si può supplire alle mancanze commesse quaggiù. In virtù di quel sentimento di affettuosa riconoscenza di cui il Signore l'aveva dotata, la defunta parve pregare per tutti coloro che assistevano alle sue esequie: tale preghiera ottenne a ciascuna la remissione di molti peccati, e un aumento di grazia, di forza, di vigore per fare il bene.

Alla benedizione che si dava alla fine della S. Messa, la diletta Priora apparve in piedi, davanti al trono della sempre adorabile Trinità, alla quale rivolse questa supplica: « O Dio, che sei l'Autore di ogni, bene, accorda un favore alla mia spoglia mortale. Quando le mie figlie verranno sulla mia tomba a gemere sulle loro pene e sulle loro colpe, fa che una segreta consolazione le assicuri che io sono veramente la loro Madre ».

Il Signore accolse con bontà questa domanda e in nome della sua Onnipotenza, della sua Sapienza e Bontà, benedisse ciascuna anima in particolare. Quando poi questa beata Madre venne deposta nella tomba, il Signore, per confermare quella benedizione, parve fare tanti segni di croce quante erano le palate di terra che cadevano sulla cassa. Allorchè essa fu interamente ricoperta, la Vergine Maria, Madre di Dio, tracciò ella pure con la sua dolce mano, lo stesso segno di croce, come un sigillo, atto a testimoniare il favore concesso da Dio alla defunta.

All'intonazione del responsorio « Regnum mundi »; dopo la sepoltura, il cielo parve ammantarsi dì nuova gioia, così come una casa di cui ogni pietra, e ogni lastra si fossero messe a danzare, per esprimere la loro allegrezza. La defunta apparve preceduta da un coro di vergini, di cui ella era la regina: con una mano teneva un giglio circondato da altri fiori, con l'altra guidava le vergini che le erano state confidate e che l'avevano preceduta nella gloria. Al loro seguito camminavano altre vergini del Paradiso. Fra gioia ed allegrezza esse giunsero al trono di Dio. Alle parole del Responsorio: quem vidi, Dio Padre accordò nuovi favori a quell'amatissima anima che conduceva le vergini, già sue figlie. All'altra parola quem amavi, il Figlio di Dio le accordò pure le sue grazie; all'espressione in quem credidi, lo Spirito Santo l'arricchì dei suoi doni. Ma quando si cantò quem diiext, la defunta aperse le braccia per dare un tenero amplesso a Gesù, suo amatissimo Sposo.

In seguito venne detto il Responsorio Libera me e si vide in cielo radunarsi un altro coro composto dalle anime che, in virtù dei meriti della defunta, delle S. Messe e preghiere offerte per lei, in quel giorno erano giunte all'eterna gloria. In quel numero si notò un fratello converso del Monastero che aveva trascurato la vita spirituale; egli per i meriti della santa Priora, aveva avuto il massimo refrigerio.

Nel trentesimo giorno la beata Priora apparve ancora a Geltrude raggiante di una gloria così meravigliosa, da eclissare tutto quello che prima aveva ammirato. Si vedevano rifulgere di splendore soprattutto i mali sopportati pazientemente nell'ultima malattia. Un libro d'oro, magnificamente ornato, apparve davanti al trono: esso conteneva tutti gli insegnamenti che aveva dati agli inferiori. In avvenire si vedranno i tesori che i suoi esempi e le sue parole avranno prodotto nelle anime.

Geltrude, stupita di tante meraviglie, chiese alla beata Priora quale ricompensa avesse ricevuto per i dolori sopportati al braccio destro. Ella rispose: « Con la destra abbraccio teneramente il mio Diletto e provo una gioia incomparabile, vedendo come il mio amatissimo Sposo trovi le sue delizie nell'essere circondato dal mio braccio, come da preziosa collana. Il lato destro della defunta sembrava, dalla testa fino ai piedi tempestato di gemme preziose, il cui splendore si rifletteva anche sul lato sinistro. L'ornamento di destra indicava le ricompense ai suoi dolori, lo splendore di sinistra stava a significare i meriti acquistati per l'unione della sua volontà al divin beneplacito. Era dunque, da una parte e dall'altra, come un gioco di luci, simile a quello dei raggi di sole che si riflettono nelle acque. La sofferenza poi che la beata Madre defunta aveva provato per la perdita della parola, le fu ripagata da un bacio divino, che le venne dato da Gesù appena spirata, il cui splendore sarebbe durato eternamente, con gaudio ineffabile di tutta la Corte celeste.

Durante la S. Messa, Geltrude, ricordando il bene ricevuto dalla Santa Abbadessa, pregò il Signore di ricompensarla Lui stesso. Egli rispose: « Ciascuna di voi mi venga in aiuto, eccitandomi a diffondere su di lei i miei doni, perchè non so vedere in me alcun bene, che non sia disposto a cederle ». E il Signore, guardando con tenerezza la defunta, aggiunse « I tuoi benefici furono bene accordati, poichè hanno in ricambio tale riconoscenza ». La Santa Priora si prostrò allora davanti al trono della divina Maestà e ringraziò Dio per la fedeltà delle sue figlie, dicendo: « Lode eterna, immensa, immutabile sia a Te, dolcissimo Dio, per tutti i tuoi benefici, e benedetto sia il tempio nel quale mi hai preparato a ricevere un frutto sì dolce e salutare ». E aggiunse: « O Dio, che sei la mia vita, ricompensa Tu stesso per me ». Rispose il signore: « Fisserò su loro lo sguardo della mia misericordia », nel contempo fece due segni di croce con la mano per accordare a ciascun membro della Comunità la grazia di dare buon esempio al prossimo con opere esterne, ed agire unicamente per amore di Dio.


CAPITOLO II. - L'ANIMA DI E. PARAGONATA DAL SIGNORE A UN BEL GIGLIO


Dodici giorni dopo il decesso della beata Priora Geltrude, di santa memoria, morì pure una delle sue care figlie. Questa seconda separazione aggiunse dolore a dolore, perchè era una monaca amabile, cara a Dio e agli uomini, sia per l'incantevole purezza, che per la soavità del carattere e per la grazia dei suoi rapporti con tutti.

Dopo la sua morte, Geltrude, ricordando le delizie che si provavano vivendo con essa, disse melanconicamente a Gesù: « Ohimè, amantissimo Signore! perchè ce l'hai portata via così repentinamente? ». Egli rispose: « Mentre si celebravano i funerali della mia diletta Geltrude, vostra Abbadessa, provai gaudio immenso per la divozione della Comunità nella quale discesi per pascermi fra i gigli. Questo fiore piacque a me più degli altri: tesi la mano per coglierlo, la strinsi per undici giorni fra le mie dita prima di svellerlo. Le sofferenze della malattia ne accrebbero vaghezza e profumo allora lo colsi e adesso forma la mia gioia in cielo ». E il Salvatore aggiunse: « Quando al ricordo del fascino che questa consorella esercitava intorno a sè, ne provate rimpianto, pur tuttavia l'abbandonate serenamente al beneplacito della mia Volontà, allora aspiro anche meglio il profumo di questo giglio, e la mia bontà ve ne ricompenserà al centuplo ».

All'Elevazione dell'Ostia, mentre Geltrude, con affezione di sorella, offriva per la defunta tutta la fedeltà del Cuore di Gesù, ella la vide inalzata a una dignità più grande, come se fosse stata trasferita in uno stato più sublime, rivestita di abiti più luminosi, e circondata di, Angeli più elevati. Geltrude ebbe la stessa visione ogni volta che fece la medesima offerta per l'anima di E. La Santa volle poi sapere dal Signore come mai quella vergine saggia, avesse dimostrato durante l'agonia, con gesti e con parole, un grande terrore della morte. Gesù rispose; « L'ho permesso, per una grazia della mia infinita tenerezza. Infatti, qualche giorno prima, già malata, essa mi aveva pregato, per tuo tramite, di riceverla, subito dopo la sua morte in cielo, e sulla tua parola confidava di ottenere tale privilegio. Volli premiare la sua fiducia. Ma in tempo di giovinezza è facile commettere qualche leggera negligenza, come per esempio, compiacersi in cose inutili ecc. Le sofferenze della malattia dovevano purificarla da queste macchie: così, prima di chiamarla alla gloria del cielo, volli che i suoi dolori la rendessero meritevole dell'immediato ingresso in Paradiso, e permisi che fosse spaventata alla vista dei demonio. Tale angoscia le servì di purgatorio, mentre le sofferenze patite erano un prezioso titolo per meritare la ricompensa dei cieli ». Geltrude Insistette: « E Tu, mio Gesù, speranza dei disperati, dov'eri mai, mentre essa sopportava quegli spaventevoli terrori?». Rispose il Signore: « Io mi ero nascosto alla sua sinistra: ma appena l'ebbi purificata, mi presentai a lei e la condussi meco nel gaudio eterno dei cieli ».


CAPITOLO III. - SI PARLA DELL'ANIMA DI UNA GIOVINETTA DEVOTA ALLA SS. VERGINE


Poco tempo dopo morì una giovinetta che, fin dall'infanzia, era stata divotissima della Madonna. Avendo terminato la sua breve carriera, venne chiamata all'eterna ricompensa. Munita di tutti i sacramenti della Chiesa, ella stava per entrare in agonia, quando con le mani tremanti prese il Crocifisso, salutò le S. Piaghe con espressioni tenere, le ringraziò, le adorò, le coperse di baci così ardenti, che tutte le consorelle ne provarono straordinaria compunzione.

In seguito ella chiese, con brevi preghiere, al Signore, alla Vergine Maria, agli Angeli, ai Santi di ottenerle il perdono dei peccati, di supplire a quanto le mancava, di proteggerla nell'ora della morte; infine, riposando un istante come se fosse stata stanca, s'addormentò con confidenza nel Signore.

La Comunità si mise tosto in preghiera per il sollievo di quell'anima e Gesù apparve a Geltrude: Egli teneva fra le braccia l'anima della defunta, la carezzava amabilmente e le diceva: «Mi riconosci, figlia mia?». Geltrude, vedendo ciò, pregò il Signore di ricompensare quell'anima soprattutto per l'umiltà che l'aveva spinta a servire lei e le altre consorelle, perchè le credeva più care a Dio e desiderava partecipare ai loro meriti. Allora Gesù presentò alla defunta il suo Cuore divino, dicendole: «Bevi, figlia mia, in questo vaso traboccante quanto tu desideravi ricevere per i miei eletti quando eri in terra ».

All'indomani, durante la S. Messa, quell'anima apparve come seduta in grembo al Salvatore e la Regina del cielo venne vicino a lei, presentandole i suoi gioielli ed i suoi meriti. Quando la Comunità recitò per essa il Salterio, aggiungendo un'Ave Maria dopo ogni salmo, la Madre di Gesù moltiplicò i doni suoi a quell'anima, come ricompensa della sua speciale divozione.

Geltrude chiese poi al Signore di quali fragilità aveva dovuto purificare la defunta prima della morte.

Egli rispose: « Ella si compiaceva nel suo proprio giudizio: l'ha purificata permettendo che morisse prima che la comunità terminasse le preghiere, che si dicevano per lei. Infatti, quand'ella comprese che ciò avveniva, temette di subirne detrimento e tale angoscia la purificò da ogni imperfezione. Geltrude aggiunse: « Ma Signore, quest'anima non si era forse purificata sufficientemente con la contrizione che ebbe in punto di morte, quando ti ha pregato di mondarla da tutte le colpe? ». E Gesù: « Quella contrizione generale non era sufficiente, bisognava che subentrasse una sofferenza per cancellare l'attacco al suo proprio giudizio, per cui non si piegava subito docilmente a coloro che la dirigevano ». E aggiunse: « Ella dovette essere purificata anche da un'altra macchia, contratta per la noia ch'ella provava a confessarsi; la mia bontà però le ha perdonato questa imperfezione, in vista di coloro che avevano cura di lei, e che sono i miei ed i suoi amici. Per la pena che ha provato, confessandosi in punto di morte, le ho rimesso ogni negligenza su questo punto ».

Durante la S. Messa, mentre si cantavano all'Offertorio queste parole: « Hostias ac preces », il Signore parve levare la mano destra. Allora un magnifico bagliore rischiarò tutto il cielo, e investì quell'anima che riposava in grembo a Cristo. Tutti i cori dei Santi si avvicinarono, ordine per ordine, deposero i loro meriti in seno a Gesù, per supplire a quelli che la defunta non aveva acquistati.

Geltrude comprese allora che i Santi agivano in tal modo, perchè quell'anima aveva avuto l'abitudine di supplicarli affinché applicassero ai defunti i loro meriti, quale espiazione dei loro difetti. Quantunque poi tutti gli abitanti del cielo le mostrassero segni speciali di tenerezza, pure le vergini lo facevano in modo più ardente, essendo essa una del loro numero.

Un'altra volta Geltrude pregò ancora per l'anima di quella giovane Religiosa: le sue parole furono brevi, ma possenti. Esse apparvero scolpite sul petto del Signore, quasi come finestrelle che facevano vedere l'interno del Cuore di Gesù, Figlio di Dio. Ella intese Gesù dire a quell'anima: « Guarda in ogni parte del cielo: vedi se qualche Santo possiede un bene che tudesideri e attingi quel bene nel mio Cuore, attraverso a queste aperture ».

Geltrude comprese che lo stesso favore si rinnovava a ogni preghiera offerta per quell'anima.

All'Elevazione dell'Ostia, il Figlio di Dio parve presentare: a quella giovane Religiosa il suo sacratissimo Corpo sotto l'aspetto di un agnello immacolato. Mentre essa lo baciava con tenerezza, fu come trasfigurata, ricevendo una nuova gioia nella conoscenza della Divinità. Geltrude chiese allora alla defunta di pregare per le anime che le erano affidate. Rispose: « Prego per esse, ma non posso volere se non quello che vuole il mio amatissimo Signore». Riprese la Santa: « E' dunque allora inutile appoggiarsi alla tua preghiera? ». « No, essa sarà loro di vantaggio, perchè il Signore, che conosce i loro desideri, ci eccita a pregare secondo le loro intenzioni ». « Puoi tu intercedere specialmente per le tue più intime amiche che nulla hanno ancora chiesto? ». « Il Signore stesso, nel suo amore, fa loro un gran bene per causa nostra ». « Prega almeno specialmente per il Sacerdote che ora si comunica per te ». « Egli avrà doppio vantaggio per tale atto: come il Signore da lui riceve per dare a me grarzie preziose, così, a mia volta, rimando tali beni verso il Sacerdote, unendovi grazie personali; il suo profitto spirituale si accresce come l'oro appare più bello quando vi sono incastonate varie gemme».

Geltrude chiese: « Dalle tue parole mi pare di poter concludere che è più vantaggioso celebrare delle Messe per i defunti, piuttosto che per altre intenzioni». La giovane Religiosa rispose: « In vista della carità con la quale si aiutano, le anime purganti, la S. Messa produce maggiori frutti che se fosse celebrata soltanto per dovere sacerdotale. Ma se un moto intimo del cuore getta íl sacerdote in Dio, e lo fa celebrare sotto tale impulso, allora il S. Sacrificio è ancora più fruttuoso ».

Geltrude aggiunse: « Dove hai tu appreso tante cose, mentre avevi in terra un'intelligenza così limitata? ». Ella replicò: « Ho appreso ogni cosa da Colui di cui S. Agostino disse: « avere visto Dio una sola volta, significa avere tutto appreso ».

Un altro giorno Geltrude vide la defunta raggiante di gloria, adorna di abiti scarlatti: ne chiese la ragiono al Signore, il quale rispose: « Come gliene avevo fatto promessa, per tuo tramite, così l'ho rivestita della mia Passione; perchè nonostante la grande debolezza della sua salute, non si è mai astenuta dai lavori comuni imposti dalla Regola e quantunque si spendesse al di là delle sue forze, pure non lasciò sfuggire nè un lamento, nè una impazienza». Il Signore aggiunse: « Le ho poi dato parecchi nobili principi della mia corte, affinchè le rendano onori particolari per compensare gli spasimi sopportati durante la malattia. Un braccio le cagionò particolari sofferenze, perciò ella mi tiene abbracciato nella gloria con tale beatitudine che vorrebbe avere sofferto cento volte di più ».

Siccome Geltrude bramava sapere se la Congregazione riceveva qualche soccorso dalle anime beate che aveva dato al cielo, la defunta rispose: « Esse vi procurano aiuti immensi, perchè il Signore moltiplica i suoi benefici a vostro riguardo, per ciascuna delle vostre consorelle salite all'eterna gloria ».

Durante una S. Messa che non era cantata per i defunti, Geltrude, pregando ancora per la stessa Religiosa, la vide nella gloria e chiese quale frutto ritraeva da quel Santo Sacrificio. Rispose ella: « Non attinge una regina nelle ricchezze del suo re e Signore? Ora che sono unita al mio Re, dolcissimo Sposo, ho parte a tutti i suoi beni e mi assido alla sua tavola come regina a quella del suo sovrano. Per tutte queste grazie siano lode e gloria in tutti i secoli al Signore, Re dei Re ».


CAPITOLO IV. - FELICE MORTE DI S. MATILDE, CANTRICE DEL MONASTERO


Quando Matilde devotissima maestra di coro, ricca di buone opere e tutta piena di Dio fu mortalmente inferma, volle, circa un mese prima del suo trapasso, seguire secondo una sua pia abitudine, l'esercizio della morte, composto da Geltrude. Una domenica, dopo essersi comunicata, ella consegnò la sua ultima ora alla divina misericordia.

Geltrude pregò per lei e vide in spirito, che il Signore aveva attratto per sua divina virtù, l'anima di Matilde e l'aveva poi rimandata al suo corpo per prolungare ancora un po' la sua santa vita. Geltrude chiese a Gesù: « Perché vuoi, amato Signore, ch'ella rimanga ancora in terra? ». Egli rispose: « Perchè voglio completare ciò che la mia divina Provvidenza ha stabilito di operare in essa. A tal fine ella mi servirà in tre maniere: mi offrirà cioè il riposo dell'umiltà, il banchetto della pazienza e il sollievo di diverse virtù. Per esempio in tutto quello che vedrà e sentirà del prossimo, ne farà motivo dil umiltà, ponendosi al di sotto di tutte, facendomi così gustare un riposo delizioso nel suo cuore e nell'anima sua. Ella inoltre si mostrerà serena nelle sofferenze e tribulazioni, le accoglierà con amore, sostenendo volentieri ogni pena: mi preparerà così un banchetto sontuosamente servito. Infine nella generosa pratica di altre virtù, Matilde mi offrirà un riposo che sarà la delizia della mia Divinità ».

Un'altra volta; dovendosi Matilde comunicare, Geltrude chiese al Signore che cosa avesse in essa operato. Egli rispose: « Mi riposo fra i suoi dolci amplessi, come su di un letto nuziale ». Geltrude comprese che la camera nuziale ove l'anima riposava in Dio e Dio nell'anima, era la disposizione costante che la portava, fra pene e dolori continui, a confidare nella bontà di Dio, a credere che la divina misericordia dirigeva tutto per suo bene, a ringraziare il Signore e ad abbandonarsi con fiducia nella sua paterna Provvidenza.

Siccome Matilde peggiorava rapidamente e verso sera soffriva assai di cuore, veniva compassionata dalle consorelle che s'avvicinavano, vedendola fra tanti dolori. Ma ella le consolò dicendo: « Non piangete e non attristatevi a mio riguardo, mie dilette, perchè compatisco talmente alla vostra desolazione che, se fosse la Volontà del nostro dolce Sposo, vorrei vivere sempre nonostante questi dolori, per potere continuare a consolarvi in tutto ».

Altra volta insistettero presso la malata, perchè prendesse una medicina che si credeva dovesse farle bene. Ella cedette nonostante la sua estrema ripugnanza, ma appena sorbito il farmaco, i suoi dolori. crebbero. Geltrude bramò sapere all'indomani come Gesù avrebbe ricompensato l'amabile accondiscendenza della malata. Il Salvatore rispose: « Col dolore che quella medicina le ha prodotto, ho composto un rimedio salutare per tutti i peccatori del mondo, per le anime del purgatorio ».

Nella domenica Si iniquitates, la penultima dopo Pentecoste, Matilde si comunicò per l'ultima volta. Geltrude pregava per lei, quando il Signore le ispirò di avvertirla, affinchè si preparasse a ricevere l'Estrema Unzione. L'incarica pure di dirle, da parte sua, che, dopo aver ricevuto quel Sacramento salutare, Lui stesso, custode diligentissimo di coloro che ama, l'avrebbe raccolta nel suo Cuore, per preservarla dalla minima macchia, proprio come un pittore vigila il quadro che ha terminato, mettendolo a riparo dalla polvere.

Geltrude avvisò la malata: ma siccome Matilde era sempre stata sottomessa ai suoi Superiori, così si rimise alla loro guida anche per l'Estrema Unzione, non volendo anticiparla di sua volontà, abbandonandosi completamente alla divina Provvidenza, che aiuta coloro che in essa pongono la loro fiducia.

I Superiori, da parte loro, avevano una grande venerazione per la malata, ed erano sicuri che Dio l'avrebbe avvisata di domandare lei stessa i Sacramenti, a tempo opportuno, Così vedendo che nulla diceva, attesero. Ma il Signore, per mostrare la verità della parola evangelica « Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno » (Matt. XXIV, 35), confermò quanto aveva detto alla sua Sposa prima del Mattutino della seconda feria, Matilde si sentì così male da essere ridotta agli estremi. Allora si chiamò in fretta il Sacerdote ed ella ricevette l'Estrema Unzione, se non quel giorno stesso, almeno prima dell'alba del giorno seguente.

Mentre Geltrude pregava per essa, durante l'unzione degli occhi, comprese che il Signore circondava l'agonizzante con tutta la tenerezza del suo divin Cuore: Egli dirigeva verso di lei i raggi del suo infinito splendore per comunicarle, in quella luce, tutti i meriti acquistati dai suoi santissimi occhi.

Da quel momento gli occhi della malata parvero stillare, sotto l'azione efficace della bontà divina, uni olio d'incomparabile dolcezza. Geltrude comprese che il Signore, per i meriti di Matilde, accorderebbe il soccorso delle sue consolazioni a tutti coloro che la pregherebbero e capì che Matilde aveva ottenuto quel favore, perché la carità l'aveva sempre animata a mostrarsi tenera e amabile verso tutti, durante la vita.

Quando il Sacerdote le fece le altre unzioni sui diversi sensi, il Signore le comunicò le opere perfette delle sue sacratissime membra. All'unzione delle labbra, quell'amante geloso delle anime, in uno slancio di tenerezza, depose su di esse un bacio più dolce del miele, comunicandole così tutto il frutto delle parole della sua sacra bocca.

Durante la recita delle Litanie alle parole: Omnes Sancti Seraphim et Cherubim, orate pro ea, Geltrude vide la falange di quegli spiriti celesti, aprire le loro file, con gioia rispettosa, per preparare un posto d'onore a quell'eletta di Dio. Conveniva ch'ella fosse posta nei ranghi superiori degli spiriti più vicini alla divina Maestà, perché con la sua verginale santità aveva condotta in terra vita angelica. Oltrepassando il coro degli Angeli aveva attinto coi Cherubini, alla sorgente dell'infinita Sapienza, i torrenti dell'intelligenza spirituale; coi Serafini ardenti ella aveva stretto fra le braccia della carità Colui che è fuoco consumatore: ignis consumens est (Deut IV, 24).

Man mano che nelle litanie s'invocava il nome dei Santi, ciascuno di essi si alzava con riverente gaudio e deponeva i suoi meriti, sotto forma di doni preziosi, nel seno del Signore, perchè li offrisse alla sua diletta, accrescendo così la sua gloria e beatitudine.

Dopo le sante unzioni il Signore la prese amorosamente fra le braccia custodendola per ben due giorni, con le labbra applicate alla ferita del divin Cuore, in modo ch'ella sembrava aspirarvi il soffio vitale; rimandandolo poi in quella sacra apertura.

S'avvicinava l'ora gioconda dei trapasso, l'ora nella quale il Salvatore avrebbe dato alla sua eletta il dolcissimo sonno dell'eterno riposo, dopo i dolori delle terrene fatiche. Era la terza feria, vigilia di S. Elisabetta, prima di Nona, quando Matilde entrò in agonia. La Comunità accorse devotamente per accompagnare, con le solite preghiere, la partenza di quell'anima tanto amata nei Cristo.

Geltrude, più fervente delle altre, vide l'anima della malata sotto forma di una bella giovinetta che stava ritta davanti al Signore, esalando nella ferita del divin Cuore, il soffio ché ivi aveva aspirato. L'adorabile Cuore parve allora non poter più contenere il torrente della sua bontà e della sua dolcezza: ogni volta che aspirava il soffio dell'agonizzante, Egli faceva piovere, con slancio d'amore, abbondante rugiada di grazie su tutta la Chiesa e specialmente sulle persone presenti.

Geltrude ebbe l'intelligenza di questa visione. In quel momento la Santa agonizzante, per grazia di Dio, allargava il desiderio di bene al mondo intero e a tutti i defunti. Gesù accordava grazie universali.

Durante l'antifona Salve Regina, alle parole Eja ergo advocata nostra, l'eletta da Dio, sul puntò di spirare, si rivolse con amore alla Vergine Maria e le raccomandò le consorelle che stava por lasciare, pregandola di circondarle, per amor suo, di speciali tenerezze. Ella le ricordò che durante tutta la vita era stata, fra le sorelle, un'avvocata benevola, premurosa, previdente e pregò la Madre di misericordia di difendere le loro cause intercedendo presso il suo Figlio per la comunità.

La Vergine accolse questa preghiera e, posando le sue mani benedette su quelle della morente, mostrò di accettare in eredità il Monastero che le veniva confidato. Mentre si recitava la breve preghiera: Ave Jesu Christe, alle parole via dulcis, Gesù, tenero Sposo di Matilde, appianò e addolcì la via con un'effusione della sua Divinità, per attrarre a sè la sua diletta con maggior tenerezza e minore sforzo.

Durante il giorno dell'agonia ella non disse che queste parole: Jesu borse, Jesu borse! mostrando in tale modo che Colui, il cui nome ritornava così spesso sulle sue labbra, fra gli amari dolori della morte, abitava veramente nelle profondità della sua anima. Le consorelle a una a una raccomandarono alle sue preghiere i bisogni particolari. Ella non poteva parlare, ma diceva tuttavia sommessamente: « volontieri! » oppure « sì! » per mostrare con quale tenerezza trasmetteva al Signore tutte quelle suppliche.

Geltrude comprese altresì che, da tutte le membra sofferenti della malata, esalava un vapore che penetrava l'anima sua purificandola mirabilmente da ogni macchia, santificandola e rendendola atta a gustare subito l'eterna beatitudine.

Geltrude, che ebbe la conoscenza di tali cose, si propose in un primo tempo, di tenersele celate in cuore per non tradire il segreto delle sue rivelazioni; ma poi vide chiaramente che quel progetto era contrario al volerei di Dio « cujus gloria est revelare sermonem - che è glorificato quando si rivela la sua parola » e che disse: « Quod in aure auditis, praedicate super tecta - Quello che avete udito, predicatelo sui tetti » (Matt. X, 27).

Durante i Vespri di S. Elisabetta si credette che Matilde stesse per spirare. La Comunità lasciò il coro in fretta per recitare al letto dell'agonizzante le preghiere di rito. Ma Geltrude, per quanto si sforzasse di applicare i suoi sensi interiori, nulla poteva percepire di quanto riguardava la morente. Allora, riconoscendo la sua colpa, promise al Signore di far conoscere, per la sua gloria e il bene del prossimo, tutto quanto si fosse degnato rivelarle.

Dopo Compieta la malata parve, per la terza volta, spirare. Geltrude, rapita in estasi, vide quell'anima sotto l'aspetto di una graziosa giovinetta, adorna di ricchi monili, che designavano le sue lunghe sofferenze. Ella si precipitò con slancio fra le braccia di Gesù Cristo e parve attingere dalle sue Piaghe, delizie speciali, come ape la quale raccolga dai fiori miele squisito.

Mentre si recitava il Responsorio « Ave Sponsa Virginum Regina, Rosa sine spina - Salve, Sposa, Regina delle vergini, rosa senza spine», la gloriosa Vergine si avanzò e dispose ancor meglio l'anima di Matilde a godere le delizie di una beatitudine immediata. Allora in virtù dei meriti di sua Madre, in virtù soprattutto della dignità che le ha meritato il titolo di Madre Vergine, il Signore Gesù, prese una collana, riccamente adorna di gemme preziose e la pose al collo della morente. Volle conferirle il privilegio di essere chiamata ella pure vergine madre, come la Regina del cielo, perchè aveva generato il Cristo nelle anime con uno zelo ardente d'amore.

Nella notte della festa di S. Elisabetta, appena iniziato il Mattutino, lo stato di Matilde si aggravò a tal punto che si credette imminente la morte: la Comunità lasciò il coro ed accorse secondo l'uso al capezzale dell'inferma.

Apparve allora Gesù, come uno Sposo raggiante d'onore, di gloria, adorno di tutto lo splendore della Divinità. Egli si rivolse alla morente con bontà: « Presto, mia diletta, ti esalterò allo sguardo delle persone a te più vicine, cioè alla presenza di questa Comunità che prediligo ».

Poi in un modo ineffabile ed incomprensibile, salutò quella beata anima, attraverso le ferite del suo sacratissimo Corpo, in guisa che ciascuna aveva quattro modi dolcissimi e pieni di grazia per chiamare l'anima che stava per lasefare la terra. Era un suono melodioso, un sapore pieno di virtù, un'abbondante rugiada, una luce ineffabile. Il suono melodioso che superava tutte le armonie simboleggiava le parole che la Sposa di Cristo aveva detto durante la vita, sotto l'influenza del divino amore, o spinta dalla brama di procurare la salvezza del prossimo: esse erano fruttificate al centuplo, e attraverso alle sacmtissime Piaghe di Gesù, ritornavano a lei per arricchirla. Il meraviglioso vapore significava i desideri ch'ella aveva avuto di lodare Dio, glorificandolo con la salvezza del mondo intero. Anche questi desideri ricevevano ricompensa dalle dolci ferite del Salvatore Gesù. L'abbondante rugiada esprimeva l'ardente amore ch'ella aveva sempre avuto per Dio e per il prossimo in vista di Dio, amore che le comunicava delizie ineffabili attraverso le Piaghe, adorabili di Gesù. Infine la luce brillante era il simbolo dei diversi dolori di anima e di corpo, che aveva sopportato in vita: tali sofferenze, nobilitate in modo stupendo per l'unione alla Passione di Cristo, santificavano l'anima sua, trasfigurandolai in un divino splendore.

La morente riposava in mezzo a queste celesti consolazioni, e invece di sciogliersi dai legami terreni aspirava a beni superiori, preparati dal suo Diletto. Su tutte le persone presenti il Signore riversava l'abbondante rugiada della sua divina benedizione, dicendo: « La mia bontà si compiace di mostrare ai membri di questa Comunità che mi è così cara, la trasfigurazione che compio nella mia Sposa. Questa grazia le varrà in cielo, davanti a tutti i Santi, l'onore di cui godono i miei apostoli prediletti Pietro, Giacomo, Giovanni, scelti come testimoni della mia trasfigurazione sul Tabor ».

Geltrude chiese allora: « Quale vantaggio procura questa benedizione e l'effusione delle tue grazie a delle anime che non vedendo tali cose, non ne gustano il sapore?». Rispose Gesù: « Quando un uomo riceve dal suo signore il dono di un ricco frutteto, non può conoscere il gusto dei frutti che produrrà: aspetta la stagione della maturanza. Così quando io diffondo la mia grazia su di un'anima, essa ne gusta la dolcezza soltanto se, con la pratica generosa della virtù, spezza la scorza delle voluttà terrestri e si nutre con la mandorla delle consolazioni interiori ». Il Signore benedisse in seguito la Comunità che ritornò in coro per terminare il Mattutino.

Mentre si cantava il XII responsorio: « O Lmpas » l'anima di Matilde apparve ritta, davanti alla Trinità suprema, in atto di pregarla con fervore per la Chiesa. Dio Padre la salutò con le stesse parole, cantando anche la dolce melodia: « Ti saluto, o mia eletta perchè, per gli esempi della tua santa vita, puoi essere chiamata « la lampada della Chiesa dalla quale scorrono ruscelli di olio: Lampas Ecclestae, rivos fúndens olet »; cioè i rivoli benedetti delle tue preghiere che si diffondono su tutta la Chiesa ».

Il Figlio di Dio disse a sua volta: « Rallegrati, o mia sposa: tu sei chiamata, a buon diritto « medicina gratiae - rimedio della grazia », perchè con le tue suppliche molti riceveranno grazie più abbondanti. In seguito lo Spirito Santo cantò: « Salve, o mia immacolata, tu sarai chiamata, con giustizia « nutrimentum fidei - alimento della fede » perché la virtù della fede sarà rinvigorita e temprata nei cuori di coloro che crederanno piamente a quanto si opera in te, non corporalmente, ma spiritualmente.

Dio Padre allora le fece parte della sua onnipotenza, affinchè l'offrisse come una protezione assicurata - (tutelam) - a tutti coloro che temendo - (paventibus) - della fragilità della loro natura, non hanno ancora un'assoluta confidenza nella bontà divina. Lo Spirito Santo le conferì il dono di riscaldare le anime tiepide - (calorem minus fervidis) - col fervore della sua carità. Infine il Figlio di Dio le concesse in unione con la sua santissima Passione e morte, di guarire - (medelam) - tutti i languenti nel peccato - (languidis). Allora la moltitudine degli Angeli e dei Santi, si mise a esaltarla davanti al Signore, dicendo: « Tu Dei saturitas, oliva fructifera, cujus lucet purttas et resplendent opera - In te Dio si sazia, oliva feconda, la cui purezza brilla e le opere risplendono ». A quelle parole: « cujus lucet puritas » i Santi onorarono il dolce riposo che il Signore si era degnato prendere in quell'anima: alle parole et resplendent opera, esaltarono la purezza d'intenione che aveva avuto in ogni atto. Infine tutti i Santi intonarono ad alta voce l'antifona: Deus palam omnibus revelans justitiam, salutarem gentibus per hanc infudit gratiam - Dio, che ha rivelato la sua giustizia a tutti, ha diffuso, per mezzo di quest'anima, la sua grazia sulle nazioni ».

Durante il prefazio della S. Messa in canto, Gesù, lo Sposo raggiante di gioventù e di bellezza, apparve come rivestito di una nuova gloria e si pose in modo che il suo Volto adorabile era in linea retta davanti a quello della Morente, tanto da poterne attrarre il respiro. Egli fissò i suoi divini occhi in quelli della sua Sposa per illuminarla, santificandola con maggiore abbondanza onde prepararla all'eterna beatitudine.

L'ora desideratissima si avvicinava, nella quale la sposa di Cristo, perfettamente adorna secondo il gusto del Diletto, doveva entrare nella camera nuziale. Allora il Dio di maestà, inondato Lui stesso di delizie, l'investi con la luce della sua Divinità e intonò questo dolce invito: « Vieni, o benedetta dal Padre mio, ricevi il regno che ti è stato preparato. Levati, af frettatt, amica mia». Le ricordò anche il preziosissimo dono del suo Cuore (I) che le era stato accordato alcuni anni prima, come pegno del suo amore, pronunciando le stesse parole, e le consolazioni che da quel giorno le aveva sempre prodigate. Salutandola teneramente, le chiese: « Ov'è il mio pegno? ». A queste parole ella aperse il suo cuore con le mani e lo pose davanti al suo diletto Signore. Egli applicò il suo adorabile Cuore a quello della sua Sposa, l'assorbì in se stesso per la virtù della sua divinità e l'unì felicemente alla sua gloria.

Possa ella nella sua felicità immensa, ricordarsi delle anime care e ottenerci la grazia del divino amore!

Mentre si faceva la raccomandazione dell'anima, secondo l'uso, il Signore apparve assiso nella maestà della celeste gloria, accarezzando teneramente l'anima che riposava sul suo seno.

Quando si recitò: c Subvenite, Sancti Dei: occurrite, Angeli Domini, suscipientes animam ejus - Soccorretela, Santi di Dio: Angeli di Dio, venitele incontro. Ricevete la sua anima », gli Angeli, vedendola accolta con tanto onore dal Signore, vennero a incontrarla, piegando il ginocchio come vassalli che ricevono un feudo dalle mani del sovrano; essi constatarono che i meriti che avevano offerto alla diletta Sposa di Cristo al momento dell'Estrema Unzione, erano raddoppiati e nobilitati. I Santi fecero ciascuno come gli Angeli, quando nelle Litanie venne invocato in particolare il loro nome.

Geltrude si senti ispirata a chiedere a Matilde di pregare per la conversione delle persone ch'ella aveva particolarmente amato. Ella rispose: « Vedo in piena luce di verità come l'affetto che ebbi per le anime in terra, paragonato all'amore che loroi porta il divin Cuore, è come una goccia di rugiada di frontq all'oceano. Capisco pure le mire di Dia permettendo che abbiano certi difetti; è per farle crescere in umiltà, o per dare loro il merito di una lotta perseverante. Non posso dunque, neppure per un attimo, volere altra cosa di quello che il mio Signore ha ordinato nella sua sapienza, così mi prodigo in continui ringraziamenti per i decreti ammirabili della divina Bontà ».

Il giorno dopo alla prima S. Messa che era Requiem aeternam, l'eletta di Dio parve porre delle cannule d'oro che andavano dal Cuore di Gesù verso tutti coloro che avevano per essa una divozione particolare. Così quelle cannule, dovevano attingere nel Cuore divino, tutto quello che desideravano. A ciascuna di esse si adattava un filo d'oro coi quale attraevano quanto bramavano, dicendo queste parole o altre consimili: « Per l'amore che ti ha spinto, o Gesù, a colmare di beni la tua eletta Matilde, o altro eletto, come tutte le anime privilegiate che non hanno messo ostacolo alle tue grazie, per l'amore altresì che ti ha portato a diffondere i tuoi beni in terra e in cielo, esaudiscimi, o Gesù, in nome di Matilde e dei tuoi Santi ». Tali parole, dette con fiducia, piegheranno facilmente la divina clemenza a esaudire qualsiasi preghiera.

All'Elevazione della sacratissima Ostia, Matilde parve desiderare di essere offerta al Padre con l'Ostia Santa per la sua gloria e la salvezza del mondo. Perciò il Figlio di Dio, che non lascia insoddisfatto nessun desiderio dei suoi eletti, l'attrasse a sè e la presentò al Padre con l'Ostia Santa: indi procurò di diffondere i salutari effetti del Sacrificio, raddoppiato in un certo senso da quell'unione, irradiando nuovi tesori in cielo, in terra, nel purgatorio.

Un'altra volta Geltrude vide nuovamente la beata Matilde nella gloria, e le chiese che cosa aveva guadagnato per la recita che le sue amiche avevano fatto a suo onore dell'antifona: « Ex quo omnia, per quem omnia, in quo omnia, ipsi gloria in saecula - Tutto da Lui, tutto per mezzo di Lui, tutto è in Lui: a Lui sia gloria in eterno » ripetuta tante volte quanti giorni essa era vissuta in terra, come delle SS. Messe in onore della SS; Trinità che avevano fatto celebrare in numero uguale agli anni della sua vita. Tali preghiere e SS. Messe avevano per scopo di rendere a Dio gloria e ringraziamenti per i benefici accordati a quell'anima. Rispose Matilde: « Il Signore mi ha ornata di magnifici fiori in numero corrispondente alle volte ch'esse hanno recitato l'antifona: « Ex quo omnia; per tali fiori, a me attraggo, dal dolcissimo Cuore di Gesù, un sapore che vivifica. Per le SS. Messe Egli mi dà, in ricambio delle lodi che gl'indirizzo, un certo aroma che ricrea, in modo delizioso ed ammirabile, tutti i sensi dell'anima mia».

In altra occasione Geltrude, baciando le Piaghe del Signore, recitò cinque Pater e li offerse a Dio, per supplire alle preghiere che la sua estrema debolezza le aveva impedito di recitare per Matilde,, durante la malattia e dopo la sua morte. Parvero allora uscire dalle Piaghe del Signore cinque fiori di meravigliosa freschezza chè stillavano, in virtù di quelle sacre ferite, un balsamo profumato di perfetta purezza e vigore stupendo. Geltrude salutò teneramente Matilde, dicendo: « O eletta Sposa di Cristo, gradisci benevolmente questi fiori, che sono germogliati dalla sovrabbondanza della divina bontà, ricevili come un primo acconto del debito che non posso ancora pienamente sodisfare; adornati di essi per accrescere i tuoi meriti e prega lo Sposo divino per me che sono così miserabile ».

Matilde rispose: « Quello che mi procura maggiori delizie si è di ammirare questi fiori, nobilitati dal contatto delle dolci Piaghe del Salvatore, perchè quando le toccherò col mio desiderio per spremerne il profumo, subito, in virtù di queste benedette ferite,, stilleranno in abbondanza un salutare liquore che recherà il perdono si peccatori e la consolazione ai giusti ».


CAPITOLO V. - SI PARLA DELL'ANIMA DELLE SORELLE M. ED E.


Due giovanette di nobile nascita, ma ancora più nobili per elevatezza di cuore, sorelle non solo di sangue, ma anche di anima e di virtù, dopo d'aver trascorso l'infanzia nell'innocenza e nella pratica della religione, furono chiamate alle nozze eterne dallo Sposo immortale, mentre erano ancora nel fervore del noviziato.

La prima morì nella festa dell'Assunzione di Maria SS., proprio nel giorno delle sue mistiche nozze; l'altra la seguì un mese dopo. Il loro ultimo combattimento fu gloriosissimo: parole e atti respiravano acceso fervore, divozione ammirabile e volontà eccellente; tanto dell'una come dell'altra si possono narrare grandi cose.

La prima così felicemente spirata il giorno dell'Assunta, apparve a Geltrude: Era davanti al trono di gloria del Signore Gesù, circondata di luce e adorna di vari ornamenti. Ella però stava davanti a Lui come una Sposa timida, tentando di chinare il viso e non osando nè aprire, nè alzare gli occhi, davanti alla gloria di una maestà così grande. Geltrude, spinta da zelo, disse al Signore: « O Dio di bontà, lasci tu cotesta tua piccola Sposa davanti a Te, quasì in contegno di straniera e non la chiami ai dolci tuoi amplessi? ». Tali parole parvero commuovere la tenerezza del Signore, il quale tese le mani verso quell'anima in atto di abbracciarla. Ma essa, con una specie di rispettosa delicatezza, tentava di sfuggire al divino amplesso.

Geltrude, grandemente sorpresa, chiese all'anima: « Perchè mai sfuggi all'abbraccio di uno Sposo così amabile? ». Ella rispose: « Alcune macchie di cui non mi sono ancora purificata, me ne rendono indegna, ma se anche mi fosse dato procedere liberamente verso il mio Dio, la giustizia me lo impedirebbe, perchè sono ancora incapace di unirmi al mio glorioso Signore ».

Geltrude riprese: « Come mai ciò può essere giacché ti vedo già glorificata ed ammessa alla presenza del Signore? » L'anima rispose: « Quantunque ogni creatura sia presente a Dio, pure ciascun'anima può a Lui maggiormente avvicinarsi per mezzo della carità. Ma la beatitudine piena che consiste nella visione e nel possesso della Divinità, nessuno può gustarla se non è perfettamente purificato, e in tale stato non può entrare nel gaudio del suo Signore ».

Un mese dopo, quando la sorella della defunta entrò in agonia, Geltrude pregò molto per essa. Qualche istante dopo la sua morte la vide in un luogo di luce, adorna di abiti rossi, quasi Sposa che fosse sul punto di essere presentata ai suo Signore. Gesù apparve a lei vicino, in aspetto di giovane pieno di vigore e di bellezza: con le sue cinque Piaghe rallegrava i cinque sensi dell'anima, facendole gustare le delizie delle sue consolazioni e divine carezze.

Geltrude chiese al Signore: « O Dio di ogni consolazione, poichè sei vicino a quest'anima e le prodighi tante gioie, come mai la tristezza del suo volto tradisce una sofferenza interna? » Gesù rispose: « Mostrandomi a lei le faccio gustare le delizie della mia Umanità, ciò che non può consolarla, ma soltanto ricompensarla dell'amore che ebbe, negli ultimi istanti, per le sofferenze della mia Passione. Quando si sarà perfettamente purificata delle negligenze della sua vita passata, allora potrà rallegrarsi appieno nella mia Divinità ».

Geltrude insistette: « Come mai le negligenze della sua vita passata non furono riparate a sufficienza con la divozione da lei dimostrata nelle ultime ore, poichè è scritto che, l'uomo sarà giudicato tale quale si troverà all'estremo momento? ». Rispose il Salvatore: « Quando l'uomo giunge in fin di vita, le forze l'abbandonano e non può agire che con la volontà. Se la mia gratuita carità gli dona buon volere e santi desideri, ne ritrae vantaggio grande, ma non tale da cancellare tutte le passate negligenze, come se avesse usato sempre della volontà per migliorare la vita, quando era ancora nella pienezza della salute e dello forze ». Geltrude riprese: « Dolcissimo Gesù, non potresti nella tenera tua misericordia, cancellare tutte le negligenze di questa anima, a cui hai dato, fin dall'infanzia, un cuore affettuoso, ricco di bontà per tutti? ». Il Salvatore spiegò: « Ricompenserò senz'altro la sua tenerezza di cuore e generosa volontà di bene: ma la mia giustizia esige che le minime negligenze siano cancellate ».

In seguito accarezzò teneramente la sua Sposa ed aggiunse: « La mia diletta acconsente volentieri alle esigenze della divina giustizia: quando sarà completamente pura, la gloria della mia Divinità sarà ben sufficiente per consolarla! ». L'anima acconsentì a tali parole, e mentre il Signore pareva ritirarsi nelle profondità del cielo, ella rimase sola allo stesso posto, sforzandosi di elevarsi verso l'alto. Espiava con tale solitudine alcune leggerezze infantili che talvolta le avevano fatto gustare troppo la compagnia delle creature. Gli sforzi poi che faceva per inalzarsi, la purificavano di essersi abbandonata alla pigrizia in certi malesseri corporali.

Un'altra volta Geltrude pregò per lei durante la S. Messa e all'Elevazione disse: « Padre Santo, ti offro l'Ostia divina per quell'anìma, in nome di tutti coloro che sono in cielo, in terra e in purgatorio ». La defunta le apparve allora un po' più elevata verso il cielo e un grande numero di persone erano davanti a lei in ginocchio, sostenendo l'Ostia con le due mani. L'anima, in virtù di tale offerta, veniva attratta verso la gloria, e gustava gioie ineffabili. Ella disse: « Ora esperimento la verità di quelle parole: nessun bene fatto dall'uomo mancherà di ricompensa, nessun male sfuggirà il castigo, o prima, o dopo la morte. Infatti per avere ardentemente amato la S. Comunione, trovo grande sollievo nell'offerta del S. Sacramento dell'altare che viene fatta a mio vantaggio. Per essere stata buona con tutti, ritraggo consolazione grande da tutte le preghiere che vengono indirizzate a Dio in mio favore. Ciascuna poi di queste disposizioni mi varrà ancora un'altra ricompensa eterna in cielo ».

Quest'anima si elevava così a poco a poco verso il Paradiso, come portata dalle preghiere della Chiesa. Ella sapeva che al momento fisso, il Signore le sarebbe venuto incontro, nella moltitudine delle sue misericordie, per darle la corona regale e condurla alle gioie eterne.


CAPITOLO VI. - L'ANIMA DI S. APPARE ASSISA IN SENO A DIO


Mentre si dava l'Estrema Unzione alla Madre S. la maggiore, Geltrude recitò per essa 5 Pater, e alla fine, indirizzando la preghiera alla Piaga del costato di Cristo, domandò al Signore di lavare l'anima della morente nell'acqua di quella benedetta sorgente e di adornarle di virtù per i meriti del suo preziosissimo Sangue.

L'anima allora le apparve come una giovinetta coronata di aureola: il Signore la circondava col braccio sinistro e compiva in essa quanto Geltrude aveva chiesto. La Santa però comprese che quella sua consorella doveva vivere ancora, ed espiare con la malattia una colpa commessa contro l'obbedienza, avendo ella comunicato a un'altra inferma più di quanto le era stato permesso.

Infatti ciò avvenne perchè visse ancora cinque mesi, provando talora atroci sofferenze. Tutte poterono constatare che lei espiava così la sua colpa. Però nel giorno di cui parliamo ella mostrò una gioia grandissima, essendo venuto il Signore a visitarla con la sua grazia.

Ella tentò parecchie volte di esprimere il dono fattole da Dio, ma le forze le vennero meno e non potè spiegarsi. Geltrude che ne aveva avuto la conoscenza per rivelazione, era là presente; la malata la chiamò per nome, tese con uno sforzo ambo le mani verso di lei esclamando: « Oh ditelo voi per me, giacchè sapete tutto! ». Geltrude con piacevolezza, cominciò a narrare quanto la malata desìderava. Alcune consorelle presenti cercarono, sotto forma di congettura, di fare qualche aggiunta, ma la morente negava quei detti con energia, affermando invece che Dio le aveva rimesso le colpe, adornandola di virtù.

Dopo cinque mesi, alla vigilia della sua morte, Geltrude vide il Signore assiso, occupato a preparare nel suo seno un soggiorno comodo e gradito per la malata, mostrando grande premura di renderlo dolce e di perfetta nitidezza. La morente pareva essere a sinistra del Salvatore, coricata in letto (come lo era in realtà), ma circondata da una specie di nebbia. Geltrude, favorita da questa visione, chiese « Oh, Signore, un riposo così glorioso non pare adatto per un'anima avvolta da una simile nebbia ». Egli rispose: « Voglio lasciarla là un po' di tempo fino a quando possa presentarsi a me, perfettamente pura.».

La malata passò dunque quel giorno e la notte seguente in agonia. All'indomani Geltrude vide il Signore inchinarsi con bontà verso la morente, che da parte sua, pareva sollevarsi per avvicinarsi a Lui.

La Santa chiese: « Caro Gesù, vieni Tu verso quest'anima desolata come tenerissimo Padre? ». Egli affermò con un lieto cenno di capo. Un momento dopo, quando fu spirata, Geltrude vide ancora l'anima della defunta sotto l'aspetto di una giovane adorna di abiti bianchi e rosa, che volava al posto assegnatole. Il Signore stese il braccio sinistro per riceverla, ed ella parve appoggiarvi la testa in atto di estrema debolezza. A un tratto quel riposo non la soddisfece più, e appoggiandosi al braccio destro del Signore, volle baciare le benedette labbra di Colui che amava. Ma non potendo arrivare fin là, tentò, con un moto rapido, di baciare il sacro petto di Cristo, sul quale si lasciò cadere come estenuata. Quel riposo continuò fino a quando, nella raccomandazione dell'anima, si recitarono le parole: « Tibi supplicatio commendet Ecclesiae . Che la supplica della Chiesa ecc. ». Allora ella attinse a grandi sorsi dal seno di Cristo, ove sono nascosti tutti i tesori della beatitudine, un soavissimo ristoro che la rianimò dolcemente ridandole nuove forze.


CAPITOLO VII. - LIETO TRAPASSO DI M. DI SANTA MEMORIA


Quando S. M. di santa memoria giunse ai suoi ultimi istanti, Geltrude pregava con la Comunità e diceva fra l'altro a Gesù: « Perchè, amatissimo Signore, non esaudisci le preghiere che inalziamo per essa? ». Egli rispose: « Il suo spirito spazia in tali altezze da non poter essere consolato in modo umano ». Geltrude Insistette: « In virtù di quale giudizio? ». E il Signore: «Ho messo il mio segreto in essa, come ebbi già, il mio segreto con essa ». La Santa persistette nel voler sapere come quell'anima si sarebbe sciolta dal corpo. Gesù le disse: « La mia divina virtù l'assorbirà, come il sole cocente una goccia di rugiada.» Geltrude volle anche sapere perchè Gesù la lasciava in preda al delirio. Il Salvatore rispose: « Per mostrare che la mia azione agisce più nell'intimo dell'anima che alla superficie ». E Geltrude: « La tua grazia, o Gesù, potrebbe raggiungere lo stesso effetto illuminando i cuori ». Egli spiegò: «Come mai questa grazia agirebbe su coloro che non scendono mai nella profondità della loro anima, ove è mia abitudine infondere la grazia? ». Geltrude pregò poi il suo Sposo divino di concedere a Suor Matilde il dono dei miracoli, almeno dopo la morte, per la gloria di Dio, e per confermare le sue rivelazioni, confondendo così gli increduli. Allora il Signore, tenendo il libro delle rivelazioni di Matilde con due dita, disse: « Forse che non mi è dato riportare vittoria anche senza armi? » E aggiunse: « Quando l'ho creduto. necessario, ho sottomesso i popoli e i regni con grandi prodigi, Coloro che hanno esperimentato l'effusione della mia grazia, possono oggi facilmente prestare fede prudente alle rivelazioni. Non posso però soffrire i perversi che contraddicono questi scritti; del resto trionferò di essi come degli altri ».

Geltrude capì allora come il Signore veda con dolce riconoscenza le anime fedeli credere senza difficoltà all'abbondante effusione della grazia che riversa sugli eletti, non secondo il loro merito, ma secondo l'infinita bontà del suo Cuore.

Mentre veniva conferita l'Estrema Unzione alla morente, Geltrude vide Gesù toccare con la mano il cuore di Matilde, dicendo: « Quando questa mia felicissima Sposa sarà sciolta dal corpo e immersa nell'oceano donde è uscita, diffonderò le onde abbondanti della mia beatitudine su coloro che la affezione ha condotto intorno al suo letto ».

In seguito, prolungandosi l'agonia, Geltrude con altre suore perseverava in preghiera vicino a Matilde. Ella conobbe che il Signore arricchiva le persone presenti con tre benefìci: il primo era il compimento dei loro giusti desideri, il secondo un aiuto speciale che riceverebbero per correggere i loro difetti (queste due grazie dovevano essere più facilmente ottenute in quel luogo, per i meriti di Matilde). Il terzo beneficio fu l'ampia benedizione che il Signore diede a tutti stendendo la mano.

Geltrude meditava quelle cose con profonda gratitudine, quando alcuni momenti dopo, vide il Signore delle virtù, il Re di gloria, più avvenente degli Angeli e dei Santi, stare seduto a capo del letto e ricevere nel suo sacratissimo Cuore, dal lato destro, il respiro che, quasi brillante arco d'oro, sfuggiva dalle labbra dell'agonizzante. Dopo d'avere goduto a lungo di quella deliziosa visione, mentre si ricominciarono i salmi: « Deus, Deus meus respice in me » (Sal. XXI) e precisamente alla fine del salmo: « Ad Te levavi animam meam » (Sal. XXIV) il Signore si chinò sull'agonizzante e, con infinita tenerezza, l'abbracciò due volte, quale amatissima Sposa.

Durante la recita dell'antifona « Ut te simus intuentes - Affine che noi possiamo vederti », la gran Madre di Dio, l'illustre Vergine di stirpe regale, apparve ammantata di porpora: si inchinò teneramente sulla Sposa del suo Figlio e, prendendole la testa con le due mani, la dispose in modo che il suo respiro potesse giungere direttamente al Cuore divino.

Mentre si recitava la breve invocazione: « Ave, Jesu Christe, Verbum Patris - Salve, o Cristo, Verbo del Padre », il Signore apparve trasfigurato in una meravigliosa chiarezza, col volto raggiante come il sole nel più splendido meriggio. A tale vista Geltrude ebbe un trasporto di ammirazione, ma rientrando ben presto in se stessa, vide la rosa brillante del cielo, la Vergine Maria che, gioiosa di mirare il Figlio suo unito a quella nuova amabile Sposa, lo stringeva fra le braccia, baciandolo con tenerezza.

Geltrude comprese allora che l'unione eterna era consumata per Suor Matilde. La sua bell'anima, assetata di Dio, era stata introdotta nella cella traboccante di felicità paradisiaca, ove si trovava per sempre immersa nell'abisso infinito della vera beatitudine.


CAPITOLO VIII. - SI NARRA DELL'ANIMA DI M. B. CHE VENNE SOCCORSA DAI SANTI


Durante l'agonia di M. B., di santa memoria, Geltrude si raccolse in se stessa e si sforzò, con la grazia di Dio, di scoprire quanto avveniva intorno all'ammalata. Dopo un tempo abbastanza lungo, ella potè vedere soltanto che quell'anima incontrava un certo ostacolo per aver provato qualche volta, troppa sodisfazione nelle cose esteriori, come per esempio; di avere un letto adorno di drappi d'oro e di graziosi arabeschi.

Nello stesso giorno venne celebrata per lei la S. Messa. All'Elevazione Geltrude offerse l'Ostia Santa per l'anima della defunta e comprese, senza però nulla vedere, che l'anima era presente. Volle cercarla e chiese al Signore: « Dov'è ella mai, mio caro Gesù? ». Egli rispose: « Ella viene a me raggiante di candore ». Comprese che le preghiere offerte dalle anime caritatevoli per la defunta, prima della sua morte le erano state così vantaggiose da permetterle l'immediato ingresso in cielo. Infatti alcune persone avevano avuto la carità grande di prendere su di loro i peccati della morente per espiarli, e per la grazia di Dio, le avevano fatto dono dei loro meriti.

Al momento della sepoltura Geltrude pregò ancora per lei durante la S. Messa. La vide a destra del Signore seduta a un banchetto le cui vivande erand le preghiere ed i sacrifici offerti secondo le sue intenzioni.

All'Elevazione, il Signore le presentò quell'Ostia sotto la forma di una coppa da bere. Appena ella ne ebbe gustato, fu penetrata fino all'intimo dalla soavità divina. Allora, a mani giunte, con profonda tenerezza, pregò per tutti coloro che in questa vita l'avevano contrariata con pensieri, parole, atti, poichè già gustava il merito acquistato in quelle difficoltà. Avendo Geltrude chiesto, con meraviglia, perchè mai non pregasse per i suoi amici, rispose: « Le preghiere pera i miei amici sono tanto più efficaci, in quanto le indirizzo, con maggior amore al Cuore del mio Diletto ».

Un altro giorno, Geltrude ricordò di essersi spogliata di tutti i suoi meriti in favore della defunta. Disse con tristezza a Gesù: « Spero che la tua tenera misericordia getterà più spesso uno sguardo di compassione sulla mia angoscia e sulla mia nudità ». Rispose il Signore: « Che posso fare per chi si è spogliato, a titolo di carità, se non rivestirlo dei miei stessi abiti e assisterlo, lavorando con esso, a ricuperare al più presto quanto ha elargito in spirito di carità? ».

E Geltrude: « E' inutile, caro Gesù, che Tu meco lavori: io ti giungerò senz'altra spoglia di tutto, perchè ho rinunciato ai meriti futuri come ai passati ». « In verità - riprese il Signore - una mamma lascia che i figlioli più grandicelli si vestano da soli, ma il bimbo appena nato lo tiene stretto fra le sue braccia e lo riscalda col suoi stessi abiti ». E aggiunse: « Seduta come sei alla riva dell'oceano, ti par forse di essere men ricca di coloro che si fermano alla sorgente dei ruscelli? ». Il senso è chiaro. Colui che ritiene egoisticamente il bene fatto, è seduto alla sorgente dei ruscelli, ma chi si spoglia di tutto, in spirito d'umiltà e di carità, possiede Dio stesso, abisso di ogni beatitudine.


CAPITOLO IX. - SI PARLA DELLE ANIME DI G. E DI S. CHE IL SIGNORE COLMO' DELLE SUE GRAZIE


Secondo la S. Scrittura, ciascuno sarà punito nel modo con cui ha peccato e ciascuno sarà ricompensato secondo avrà ben agito e ben sofferto. A profitto del lettore, aggiungiamo quanto segue.

Nel Monastero vi furono due malate contemporaneamente. Una così evidentemente affetta da etisia, che venne circondata, com'era conveniente, da ogni sollecitudine.

L'altra, avendo una malattia non ben definita e meno grave, non fu curata con la stessa premura.

Ma, essendo assai spesso falso il giudizio umano, avvenne che quest'ultima; della quale si sperava la guarigione, morì un mese prima dell'altra. Al termine dei suoi giorni, ella si era santificata, in pazienza grande e acceso fervore, ma non era ancora perfettamente pura; perciò l'infinita tenerezza del nostro amorosissimo Signore, che non può soffrire ombra di macchia in una Sposa, volle purificarla della poca premura che aveva avuto nel ricevere il Sacramento della Confessione.

Infatti non sentendosi colpevole di peccato grave, ella aveva trascurato di farsi assolvere dal Sacerdote, per togliere dall'anima quella polvere di venialità, che è inerente alla fragile natura umana. Talvolta aveva perfino simulato di dormire, quando arrivava il Sacerdote, per non ricevere tale Sacramento.

Ecco come il fedelissimo Amico delle anime la purificò; nel momento in cui stava per entrare con gioia nella camera nuziale dell'eternità.

Appena ella ebbe chiesto ansiosamente il confessore perdette l'uso della parola. Lo spavento che provò al pensiero di dovere, dopo morta, espiare le colpe che non poteva confessare, bastò a purificare la sua anima. Allora tutta bella e immacolata, quell'anima diletta da Dio, si svincolò dalla prigione del corpo per entrare, raggiante di gloria incomparabile, nel palazzo celeste. Tale entrata in cielo diede luogo a molte rivelazioni: noi ne citeremo soltanto una per l'edificazione del lettore.

Quando quell'anima arrivò davanti al trono di gloria, il Signore volle, con privilegio particolare, disporla Lui stesso a ricevere ciascuna ricompensa, che voleva accordarle; si mostrò simile a una tenera madre che colma di carezze il bimbo malato, per fargli accettare la medicina che deve guarirlo. Il Signore agiva in tal modo per ricompensare la pena che aveva provato talora vedendo che, mentre si usava ogni delicatezza alla consorella malata, non si aveva punto riguardo per lei.

Gesù chiese allora a quell'anima beata: « Dimmi, figlia mia, che vuoi che faccia per la tua compagna? Quale consolazione brami che le prodighi? Sulla terra ella poteva scegliere il cibo che più gradiva e tu, che ne avresti desiderato un altro, ti adattavi alla sua scelta. Adesso lascio a te la scelta della consolazione e dei benefici che intendo accordarle a Ella rispose: « O mio dolcissimo Gesù, dalle tutto quello chi accordi a me stessa, perchè non so immaginare niente di migliore». E il Signore l'assicurò, con bontà, che l'avrebbe accontentata.

Un mese dopo morì l'altra consorella che apparve in una luce meravigliosa di bellezza, all'indomani della sua morte. Quello splendore le conveniva perchè, durante tutta la vita, era stata ricca d'innocente semplicità, sempre intesa alla fervente osservanza della S. Regola.

Le restava però ancora una macchia perchè, come dicemmo, durante la malattia si era compiaciuta in qualche superfluità e dei piccoli doni, gentilezze e conforti che le Suore le avevano prodigato.

Ecco come venne purificata. Sembrava stare alla porta del cielo, rivolta verso il Re di gloria, che a lei si manifestava nella sua incomparabile avvenenza, dolce ed amabile al di là di ogni umana espressione.

Egli attirava l'anima che pareva venir meno per il desiderio di incontrare Lui; ma non poteva giungervi, perchè ritenuta alla soglia da chiodi che trattenevano a terra i suoi abiti, simbolo delle mancanze leggere che aveva commesse durante la malattia.

Geltrude, favorita da questa visione, commossa di pietà, pregò per la defunta, e la divina clemenza la liberò da quegli ostacoli.

Geltrude chiese al Signore: « La cara defunta ha fra di noi molte persone amiche; come mai furono le sole mie preghiere che l'hanno liberata? Chissà quanti avranno pregato per lei, fidenti nella tua misericordia ». Rispose il Salvatore: « Ho accolto tutte le suppliche che mi si rivolsero per la mia diletta Sposa; nella mia infinita bontà ho risposto oltre le speranze di chi mi pregava. Però, non avendo svelato l'ostacolo che mostrai a te, nessuno mi ha pregato di toglierlo ».

E Geltrude: « Tu hai affermato, mio amorosissimo Gesù, che avresti dato a quest'anima lo stesso bene che hai concesso alla consorella che l'ha preceduta; come ciò può avvenire? La prima ti ha servito più a lungo nella religione, ella esercitò maggiori virtù, infine è a te salita senza ostacolo alcuno, in una pienezza maggiore di gloria ». « La mia giustizia non muta » affermò il Signore. « Ciascuno riceve il premio dovuto al suo lavoro, nè capiterà giammai che colui che ha meritato meno, riceva di più di chi ha maggiormente faticato; però può darsi che certe circostanze aumentino il pregio degli atti, per esempio un'intenzione più retta, una lotta più intensa, una carità più ardente. La mia bontà poi aggiunge sempre qualche cosa alla ricompensa dovuta a ciascuno. Talora anche le preghiere dei fedeli, o altre circostanze meritorie, fanno, sentire la loro influenza. Secondo queste regole ho uguagliato le due defunte, pur rimunerandole secondo i loro meriti».

Per renderci sempre più convinti che bisogna veramente temere qualsiasi attacco alle cose della terra, quell'anima beata pareva ancora trattenuta da qualche ostacolo. Sembrava infatti a Geltrude che ella si tenesse davanti al trono di Dio con lo stesso desiderio di andare a Lui, proprio come quando era fissata alla porta dai chiodi: avrebbe voluto precipitarsi fra le braccia del suo Diletto e godere gli amplessi di quello Sposo più bello di tutti i figlioli degli uomini «che gli angeli desiderano contemplare: in quem desiderant Angeli prospicere » (I Pet. 1, 12), ma vi era ai suoi piedi un ostacolo che non riusciva a sormontare.

Poco dopo esso venne tolto, eppure l'anima non poteva ancora gustare una gloria completa! Il Signore teneva in mano una corona di ricchezza meravigliosa, e la defunta non avrebbe avuto delizia piena, se non dopo di averla ricevuta.

Geltrude chiese: « Come va, o Gesù mio, che nel tuo stesso regno, un'anima può essere torturata da una simile attesa? ». « Non è torturata - rispose - ella attende la sua perfetta glorificazione come una giovinetta la vigilia di una festa, che vede con gioia nelle mani della mamma gli ornamenti con cui si adornerà il giorno seguente ».

Quell'anima in seguito gettò uno sguardo su Geltrude che aveva pregato per lei e la ringraziò con grande tenerezza. Geltrude disse: « Tu mi avevi sempre amata; però nell'ultima malattia non hai preso volentieri gli avvisi che ti davo ». « E' vero - rispose l'anima - e le tue preghiere mi sono state più utili, perchè le hai fatte unicamente per la carità e l'amore di Dio ».


CAPITOLO X. - SI PARLA DI S. CHE MORI' TUTTA FERVENTE DI DIVINO ARDORE


In seguito morì un'altra giovane monaca. Dall'infanzia fino all'ora della morte, le sue azioni generose dimostravano il disprezzo che aveva del mondo e delle sue seduzioni.

Nel giorno della morte, mentre stava per entrare in agonia, ella salutò teneramente le persone presenti, promettendo ricordo di preghiera quando fosse comparsa davanti a Dio, oceano infinito d'ogni bene.

L'avvicinarsi della morte accrebbe le sue sofferenze; ed ella disse al Signore con tutto lo slancio del cuore: « Caro Gesù, tu conosci tutti i miei segreti e sai che avrei voluto servirti fedelmente fino alla decrepitezza; siccome però tu mi chiami all'eternità, tutta la mia brama di vivere si muta in desiderio di vederti; tale sete di mirarti è così intensa, che cambia per me in dolcezza tutte le amarezze della morte. Se però tu, volessi sarei pronta a sopportare questi dolori fino al giorno del giudizio, quand'anche fossimo al principio del mondo. So peraltro che nelle tua infinita bontà mi chiamerai oggi stesso all'eterno riposo; tuttavia ti prego di differire tale gioia fino al momento in cui i dolori avranno sodisfatto le colpe delle anime del purgatorio che tu desideri maggiormente di liberare. Tu sai, o Signore, che io conto per nulla me stessa e che non ho di mira che la tua gloria ».

Dopo queste e simili parole che non scriviamo per brevità, l'infermiera la pregò di permetterle di stenderle le gambe già contratte per la vicina morte. Rispose: « Voglio io stessa offrire questo sacrificio al mio Signore crocifisso ». E tosto con un'energica mossa stese le gambe, dicendo: « Mi unisco a quell'ardente amore che ti fece gettare un gran grido, o mio Gesù, quando hai reso lo spirito al Padre; a questo stesso fine ti offro tutti i movimenti dei miei piedi ». Anzi con divozione grande, abbandonò a Dio tutte le parti del corpo: occhi, mani, orecchie, bocca, cuore.

Chiese poi che le si leggesse la Passione di Gesù e indicò con la sua mano le parole: « Sublevatis oculis (Jesus) in coelum, perchè pensava che se si fosse cominciato a leggere da principio: Ante diem festum, non avrebbero fatto a tempo a terminare. Infatti quando si giunse a quel punto « Et inclinato capite tradidit spiritum », ella chiese il Crocifisso, considerando con tenerezza ciascuna delle Piaghe; le salutò con ringraziamenti e loro confidò la sua anima con parole così dolci e ricche di divina sapienza, che tutte ne furono rapite ed ammirate.

Ma in breve ricadde sfinita e qualche minuto dopo s'addormentò beatamente in Dio.

S. Geltrude vide che il Signore l'accolse con un tenero amplesso, dandole una corona splendida e affatto speciale per avere avuto il virile coraggio di calpestare il mondo per seguirlo fedelmente. S'intesero i gioiosi cori angelici che la scortavano al cielo: « Chi è costei che sale dal deserto - cantavano essi - colma di delizie e appoggiata al Diletto? » (Cant. VIII. 5).

Quando giunse al trono di gloria, Gesù, Sposo delle vergini, la pose davanti a sè e le disse teneramente « Tu sei la mia gloria! ». Poi si alzò e la fece sedere sul trono celeste. Il giorno seguente, che era quello della sepoltura, Geltrude, pregando nuovamente per essa; la vide in una gloria e in una gioia sconosciuta ai poveri mortali. Chiese quale ricompensa aveva ottenuto per tale e tal'altra virtù che l'aveva vista praticare in vita; ed ebbe, per i meriti della defunta, una partecipazione spirituale alla sua celeste gioia.

La defunta le chiese: « Cosa brami ancora di sapere riguardo alla mia eterna ricompensa? L'arca celeste ove abita corporalmente tutta la pienezza della Divinità, il dolcissimo Cuore di Gesù, nostro Sposo, mi è del tutto aperta, tranne un angolo segreto, dove non ho meritato di penetrare. Quello che colà si trova è riservato alle anime che sulla terra hanno amato totalmente Dio, da farne conoscere con zelo i beni che avevano ricevuti, perchè fosse maggiormente glorificato. Io non ebbi questa carità, ma ho goduto da sola, in segreto col mio Diletto, i beni di cui mi favoriva, così non posso penetrare in quel tesoro nascosto! ».

Geltrude chiese allora: « Quando i tuoi e i miei amici m'interrogheranno su quanto io so dei tuoi meriti, cosa devo rispondere, poichè la parola male sa tradurre simili dolcezze? ». Ella rispose: « Se tu avessi aspirato ii profumo di mille fiori, che cosa potresti dire se non che hai goduto e grandemente goduto delle fragranze di ciascuno? Così, dopo d'aver avuto una debole idea della mia gloria in cielo, tu non potrai dire altro che questo, che per ciascuno dei miei pensieri, parole, opere, il dolcissimo e fedelissimo Amico delle anime mi ha accordato una magnifica ricompensa, infinitamente superiore ai miei meriti».

Edited by Domenico-89 - 24/6/2016, 05:43
 
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