Amiamo Dio con Gesù e Maria

4° Libro, Capitoli 51 a 59

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view post Posted on 14/8/2010, 15:34
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Domenico-89

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CAPITOLO LI

NASCITA DELLA BEATA VERGINE MARIA

Nella Natività della beata Vergine, mentre Geltrude recitava tante Ave Maria quanti giorni quella brillante Stella del mare aveva impiegato a crescere nel seno materno, chiese quali favori otterrebbero le anime che avessero compiuta la stessa divozione, con slancio d'amore.

Rispose la dolcissima Vergine: «Esse divideranno meco ne' cieli, le gioie che ho ricevuto, e che ricevo ancora per le virtù di cui la SS. Trinità volle abbellire ogni giorno l'anima mia».

Durante l'antifona « Ave decus » ella vide aprirsi il cielo. Un magnifico trono, portato dagli angeli, venne deposto in mezzo ai coro. Su di esso la celeste Regina si sedette maestosamente, mostrando col viso dolce e amabile che era pronta a esaudire i desideri della Comunità. I Santi Angeli circondavano il trono e lo sorreggevano con riverenza, prodigando ferventi omaggi alla degnissima Madre del loro Signore. La falange innumerevole degli spiriti celesti si unì ai due cori salmodianti, lodando cogli stessi inni la Sovrana di gloria. Un Angelo stava davanti a ciascuna persona portando un ramo fresco e verdeggiante; questi rami producevano fiori e frutti vari, secondo le disposizioni dellapersona davanti alla quale era collocata. Quando tutto fu finito, gli Angeli volarono a portare festosamente i rami fioriti alla Vergine Maria, e si dìsposero con rispetto intorno al trono della grande Regina per aumentarne la gloria e la bellezza. Geltrude chiese allora alla Madre di Dio: « Ahimè, dolcissima Signora, come sono triste di non poter salmodiare le tue lodi con i cori angelici ». L'amabile Vergine rispose: « La tua buona volontà, figlia mia, supplisce a tutto ed il fervore col quale hai assistito al Vespro per onorarmi, usando secondo la tua abitudine, del melodioso istrumento del dolcissimo Cuore di Gesù, sorpassa di molto ogni omaggio esteriore. Per dartene prova evidente voglio io stessa presentare alla SS. Trinità sempre adorabile, come offerta preziosissima, il ramoscello che la tua buona volontà ha adornato dei fiori più belli e dei frutti più squisiti ».

Durante Mattutino ella vide in spirito come i Santi Angeli riunivano fiori e frutti, cioè le diverse intenzioni, preghiere, sacrifici della Comunità, per offrirli devotamente alla Vergine Maria; i fiori erano più belli, vaghi, fragranti a seconda che ciascun'anima aveva maggiormente lottato e sofferto, con intenzione più pura. Al Gloria Patri del IV Responsorio; Geltrude lodò l'Onnipotenza del Padre, la Sapienza ammirabile del Figlio, la sorprendente Bontà dello Spirito Santo, per la quale l'adorabile Trinità ha potuto, saputo. e voluto formarsi una Vergine così colma di grazia, comunicandole, per la salvezza del genere umano, l'abbondanza della sua beatitudine.

Si levò allora la Madre di Dio, e ponendosi davanti alla SS. Trinità, chiese per Geltrude, da parte dell'Onnipotenza, della Sapienza e della Bontà divina, tutte le grazie possibili a riceversi da una creatura in questa vita. L'adorabile Trinità, accogliendo favorevolmente tale supplica, diede alla Santa una celeste benedizione che la irrorò di mistica rugiada. Al canto dell'antifona: « Quam pulchra es! » Geltrude impossessandosi del Cuore di Gesù, l'offrì a gloria della sua dolce Madre. L'amabile Gesù, figlio unico del Padre, nella sua bontà, mostrò alla sua eletta quanto tale azione gli fosse gradita, e le disse salutandola con un cenno del capo: « A suo tempo ti restituirò nella mia regale munificenza, l'onore che mi hai dato, lodando in mio nome, la Regina del cielo ».

Durante l'antifona: « Adest namque Nativitas - Ecco la Natività » alle parole « Ipsa intercedat pro peccatis nostris - Ch'Ella interceda per i nostri peccati » la Madre di Dio parve offrire riverentemente al suo divin Figlio un rotolo che gli Angeli le avevano presentato, e sul quale erano scritte a caratteri d'oro queste parole: « Ipsa intercedat ». Il Figlio di Dio rispose con tenerezza: « In virtù della mia Onnipotenza, o Madre venerata, io ti accordo il potere di ottenere propiziazione, come meglio crederai, per i peccati di coloro che implorano il tuo soccorso ».

Durante la S. Messa, mentre alla sequenza: Ave praeclara, si cantavano le parole: « Ora Virgo nos illo pane coeli dignos effici - Domanda, o Vergine, che siamo resi degni di questo Pane del cielo », la Sovrana celeste si volse verso il Figlio suo, con le mani giunte, lo sguardo pieno di tenerezza, supplicando grazie per coloro che l'invocavano. Il Signore benedisse tutte quelle anime, con un salutare segno di croce per prepararle a ricevere e a conservare il Sacramento vivificante del suo Corpo e del suo Sangue.

Al versetto « Audi nos, nam te Filius nihil negans honorat - Ascoltaci, perchè il tuo Figlio si onora di nulla negarti», la gloriosa Vergine parve assidersi a lato di Gesù, su di un trono elevato. Geltrude le chiese: « Perchè mai, o Madre di misericordia, non preghi per noi? ». Ella rispose: «Parlo per voi, cuore a cuore, col mio diletto Figliolo»: In seguito venne ripetuto il medesimo versetto. Allora la celeste Sovrana stese la sua dolce mano sulla Comunità, poi si alzò, come attratta dai desideri di ciascun'anima, che accolse e presentò a Gesù.

Al versetto seguente: « Salva nos, Jesu, pro quibus Virgo Mater te orat - Salvaci, Gesù, perchè la Vergine Maria prega per noi », il Signore si alzò a sua volta, si chinò con bontà sulla Comunità e disse: «Eccomi pronto ad esaudire ogni vostra desiderio ».

Mentre Geltrude, felice per la solennità di quel giorno, meditava diversi pensieri, non sapendo quali scegliere, disse alla Madre di Dio: « I motivi per rallegrarci in questa tua gloriosa Assunzione sono innumerevoli, vorrei però sapere dalla tua bontà come gli Angeli in cielo celebrano la solennità della tua nascita, perchè la nostra divozione in terra ne abbia valido accrescimento».

Rispose Maria: « Gli Angeli nella gloria celeste mi ricordano, con gaudio immenso; le gioie ineffabili che gustarono durante i nove mesi che vissi nel seno di mia Madre, crescendo di giorno in giorno, sotto, la loro vigile custodia. Essi infatti vedevano, nello specchio della SS. Trinità, la dignità incomparabile del corpo che allora si andava formando, qua, le !strumento di cui il Signore si sarebbe servito per la salvezza dei mondo; così si facevano un piacere di contribuire al mio sviluppo, diffondendo influssi divini nell'atmosfera e su tutto quello che poteva. influire al mio nutrimento nel seno materno. Gli Arcangeli contemplando nello specchio della Divinità, la sublimità delle mie cognizioni divine, l'intimità e l'unione eccezionale alla quale la mia anima era preparata con attitudini superiori agli Angeli e agli uomini, mi offrivano festosamente il loro ministero. Anche le altre Gerarchie vedendo la somiglianza che avrei avuto con ciascuna di esse, mi offrivano amorosamente i loro servizi a gloria del Creatore. Ora sono ricompensati in cielo, ove. gustano gioie eteme ».

A Compieta, durante la Salve Regina, Geltrude si pentì della negligenza usata nel culto: alla gran Madre di Dio, e pregò Gesù di supplire per lei. Offerse adunque l'antifona per mezzo dei Cuore di Gesù il quale, dirigendo i suoi affetti verso la dolce sua Madre, le presentò tante cannule d'oro quante erano le brame di Geltrude di onorarla. La tenerezza filiale di Gesù per Maria vibrava deliziosamente in quegli strumenti, supplendo ad ogni negligenza della Santa.

Noi pure possiamo ottenere dal misericordioso Redentore, tale supplemento, recitando la preghiera seguente, o altra consimile.

« O dolce Gesù, in nome di quell’amore che ci hai dimostrato, degnandoti di rivestirti della nostra carne e nascere dalla più pura delle Vergini, per supplire a ciò che manca a noi, povere creature, ti scongiuro di riparare per mezzo del tuo dolcissimo Cuore, le colpe tante volte commesse nel culto e servizio della Madre tua, la quale in tutti i bisogni non ha mai cessato di farmi provare la sua clemenza e bontà. Per mostrarle degna riconoscenza, ti prego, amatissimo Gesù, di offrirle il tuo dolcissimo Cuore colmo di beatitudine; mostrale in esso quel divino amore col quale fin all’eternità l'hai preferita ad ogni creatura, scelta per tua Mardre, preservata dalla macchia orginale, ornata di tutte le virtù e di tutte le grazie. Rappresentale tutta la tenerezza con la quale l'hai accarezzata nella tua infanzia mentre ti riscaldava nel suo seno materno.

Mostrale ancora quella fedeltà con cui l'hai obbedita in tutto, quale figliolo, Tu che sei il regolatore del cielo e della terra. Tale fedeltà le dimostrasti soprattutto nell'ora di morte, quando dimentico, per così dire, dei tuoi dolori, compatisti con ineffabile tenerezza la sua desolazione, dandole un difensore e figliuolo, S. Giovanni. Finalmente rappresentale quell'inesprimibile amore che le dimostrasti nel conferirle quella sublime dignità che il giorno dell'Assunzione la innalza al di sopra di tutti i cori degli Angeli, costituendola Regina dei cielo e della terra. Fa, o buon Gesù, ch'Ella ci sia Madre propizia, in vita e, nell'ora di morte, protettrice e amabilissima Avvocata ».

Mentre Geltrude invocava il soccorso della celeste Madre con queste parole: « Efa ergo advocata nostra » le sembrò che la Vergine fosse attratta verso di lei da una forza potente, perchè tutte le volte che s'invoca Maria col titolo di Avvocata, la sua tenerezza materna si commuove in modo tale, da non poter nulla rifiutare.

Alle altre parole: « illos tuos misericordes oculos », la Vergine prese la testa del suo Figlio e la inchinò dolcemente, verso la Santa, dicendo: « Eccoti i miei occhi misericordiosi, io li flssai su coloro che m'invocano per ottenere frutti di vita eterna ».

Il Signore si degnò d'insegnare a Geltrude a ripetere, almeno una volta al giorno, l'invocazione: « Efa ergo advocata nostra, illos tuos m.isericordes oculos ad nos converte », assicurandole un potente soccorso per l'ora di morte.

La Santa offrì allora alla beata Vergine centocinquanta Ave Maria, recitate in suo onore, per ottenere la sua assistenza e tenerezza materna nell'ora del trapasso. Vide tosto quelle preghiere sotto forma di monete d'oro, offerte al Giudice supremo il Quale, a sua volta, le presentava alla Madre sua. Essa le riceveva da fedele economa e le metteva in serbo a una a una per profitto e conforto di Geltrude, la quale all'uscire da questo mondo avrebbe ricevuto dal Giudice divino tante consolazioni quante preghiere aveva offerto alla Madonna.

Comprese ancora Geltrude che, se un'anima raccomanda la sua ultima ora ad un Santo qualsiasi con suppliche speciali, quelle preghiere vengono subito portate al tribunale del Sovrano Giudice e il Santo, che le ha ispirate, ne diventa il custode per mutarle in grazie da dare, al momento opportuno, al suo cliente.




CAPITOLO LII

DIGNITA' DELLA SANTA CROCE

Nel giorno dell'Esaltazione della santa Croce; mentre Geltrude s'inchinava per onorare il sacro legno, Gesù le disse: «Vedi come onoro questa Croce, eppure non vi fui sospeso che dall'ora di Sesta a quella del Vespro! Capisci da ciò come ricompenserò i cuori nei quali ho riposato anni interi». Rispose la Santa: «Ahimè, Signore, ben poche delizie ti ho procurato nel mio cuore! ». E Gesù: « Provai forse delizie su questo duro legno? Ma io l'onoro perchè nella mia gratuita bontà, l'ho scelto a preferenza di altro: così coloro che dalla stessa mia bontà furono scelti, saranno da me largamente ricompensati».

Mentre assisteva alla S. Messa, il Signore si degnò di istruirla: « Mira, o figlia, quali esempi propongo ai miei eletti, in questi onori resi alla croce: innalzo la croce, la corona di spine, la lancia che servirono per il mio supplizio, a dignità maggiore degli altri oggetti creati che hanno servito per le necessità della mia vita, per esempio dei recipienti nei quali fui lavato durante l'infanzia ecc. Desidero che coloro che amo imitino tale condotta, cioè che, per la mia gloria e per loro personale vantaggio, mostrino un'affezione più grande ai loro nemici che agli amici; ne ritrarranno profitto incomparabilmente maggiore. Se talora poi, essendo offèsi, dimenticano al momento di rendere bene per male, e soltanto più tardi si sforzano di rispondere alle offese coi benefici, non saranno per questo meno graditi al mio sguardo, perché Io stesso ho lasciato per qualche tempo la croce nascosta sotto terra per esaltarla poi in seguito »; ed aggiunse: « Amo tanto la Croce soprattutto perchè fu lo strumento con il quale raggiunsi l'oggetto dei miei più ardenti desideri: la redenzione del genere umano! Così i miei devoti serbano particolare affezione per i luoghi e per i giorni nei quali hanno meritato di ricevere più abbondantemente la mia grazia ».

Siccome Geltrude cercava con gran desiderio di procurarsi qualche reliquia della Santa Croce sì cara a Gesù, bramando di onorarla per attrarre maggiormente la tenerezza del Salvatore, sentì dirsi dal diletto suo Sposo: « Se vuoi avere delle reliquie che possano rivolgere amorosamente il mio Cuore verso coloro che le posseggono, leggi la mia Passione e considera le parole che ho detto con un più grande amore: scrivile, figlia mia, e custodiscile come preziose reliquie. Meditandole spesso meriterai di ricevere le mie grazie più facilmente che se tu possedessi altre reliquie. Anche se la mia ispirazione non t'illuminasse su questo punto, tu potresti con la sola ragione rendertene persuasa; infatti un amico che volesse ricordare all'amico suo l'antica tenerezza gli direbbe: « Ricordati dell'amore grande che mi dimostrasti, quando mi dicevi quelle tali parole »; e non gli ricorderebbe certo nè l'abito che indossava, nè il luogo del suo incontro. Credi dunque che le reliquie più eminenti che di me si possano avere in terra, sono le parole che esprimono la più dolce affezione del mio Cuore».

Geltrude supplicò un giorno il Signore di darle la grazia di compiere il digiuno, che i Religiosi praticano a metà dell'anno. Gesù le rispose con bontà: « Quando un Religioso,. spinto dallo zelo per l'osservanza della Regola, si sottomette volontieri e con amore al digiuno, cercando non la sua, ma la mia gloria, Io, benchè non abbia bisogno alcuno dei vostri doni (Sal. XV) accetto quei digiuni come un re che gradisce l'opera di un suo vassallo, che ogni giorno lo serve a mensa. Forse quel Religioso dovrà in seguito interrompere il digiuno; ma, se, rimpiangendo di non poter perseverare, obbedisce al suo Superiore e con umile buona volontà inalza verso di me l'aníma sua, affermando che, per amor mio avrebbe voluto osservare la Regola, ma obbedisce volontieri in unione alla docilità che mi ha sottomesso agli uomini per la gloria del Padre, gradirò molto il suo modo di agire; proprio come un amico seduto a tavola di un amico, si commuove per i mille riguardi che gli vengono usati ed è contento se chi l'ospita vuol gustare, prima di tutti, i cibi che vengono serviti.

« Se un Religioso nello slancio del suo fervore, digiuna contro il volere del Superiore, e poi ritorna a me pentito col proposito di correggersi, io l'accolgo con la stessa bontà di un re che perdona a un fedele capitano il quale, nella foga del combattimento l'aveva leggermente ferito ».

In quello stesso giorno dell'esaltazione della Santa Croce, Geltrude all'Elevazione del Calice, offerse al Signore le prove della Comunità e ne ricevette questa risposta: «Sì, io berrò questo calice che il vostro amore ha colmato di dolcezza. Ogni volta che voi me l'offrirete, Io lo berrò, fino a quando mi abbiate così inebbriato, da esaudire ogni vostra richiesta ». La Santa chiese: « In che modo possiamo offrirti il Calice? ». Rispose Gesù che ogni anima, confessando la sua miseria, deve presentarlo al Signore in lode eterna; è bene anche che, rimproverandosi di non avere ricevuto Gesù con fervore convenìente, si disponga a sentire volentieri fino alla morte, tutto l'ardore che un cuore umano può provare, bramando il Cibo Eucaristico. In tale modo potrà offrire a Dio un calice, il cui contenuto vincerà in squisitezza il nettare ed il balsamo.

Comprese Geltrude che, quando una persona è impedita di comunicarsi, o di fare altro bene, può supplire, offrendo a Dio questa preghiera: « O torrente che scorri dalla sorgente della vita, pienezza dell'essere! io presento alla tua sete la misera gocciolina della mia indigenza, dolente di dover privarmi del Cibo celeste, interrompendo il fluire della divina grazia! O creatore e Redentore del mio essere, poichè a Te solo è dato, per la tua gloria, compiere le cose impossibili, degnati di mettere in accordo perfetto il mio cuore con le mie parole. Io mi offro volontieri a Te per raccogliere nell'anima mia fino al giorno della morte, i tormentosi desideri che il cuore umano ebbe a sentire per Te dal principio del mondo sino alla fine dei tempi. Te lo domando affìnchè tu possa trovare gradita dimora in me. Ti ripagherò così delle grazie ineffabili che tante volte hai offerto agl'indegni ed agl'ingrati ».




CAPITOLO LIII

NELLA FESTA DI S MICHELE ARCANGELO E DEL CULTO DEGLI ANGELI

Un giorno, nel quale Geltrude doveva comunicarsi, in vicinanza della festa di S. Michele, mentre meditava sull'aiuto che la generosità divina le prodigava per mezzo del ministero angelica, offerse al Signore il Sacramento vivificante del suo Corpo e del suo Sangue, per ripagarlo di tanto beneficio. «Amatissimo Gesù, disse la Santa, ti offro questo ammirabile Sacramento in onore dei Principi della tua Corte, in accrescimento della loro gioia, gloria, beatitudine». Allora il Signore, attirando in modo meraviglioso e unendo alla sua Divinità il Sacramento che Gli era offerto, diffuse sugli spiriti angelici tali delizie che, se non fossero stati già nella beatitudine, quell'offerta sarebbe bastata a renderli felici.

I diversi cori degli Angeli vennero successivamente a salutarla con rispetto, dicendo: « Hai fatto bene a onorarci con questa offerta, perchè noi vegliamo su di Te con tenerezza affatto speciale ». L'ordine degli Angeli diceva: « Noi vegliamo con gioia giorno e notte alla tua custodia, impedendo che tu perda alcuno di quei favori che possono prepararti convenientemente all'arrivo dello Sposo ». Geltrude ringraziò Dio e quegli Spiriti eletti: però bramava conoscere, fra gli Angeli, quello che era preposto alla sua custodia. Or ecco apparirle un Angelo come, un nobile principe, così sfarzosamente adorno da non poter essere paragonato a nessuna bellezza terrena. Con un braccio circondava il Signore, con l'altro stringeva a sè Geltrude. Egli disse: « Incoraggiato dalla lunga intimità con la quale così sovente ho inclinato lo Sposo divino verso quest'anima, e sollevato Geltrade fino a Lui, in un slancio di spirituale letizia, oso avvicinarmi in questo momento ». La Santa presentò allora all'Angelo le preghierine che aveva recitato in suo onore. Egli le ricevette con gioia, e le offerse come magnifiche rose brillanti di freschezza alla SS. Trinità sempre adorabile.

Vennero poi gli Arcangeli che, salutando l'anima affettuosamente, dissero: « Noi vogliamo, o Sposa privilegiata di Cristo, svelarti intimamente e nella misura delle tue possibilità, i misteriosi segreti di Dio che conosciamo nello specchio della scienza divina, e che sono più utili alla tua anima ». Le Virtù, alla loro volta, dissero: « Noi ti serviremo devotamente in tutto ciò che farai per la gloria e la lode di Colui che è tuo Signore e nostro, con meditazioni, scritti, parole ».

Le Dominazioni aggiunsero: « L'onore del Re ama la giustizia, il cuore trasportato dalla carità non conosce il freno della ragione: così tutte le volte che il Re di gloria gusterà le sue delizie riposando nell'anima tua, e tu ti sentirai portata a Lui dagli slanci dell'amore, noi tributeremo omaggi alla sua Maestà, affinchè la sua gloria sovrana non soffra detrimento e non manchi di nessun onore ».

I Potentati affermarono: « Noi ben sappiamo la stretta unione ch'esiste Tra te e il tuo Diletto: così veglieremo continuamente a respingere gli ostacoli interni ed esterni che potessero turbare questi dolci trattenimenti, giacchè tale mistico commercio allieta la Corte celeste e tutta la Chiesa. Sappi che un'anima amante può ottenere da Dio maggiori grazie di salvezza per i vivi e per i morti, che migliaia di altre anime poco ferventi».

Geltrude ringraziò con ardore Dio e gli Spiriti celesti per questi favori e per molti altri che la debolezza umana non ci permette di raccontare. Bisogna in tutto abbandonarsi alla divina bontà che sola conosce ogni cosa con chiarezza perfetta.




CAPITOLO LIV

NELLA FESTA DELLE UNDICIMILA VERGINI

Nella notte della festa, delle undicimila vergini, Geltrude, sentendo ripetere tante vdlte durante l'ufficio quelle parole « Ecce Sponsus venit: Ecco lo Sposo che viene » ne fu infiammata di fervore e disse a Gesù: «O desideratissimo Signore, ho sentito ripetere queste parole « Ecco lo Sposo che Viene. Dimmi te ne prego, come verrai e che cosa mi porterai»? Rispose Gesù: « Opererò con te e in te: ma dov'è la tua lampada »? Ed ella « Ecco il mio cuore che mi servirà di lampada ». Il Salvatore aggiunse: « Io la riempirò con l'olio del mio divin Cuore». Geltrude insistette: « Quale sarà, mio Gesù, il lucignolo di questa lampada?» « Il lucignolo » spiegò l'amabile Maestro « sarà l'intenzione fervorosa che arderà dolcemente, dirigendo verso di me le tue azioni ». Alle parole « Perpes corona virginum dei Responsorio » « Verae pudicitiae auctor ». Geltrude ringraziò il Signore per i meriti di quelle vergini e per i favori da esse ricevuti. Ella le vide in bianca falange intorno al trono del Signore, dirigendo verso di Lui, raggi splendenti, simbolo della loro gratitudine. Gesù assorbiva quei raggi che poi rifletteva su Geltrude, la quale l'aveva ringraziato per quelle vergini. La Santa comprese allora che quando si ringrazia Dio per la gloria di un Santo, il Signore attinge nei meriti di quell'eletto tesori di grazie, per arricchire l'anima che ha saputo rendergli lode.

Mentre si cantava il Responsorio: Regnum mundi, alle parole: « quem vidi, quem amavi: che ho visto, che ho amato » ella si ricordò di una persona che era tormentata dalla brama di vedere Dio. Disse allora a Gesù: « Quando mai, o benignissimo Signore, consolerai quell'anima in modo che possa cantare con gioia questo Responsorio? ». Egli rispose « Vedermi, amarmi, credere in me è un così gran bene; che nessuno può farlo senza profitto. Quantunque, per la debolezza dell'umana natura, l'anima bramosa di vedermi non può ottenerlo quaggiù, Io però la rimunererò generosamente; infatti la mia Umanità viene, in nome di quest'anima che è Sua sorella, a trovare la Divinità ed a ricevere il gaudio di cui ha diritto e che un giorno, quando la creatura sarà liberata dagli impacci della carne, le trasmetterà per farla godere eternamente ».

Un'altra notte mentre si cantava lo stesso Responsorio Regnum mundi, alle parole: « propter amorem Domini mei: per l'amore del mio Dio » ella sentì che il divin Cuore era così dolcemente commosso per la divozione di coloro che cantavano, da farlo prorompere in queste parole: « Sì, riconosco di dover generosamente ricompensarle, perchè mi servono con tutte le forze ».

Alla parola Gesù che vuol dire salvezza, il Signore si riconobbe ancora in debito con quelle anime e s'impegnò di perfezionare l'opera della loro salute, come esse l'avevano bramata fino dalla prima età: dovevano però attendere il momento fissato dalla sua paterna Provvidenza. Alla parola Christi, che significa unzione; il Signore propose di accordare a loro tutta la divozione che avevano desiderato e che non avevano ancora potuto ricevere.

Alle parole, quem vidi, quem amavi, il Signore dichiarò davanti al Padre celeste ed a tutti i Santi, che quelle anime ferventi avevano, per suo amore, confessato la fede cattolica, praticando opere di giustizia. Alle altre parole: « in quem credidi, quem dilext: in cui ho creduto e che ho amato », attestò che veramente le erano unite con forti legami di salda speranza e perfetta carità.

Geltrude chiese allora: « Ahimè, Signore, che darai alle Monache che in questo momento non sono presenti al coro? ». Rispose Gesù: « Ho attirato in me stesso e nell'anima delle Religiose presenti, la divozione di tutti coloro che hanno gustato soavi delizie in questo responsorio; con esse ho benedetto anche le Monache assenti ».

Geltrude insistette: « Poiché si possono acquistare beni sì grandi con tanta facilità, cosa perdono le negligenti, che non usano mezzi così semplici per riparare le loro colpe? ». Gesù amabilmente spiegò: « Quando un sovrano accorda a uno dei suoi baroni, grandi ricchezze, abiti sfarzosi ed altri tesori, si mostra, a detta di tutti, re generoso. Se anche il beneficato trascura l'amministrazione dei beni che ha ricevuto, esponendosi a grandi pericoli e alla rovina, pure il sovrano, nella sua bontà, non gli toglie i regali della sua gratuita munificenza. Così quando io ricompenso un po' di divozione con grandi tesori, bramo che gli uomini li traffichino con zelo; se non lo fanno, perdono il frutto dei miei benefìci. Tuttavia lo splendore e la grandezza della bontà con cui li avevo arricchiti, senza. alcun merito da parte loro, brillerà in essi a mio onore e gloria». Aggiunse la Santa: « Signore, coloro ai quali non hai nulla rivelato, nè su questo nè su altri soggetti, possono guidarsi saggiamente?». Rispose Gesù: « Essi sono obbligati a praticare quello che capiscono, non foss'altro imitando gli altri, perchè dò loro sempre luce sufficiente per dirigersi bene. Colui però che riceve una scienza più elevata, è maggiormente obbligato alla riconoscenza e alla santità. Se per negligenza, e con pieno consenso, trascura di far fruttificare con zelo e riconoscenza le grazie comuni a tutti, oppure i doni particolari, si espone al pericolo di eterna dannazione».

Un'altra volta, durante il responsorio, Regnum mundi, Geltrude vide comparire una turba di demoni che si posero a lato dei due cori, durante la salmodia: ciascuno di essi faceva brillare allo sguardo delle Religiose le seduzioni delle mondane vanità. Quando però la Comunità cantò con slancio d'amore: « Regnum mundi et omnem ornatum saeculi contempsi - Ho disprezzato il regno del mondo e gli ornamenti del secolo» i demoni, confusi e terrorizzati, si precipitarono altrove, come un branco di cani arrabbiati, sui quali si fosse gettato acqua bollente. La Santa comprese che quando un'anima, ricca d'amore, disprezza sinceramente il regno del mondo e tutte le vanità che il nemico del genere umano le presenta, la potenza diabolica s'affievolisce, si annienta; nè osa più tentare l'uomo che, avendo resistito una volta con tanto valore, ha riportato splendida vittoria.




CAPITOLO LV

NELLA FESTA DI TUTTI I SANTI

Nella festa di tutti i Santi, Geltrude ebbe illustrazioni speciali che le svelarono i misteri ineffabili riguardanti la gloria della SS. Trinità, facendole comprendere come Essa che non conosce nè principio nè fine, sovrabbondi di beatitudine e procuri a tutti i Santi gaudio, letizia, onore eterno. Non le fu possibile però esprimere ciò che aveva visto tanto lucidamente nello specchio della divina chiarezza; quindi, servendosi di una specie di parabola, rivelò solo quanto segue.

Il Signore delle virtù, il Re di gloria le apparve, simile a potentissimo Padre di famiglia che, avendo preparato un sontuoso banchetto per i grandi e i principi della corte, vuole invitare anche amici, conoscenti vicini. Infatti, per premiarre l'onore e la divozione con cui la Chiesa festeggia in questo giorno tutti i Santi; Colui che è la sorgente di vita, il principio dell'eterna luce, la sazietà degli angeli, l'autore di tutte le bontà, sembrava introdurre i membri della Chiesa militante fra i cori dei Santi trionfanti nei cieli, dando a ciascuno il posto meritato.

Per esempio, coloro che vivevano perfettamente e col santo timore di Dio nello stato del matrimonio, erano posti fra i Patriarchi; le anime invece che meritarono di conoscere i segreti dei misteri di Dio, erano messe in compagnia dei Profeti; le persone addette alla predicazione e all'insegnamento delle sante dottrine, si trovavano con gli Apostoli, così Ella vide nel coro dei martiri, le Religiose fedeli alla loro Regola. Siccome poi i martiri splendono di una speciale bellezza, e gustano delizie particolari nei membri che hanno maggiormente sofferto per il Signore, così le Religiose sono in cielo a fianco dei martiri e condividono le loro ricompense per le mortificazioni che seppero imporre ai loro sensi. Infatti la mano del carnefice non fece loro versare il sangue, ma nell'olocausto continuo della loro volontà, esse, con la spada di una perseverante mortificazione, seppero fare qualche cosa di più grande, ed offersero ogni giorno a Dio un sacrificio di gradito olezzo.

Prima della S. Comunione, S. Geltrude pregò per la Chiesà; ma non provando alcun sentimento di divozione, domandò al Signore di darle il gusto della preghiera, purchè tale fosse la sua Volontà. Bentosto ella vide apparire diversi colori, cioè il candore della verginale purezza, il colore giacinto dei confessori, la porpora dei martiri, ed altri simboleggianti i meriti degli eletti.

Geltrude volle anch'essa avanzarsi verso Gesù, ma nessun colore le prestava i suoi fulgori. Allora, guidata dallo Spirito Santo che insegna all'uomo ogni scienza (Gal. XCIII, 10), ella ringraziò Dio per tutte le persone inalzate all'onore della verginità, domandandogli per quell'amore che lo ha fatto nascere da una Vergine, di volere per la sua gloria, custodire in perfetta purezza di anima e di corpo, tutti coloro che ha chiamati nella Chiesa al decoro della verginità. Ella vide allora l'anima sua adorna del candore verginale.

Ringraziò poi il Signore per la santità di tutti i Confessori e Religiosi, nei quali Egli si è compiaciuto, fin dall'inizio del mondo, pregandolo di sorreggere nel bene, sino alla, morte, tutti coloro che nella S. Chiesa militavano sotto l'abito religioso: in quel mentre l'anima sua fu rivestita dal colore giacinto. Ringraziò in seguito per le diverse gerarchie dei Santi, pregando per la fecondità della Chiesa, e la sua anima fu adorna dei colori propri a ciascuna di esse. Infine ringraziò e pregò con fervore per tutte le anime che amano Dio, e venne rivestita da un manto d'oro. Si presentò allora al Signore splendidamente adorna dei meriti della Chiesa ed il Signore, rapito a tanta bellezza, disse ai Santi: « Guardate. colei che a me si presenta con un paludamento aureo, fulgido dei più ricchi colori».

Poi aperse le braccia e la strinse al Cuore, sostenendola con grazie speciali, perchè potesse gustare quelle delizie che superavano le umane forze.

Il momento della S. Comunione si avvicinava. Geltrude, estremamente debole, disse al Signore: « O mio Diletto, come potrò io avvicinarmi alla Mensa Eucaristica, così priva di forze come sono, tanto più che non pregai nessuno di aiutarmi? ». Rispose Gesù: « Hai forse bisogno dell'aiuto umano mentre sei appoggiata a me, tuo Diletto, che ti porto fra le braccia della mia divina potenza? Io stesso ti darò la forza di camminare e di sostenerti in piedi ». Infatti venne sorretta dalla grazia, ed ella che da gran tempo non poteva stare ritta, nè fare un passo senza aiuto, si alzò e si diresse spedita a ricevere il Corpo del Signore. Saziata dal cibo celeste, divenne un solo spirito con Dio.




CAPITOLO LVI

NELLA FESTA DI S. ELISABETTA

Nella festa di S. Elisabetta, mentre nella Sequenza si cantavano le parole: « Eia mater, nos agnosce: O Madre riconosceteci » Geltrude salutò devotamente la Santa, pregandola di ricordarsi di lei, malgrado la sua miseria. Essa rispose « Ti vedo nello specchio dell'eterna chiarezza, ove brillano magnificamente le intenzioni che dirigono le tue opere ». S. Geltrude aggiunse: « O nobile Signora, dimmi, non diminuisco io forse la tua gloria quando, cantando le tue lodi in questo giorno solenne, non faccio alcuna attenzione a Te, per orientare tutti i miei pensieri verso Colui che ti ha dato tanti privilegi e tanto bene? ». Rispose S. Elisabetta: « Al contrario cotesta tua maniera di fare mi riesce graditissima, perchè l'armonioso suono degli strumenti musicali, ha maggiore pregio del belare delle pecorelle e del muggito dei buoi ».




CAPITOLO LVII

NELLA FESTA DI S. CATERINA, VERGINE E MARTIRE (25 NOVEMBRE)

Nel giorno di S. Agostino il Signore spiegò a Geltrude le parole: « Non est inventus simili illi: Non si trovò nessuno simile a Lui » (Eccl. XLIV, 20), e le mostrò i meriti di parecchi Santi. Allora Geltrude lo supplicò di farle conoscere la gloria e i meriti di S. Caterina, ch'ella prediligeva fino dall'infanzia.

Il Signore esaudì le sue brame, e le mostrò la Santa su di un trono così smagliante che, se in cielo non ci fossero state regine anche più potenti, lo splendore di quella Santa sarebbe bastato per abbellire l'intero paradiso.

Si vedevano vicino a Lei, più in basso, i cinquanta filosofi su cui aveva trionfato con divina sapienza e che aveva guidato al cielo. Tutti tenevano in mano preziosi scettri d'oro e ne appoggiavano l'estremità sugli abiti della Santa, quasi per adornarli con ammirabile guarnizione di aurei fiori. In tali fiori erano rappresentate le fatiche che quei filosofi avevano sopportato, per l'acquisto della vera sapienza. Essi offrivano l'omaggio dei loro lavori all'illustre vergine, perchè li aveva ritirati dalla vana scienza, per condurli alla grazia della fede, con genialità di sforzi e sapienza divina. Il Signore dispensava baci tenerissimi all'illustre vergine e le comunicava, col suo alito, le delizie attinte dalla divinità nei cuori di tutti coloro che avevano celebrato in terra la festa della grande Martire. (La stessa cosa, a suo luogo, abbiamo riferito di S. Agnese). La corona, posta sulla testa di S, Caterina, era adorna di fiori freschissimi, che parevano irradiare il loro profumo sui devoti della Santa.




CAPITOLO LVIII

FESTA DELLA DEDICAZIONE DELLA CHIESA

Nella festa della Dedicazione della Chiesa, mentre si recitavano a Mattutino quelle parole: « Regina Saba venit ad Regem Salomonem - La regina Saba andò a trovare il re Salomone » e « cum gemmis virtutum - con perle di virtù », Geltrude fu tocca di compunzione e disse al Signore: « O Gesù, infinitamente buono, come potrei io, così piccola e senza virtù, giungere fino a Te? ». Le rispose il Salvatore: « Dimmi, non sei stata mai ferita da lingue maldicenti? ». Ed ella: « Eh sì, caro Gesù! Le mie colpe; purtroppo, hanno dato sovente al prossimo motivo di scandalo ». « Ebbene - aggiunge il Salvatore - adornati delle parole dei tuoi detrattori, come di altrettante virtù. Allora verrai a me, e la mia compassionevole tenerezza ti riceverà con bontà. Più si biasimerà senza motivo la tua condotta, più il mio Cuore ti darà prove d'amore, perchè sarai somigliante a me, che fui duramente colpito dai calunniatori ».

Durante il Responsorio Benedic, il Signore la introdusse in un luogo d'incomparabile splendore: era lo stesso suo Cuore, disposto in forma di casa, dove ella doveva celebrare la festa della Dedicazione. Entrata che fu, si sentì venir meno per le delizie che ivi gustava. Disse a Gesù: « Mio dolcissimo Sposo, se tu avessi introdotto l'anima mia in un luogo calpestato dai tuoi piedi sacratissimi, sarebbe stata assai dolce cosa per me. Ma come posso ringraziarti dello stupendo favore che mi accordi in questo momento? ». Rispose il buon Maestro: « Poichè tu cerchi spesso di offrirmi la più nobile parte di te stessa, cioè il cuore, così trova giusto che tu abbia a godere gioie ineffabili nel mio, perchè io sono per te il Dio che si fa tutto a tutti, in ogni cosa. Io sono forza, vita, scienza, nutrimento, vestito e tutto quanto un'anima amante può desiderare ». Ed ella: « O mio Dio, se il mio cuore si è totalmente abbandonato ai desiderii del tuo, è ancora un puro effetto della grazia ». « E' naturale - rispose, Gesù - che colmi delle mie ricompense l'anima che ho prevenuta con le benedizioni della mia dolcezza; se poi l'anima si abbandona a me perchè compia ogni volere del mio Cuore, a mia volta mi conformerò ai desideri del suo ».

Mentre gustava in quella divina casa gaudio celestiale, le parve che fosse costruita con pietre quadrate di vario colore; esse erano congiunte non col cemento, ma con legami d'oro; e luci stupende brillavano in ciascuna. Geltrude allora comprese che le grazie speciali accordate a ciascun eletto, procuravano a tutti i beati dolcezze piene d'incanto. La disposizione delle varie gemme nel divin Cuore, simboleggiava la predestinazione di ciascun eletto, e la necessità che essi hanno di sostenersi a vicenda, come fanno le pietre di un muro maestro. La Santa capì anche che l'oro che teneva unite quelle gemme era la carità, con la quale i fedeli devono sorreggersi gli uni cogli altri, unicamente per amore di Dio.

In altra occasione, nella stessa festa della Dedicazione, Geltrude comparve davanti al Signore, Re dei re, simile alla regìna Ester, vestita regalmente da fervorose opere spirituali.

Ella voleva pregarlo per il suo popolo, cioè per la Chiesa; il vero Assuero la ricevette con infinita tenerezza, ammettendola nel santuario del suo Cuore dolcissimo.

Il Signore le disse con bontà: « Io ti dono tutta la dolcezza del mio Cuore divino, perchè tu possa distribuirla ad ognuno con generosa larghezza ». Allora Geltrude attinse con la mano nel divin Cuore tesori immensi, e ne asperse i numerosi nemici del Monastero che, in quei giorni, con le loro minacce turbavano la pace della Comunità. Ella conobbe poi che coloro i quali avevano ricevuto anche una sola goccia attinta a quel sacratissimo Cuore, dovevano ben presto pentirsi e giungere, con sincera penitenza, a salvarsi.

Mentre stava pregando per una certa persona con slancio d'amore ancor più intenso, vide che in quell'anima venivano riversati i tesori del Cuore divino: però, più tardi, essi sembravano mutarsi in acque amare. Sorpresa chiese spiegazione a Gesù che le disse: « Non turbarti, figlia mia. Quando si regala del danaro a un amico, egli può spenderlo come vuole; può comperare mele mature o acerbe, ma alcuni preferiscono queste ultime, perchè si possono conservare più a lungo. Così quando, pregato dai miei eletti, concedo grazie ad un'anima, faccio in modo che esse tornino a suo vantaggio. Se è meglio per certuni la sofferenza invece della gioia, tali grazie si mutano in tribulazioni, e perfezionano di più l'anima, secondo il gusto del mio divin Cuore. L'uomo al presente ignora il segreto della mia condotta, ma un giorno lo conoscerà; allora gli sarà dato gustare tante delizie, quanti furono i dolori sofferti per amor mio ».

A Mattutino, mentre Geltrude volgeva la sua attenzione a Dio ed a se stessa, durante il Responsorio: « Vidi civitatem - Ho visto la città », il Signore le ricordò una parola ch'ella ripeteva sovente per animare il prossimo alla confidenza in Dio; e le disse: « Affichè tu sappia con certezza come io amo la confidenza, voglio mostrarti la bontà con la quale ricevo l'anima che, dopo d'aver errato, ritorna a me, piange le sue colpe, proponendo, con la mia grazia, di mai più ricadere ». Dicendo queste parole il Figlio del Re supremo, rivestito con le insegne della sua dignità regale, si avanzò davanti al trono del Padre, e cantò, con voce dolce e sonora il Responsorio: « Vidi civitatem sanctam Jerusaiem ». A tali melodie ella comprese l'ineffabile consolazione che prova il Cuore di Dio quando un'anima propone di evitare colpe e imperfezioni, memore dei benefici di cui Egli l'ha colmata, confusa di essersi da Lui allontanata per mancanza di vigilanza sugli affetti, sulle parole, come riguardo alla perdita del tempo. Ogni volta che l'anima prova tali rimpianti, Gesù, con nuovo trasporto di felicità. e di gioia, canta a Dio Padre le parole di questo Responsorio, o altre analoghe. Parve ancora a Geltrude che il Figlio di Dio fra le parole: « Et audivi vocem magnam de thronos dicentem - Intesi una voce forte che partiva dal trono e diceva », e quelle che seguono, intercalasse il gemito del peccatore che, nella compunzione del cuore, esclamava: « Ahimè, come sono miserabile! Quanto tempo ho passato senza pensare a Colui che mi ama ! » ecc. Il Figlio di Dio, in qualità d'uomo, cantava tali parole su corde basse, in perfetto accordo con la voce del Padre, che sulle corde elevate, proprie della Divinità diceva: « Ecce tabernaculum Dei cum homínibus - Ecco il tabernacolo di Dio tra gli uomini ». Gli spiriti beati ascoltavano tale melodia con profonda ammirazione. Questa visione rivelava che l'anima pentita, che vuole sinceramente fuggire il male e praticare il bene, diventa realmente il tabernacolo nel quale degna abitare, come in casa propria, il Dio di Maestà, lo Sposo dell'anima amante, sempre benedetto nei secoli dei secoli.

In quel momento Dio Padre, con la sua venerabile Mano, diede la benedizione, dicendo: « Ecce nova facio omnia - Rinnoverò tutte le cose » (Apoc. XXI, 5) per far capire che tutto si trova supplito e rinnovato nell'anima fedele per mezzo della contrizione, della divina benedizione, della vita santissima del Figlio di Dio. Appunto perciò è scritto che « si fa più festa in cielo per un peccatore che fa penitenza, che per novantanove giusti non bisognosi di tale penitenza » (Luc. XV, 10), giacchè l'infinita bontà di Dio si degna di riversare le sue delizie nell'anima contrita.

Continuò Gesù: « Quando faccio passare l'anima fedele dalla vita presente a quella del cielo, la colmo di delizie e le canto con dolcezza: « Ho visto la Città Santa, la nuova Gerusalemme », che s'inalza dalla terra. Alle parole « Rinnoverò tutte le cose » la colmo delle stesse delizie che la Corte celeste gusta con me, tutte le volte che un peccatore fa penitenza ».




CAPITOLO LIX

NELLA DEDICAZIONE DELLA CAPPELLA

La consacrazione della cappella era stata compiuta. Mentre a Mattutino si cantava il Responsorio: Vidi Civitatem, il Signore apparve in abita pontificale, seduto sul trono episcopale, addossato al muro, col viso rivolto verso l'altare. Aveva gli abiti raccolti intorno alla persona, come se avesse scelto quel luogo per stabilirvi la sua dimora.

Geltrude notò che il Signore era assai lontano dal luogo dove ella pregava e con ardenti desideri cercava di attirarlo vicino. Ma Egli le disse: « Io sono Colui che riempie il cielo e la terra; quanto maggiormente riempirò questa piccola casa! Non sai tu che l'arcere fissa più attentamente il punto d'arrivo della freccia, che quello di partenza? Sappi che trovo minor amore là dove sono corporalmente, che là dove l'occhio della mia divinità può riposarsi nel tesoro di un'anima amante ».

Allora, meraviglia!, nonostante la distanza, toccò l'altare come se fosse stato vicino, e disse: « E' qui ed è là! ». « Colui che cerca sinceramente la grazia mi troverà nei miei benefici; colui che cerca fedelmente il mio amore, mi riconoscerà nelle profondità della sua anima! ». Queste parole fecero comprendere a Geltrude che c'è grande differenza fra coloro che cercano il benessere del corpo, e la salvezza dell'anima secondo le brame della loro volontà, e quelli che si abbandonano con fiducia incondizionata alle cure provvidenziali del divino amore.

Durante la S. Messa, mentre si cantava « Domus mea, domus orationis vocabitur - La mia casa sarà chiamata casa di preghiera » il Signore posò la mano sul suo Cuore e disse con tenerezza: « Sì, lo proclamo: 'In mea omnis qui petit, accipit - Tutti coloro che in essa domandano, riceveranno'». Poi levò le braccia, stese la mano in mezzo al tempio e stette in quell'atteggiamento, come per mostrare che continue grazie sarebbero scese da quella Mano benedetta.

Durante la settimana, mentre all'antifona del Benedictus si cantavano le parole: « Fundamenta templi » gli spiriti celesti apparvero sulle cornici della Chiesa. Bellissimi, riccamente vestiti, deputati alla custodia del tempio, per fugarne i nemici. Sfiorandosi a vicenda con le ali d'oro, facevano risuonare una dolce melodia in onore della Divinità. Essi discendevano alternativamente dalla sommità al basso dell'edificio, per mostrare con quale tenerezza occupavano quel luogo, vigilando i loro futuri concittadini, per preservarli dal male.

Nella festa della dedicazione di quella Cappella, Geltrude, quantunque obbligata a letto, si sforzò di recitare il Mattutino come aveva fatto anni addietro, per una speciale grazia del Signore. Bramava che i nove cori angelici venissero a supplire alle sue deficienze, rendendo a Dio degne lodi e fervorosi ringraziamenti.

Sarebbe troppo lungo descrivere le delizie gustate dalla Santa. Ella vide un fiume le cui acque limpide, lievemente increspate, si diffondevano nell'immensità dei cieli. La luce divina, simile a fulgentissimo sole, si rispecchiava in quelle acque, sì che le mille ondulazioni brillavano come astri. Quel fiume simboleggiava la grazia della divozione, che le era stata elargita dal Signore con tanta abbondanza; la ondulazione delle acque voleva significare la varietà dei pensieri ch'ella si sforzava di volgere a Dio.

Il Re della gloria s'inchinò, immerse nel fiume un calice d'oro e lo ritrasse colmo, per darlo da bere a' suoi Santi. Essi, dopo d'avervi attinto un rinnovamento di gioie e di delizie, cantarono lodi e ringraziamenti per i favori accordati a Geltrude dal distributore di ogni bene. Dal fondo, del calice uscivano delle cannule d'oro, che si dirigevano verso quelle anime caritatevoli, le quali, con grande bontà, si erano sacrificate perchè la Santa potesse liberamente servire Dio; altre cannule si dirigevano verso le anime che, con speciale fervore, si erano raccomandate alle sue preghiere.

Geltrude disse a Gesù: « A che serve che io veda e comprenda tutte queste cose, se poi tali care anime non le capiscono affatto? ».

Rispose Gesù: « E' forse inutile che un previdente padre di famiglia raccolga nelle sue cantine del buon vino, sotto pretesto che non può berlo ad ogni istante? Avendolo alla mano quando gli occorre, potrà berne a piacimento. Così quando, pregato dai miei eletti, accordo grazie ad altre anime, esse non sentono subito il gusto della divozione; tuttavia è certo che, a tempo opportuno, esperimenteranno il benefico influsso della mia carità.

Si racconta di una S. Messa che il Signore Gesù celebrò in cielo per una Santa Vergine chiamata Trude, mentre ella viveva in terra.

Era la domenica Gaudete in Domino, terza d'Avvento Geltrude, dovendo comunicarsi, lamentava tristemente di non poter assistere alla S. Messa.. Gesù ebbe compassione della sua Sposa e, consolandola teneramente, le disse: « Vuoi tu, o mia diletta, che io stesso canti per te la S. Messa? ». Rispose Geltrude: « Oh, sì, dolcezza suprema dell'anima mia, te ne supplico, fammi questo immenso favore! ». « E quale Messa desideri ascoltare? » chiese il Signore. « Quella, Gesù, che Tu stesso brami cantare ». « Vuoi forse la Messa in medio Ecclesiae? » (Messa di S. Giovanni evangelista). « No » rispose Geltrude. E siccome Egli le proponeva parecchie altre Messe che Geltrude non accettava, le chiese infine se bramasse ascoltare la Messa Dominus dixit (la Messa di mezzanotte del S. Natale), ma la Santa rifiutò ancora.

Allora Gesù insistette con dolcezza, dicendole: «Potrei a ogni parola dell'Introito darti illustrazioni interiori che ti consolerebbero meravigliosamente ».

Mentre Geltrude chiedeva come mai ciò sarebbe avvenuto, essendo le parole di quell'introito adatte solo al Figlio di Dio, il Signore, con i suoi Santi, intonò ad alta voce l'Introito della domenica corrente, dicendo: « Gaudete in Domino, semper - Rallegratevi sempre nel Signore », eccitandola a rallegrarsi ed a porre in Lui ogni sua gioia. Poi s'assise sul trono della sua maestà regale, e la vergine, prostrandosi, baciò con tenerezza i suoi piedi.

Intonò poi a voce chiara: Kyrie eleison e due principi illustri, dell'ordine dei Troni, vennero a prendere la Vergine per condurla davanti al Padre celeste. Ella si prostrò con la faccia e terra, adorandolo profondamente. Il Padre, al primo kyrie, le rimise misericordiosamente ogni peccato commesso: per fragilità. Dopo di che due Angeli la rialzarono sulle ginocchia, e col secondo kyrie meritò di ricevere il perdono delle colpe d'ignoranza. Gli Angeli la rizzarono quindi completamente in piedi; ma ella si chinò per baciare le orme dei passi di Gesù, e ricevette la remissione di tutti i peccati commessi con malizia. Ed ecco giungerei due dignitari dell'ordine dei Serafini, i quali, ponendosi si fianchi della Vergine, le fecero scorta fino al Salvatore Gesù, che l'accolse con teneri amplessi, serrandola al suo divin Cuore.

Geltrude allora con fervente desiderio, attrasse a sè tutti i diletti prodotti dalle tenerezze degli uomini, e al primo Christe eleison li prese nel suo cuore, per poi deporli nel Cuore divino, come nella vera sorgente da cui procedono tutte le delizie create. Allora avvenne come una mirabile fusione di Dio nell'anima e dell'anima in Dio, in modo che, durante il suono delle note discendenti, il Cuore divino scorrever nell'anima, e durante quello delle note ascendenti, l'anima risaliva deliziosamente verso Dio.

Al secondo Christe eleison la Vergine raccolse in sè tutte le dolcezze gustate negli umani amplessi, e le offrì al suo unico Diletto, con un soave bacio, deposto su quelle sacre labbra che distillano il miele. Al terzo Chriate eleison, il Figlio di Dio, estendendo le mani, unì il frutto della sua santissima vita alle opere della sua diletta sposa.

Infine due principi elevatissimi del coro dei Serafini s'avvicinarono per prendere Geltrude e presentarla, con riverenza, allo Spirito Santo che penetrò tosto nelle sue tre potenze.

Col primo Kyrie eleison, diffuse nell'intelligenza lo splendore della Divinità, perché conoscesse in tutte le cose la sua adorabile Volontà.

Al secondo Kyrie eleison, fortificò l'appetito irascibile perchè resistesse agli agguati del nemico, trionfando da ogni male. All'ultimo Kyrie eleison, infiammò l'appetito concupiscibile per farle amare ardentemente Dia con tutta il cuore, con tutta l'anima, con tutta le forze,

I Serafini, cioè gli Angeli del primo coro, condussero quell'anima dallo Spirito Santo, i Troni, la guidarono a Dio Padre, i Cherubini al Figlio, per dimostrare che una è la Divinità del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, uguale la loro gloria, coeterna la, loro maestà, e che in una Trinità perfetta, Dio vive e regna nei secoli de' secoli.

Il Figlio di Dio, alzandosi allora dal suo trono regale, si volse verso Dio Padre, e intonò con voce soavissima: Gloria in excelsis Deo. Con la parola Gloria esaltava l'immensa e incomprensibile onnipotenza di Dio Padre. Con le parole in excelsis, (che parve assorbire in se stesso), lodava la sua inesauribile e inenarrabile sapienza. Infine, alla parola Deo, rese omaggio all'infinita bontà dello Spirito Santo. Tutta la Corte celeste continuò, con voce melodiosa: et in terra pax hominibus bonae voluntatis.

:Il Figlio di Dio s'assise nuovamente sul trono. L'anima, prostata ai suoi piedi, era tutta immersa nella cognizione del suo nulla e nel disprezzo di se stessa, il Signore s'inchinò verso di lei con bontà e l'attrasse con un gesto delicatissimo della sua venerabile mano. Geltrude allora si levò e, ritta davanti a Gesù, venne illuminata dal riflesso del divino splendore. Due principi dell'ordine dei Troni portarono un seggio squisitamente adorno, lo deposero davanti al Signore e stettero con somma riverenza. Due principi del coro dei Serafini collocarono l'anima su quel trono, e si diressero uno a destra, l'altro a sinistra.

Due gloriosi Cherubini, con fiaccole accese, stettero dar vanti all'anima gloriosamente assisa di fronte al suo Diletto, brillante sotto la porpora regale, del suo stesso splendore.

Quando la Corte celeste, continuando il canto, giunse alle parole che si rivolgono e Dio Padre: Domine Deus, Rex Coelestis, tacque, e il Figlio di Dio cantò solo la lode e la gloria del Padre.

Dopo il Gloria in excelsis Deo, Gesù, Sommo Sacerdote, si alzò e, salutando l'anima le cantò questa dolce melodia: « Dominus vobiscum, diletta ». Ella rispose: « Et spiritus meus tecum, Praedilecte! ».

Il Salvatore fece un inchino di riconoscenza, e felicitò la sua amatissima; Sposa così ben preparata, tanto che il suo spirito aveva acquistato la capacità di unirsi alla Divinità, le cui delizie sono di stare coi figli degli uomini.

In seguito il Signore lesse la Colletta: « Deus qui hanc sacratissimam noctem veri luminis illustrazione fecisti etc. - O Dio che hai illuminato questa sacratissima notte » (Colletta della S. Messa natalizia di mezzanotte), che concluse così: « per Jesum Christum Filium tuum » come per ringraziare Dio Padre della luce che aveva fatto brillare in Geltrude la cui miseria - espressa nella parola noctem - era chiamata tuttavia sacratissima notte, perchè nobilitata e santificata dalla conoscenza della propria infermità.

Allora il discepolo S. Giovanni si levò, raggiante di grazia e di giovinezza, glorificandosi di essersi riposato sul petto di Cristo. I suoi abiti erano gialli, cosparsi di aquile d'oro. Ponendosi fra lo Sposo e la Sposa, cioè fra Dio e l'anima, sì che da una parte aveva Gesù, dall'altra Geltrude, cantò l'Epistola dicendo: « Haec est sponsa ». L'assemblea dei Santi concluse: « ipsi gloria in saecula ».

Cantarono poi tutti insieme il Graduale: Specie tua et pulchritudine tua col versetto Audi, Filia, et vide (Comune delle Vergini). All'intonarsi dell'Alleluia, Paolo, l'illustre dottore, segnò a dito Geltrude esclamando: « Aemulor enim vos », il corteo dei Santi continuò il testo e cantò in seguito la sequenza: Exultent iliae Sion (festa delle Vergini), in onore di Geltrude, che, da quei canti, ritrasse meravigliose e consolanti illustrazioni interiori.

Mentre si cantava nella sequenza: « Dum non consentiret, sed illi resisterei, vincere qui solei tentatos, si non repugnet », Geltrude si ricordò delle sue negligenze nel resistere alle tentazioni, e voleva nascondere il volto, per sentimento di vergogna, ma Gesù, castissimo Amante, non potè sopportare la confusione della sua Sposa, e nascose lei sue negligenze sotto un gioiello d'oro, meravigliosamente cesellato, per significare la trionfante vittoria riportata negli attacchi del nemico. In seguito un altro Evangelista si avanzò per cantare il Vangelo: « Exultavit Dominus Jesus in Spiritu Saneto - Il Signore Gesù esultò nello Spirito Santo » (Luc. X, 21). A quelle parole Dio che è carità, eccitato dagli slanci di un amore senza misura e venendo meno, per così dire, sotto i torrenti delle sue divine voluttà, si alzò e con le mani tese, cantò melodiosamente le parole seguenti: « Con f teor tibi, Pater coeli et terrae », per ricordare all'Eterno Genitore con qual fervore riconoscente Egli aveva su la terra pronunciato le stesse parole. Ad ogni motto Egli ringraziava per i benefici passati e futuri, accordati a Geltrude, che assisteva alla S. Messa.

Terminato il Vangelo, Gesù fece cenno alla Santa di fare professione pubblica della sua fede cattolica, in nome della Chiesa, cantando: « Credo in unum Deum ». Poi, il coro dei Santi intonò l'Offertorio: « Domine Deus in simplicitate - Signore Dio, nella semplicità, ecc. » (Offertorio della Dedicazione della Chiesa) aggiungendo: « Sanctificavit Moyses » (Offertorio della XVIII Domenica dopo Pentecoste). Durante quel canto, il Cuore di Gesù, parve uscire dal petto, simile ad un altare d'oro, che brillava come fuoco ardente.

Allora gli Angeli, incaricati di custodire gli uomini, in volo vennero ad offrire, con gaudio immenso, sull'altare di quell'adorabile Cuore, degli uccelli vivi che simboleggiavano tutte le buone opere e le preghiero di coloro di cui erano i custodi.

I Santi offrirono i loro meriti al Signore su quell'altare, per la sua eterna gloria e la salvezza di Geltrude. Infine giunse un principe magnifico: era l'angelo custode della Santa. Portava un calice d'oro che offerse sull'altare del divin Cuore: quel calice conteneva le tribolazioni, le avversità, i dolori che Geltrude aveva sopportato fin dall'infanzia, nel corpo e nell'anima. Il Signore benedisse quel calice col segno della croce, come fa il Sacerdote quando consacra l'Ostia. Poi intonò, con voce melodiosa: « Sursum cordai ». Tutti i Santi, animati da quell'invito, s'avvicinarono e inalzarono i cuori sotto forma di tubi dorati fino all'altare del Cuore divino per raccogliere, ad aumento delle loro gioie, dei loro meriti e della loro gloria, qualche goccia del calice traboccante, benedetto dal Signore con tanto amore.

In seguito, il Figlio dell'Altissimo, cantò con intenso fervore, e con tutta la potenza della sua Divinità: Gratias agamus e: Vere dignum - a lode e gloria di Dio Padre, ed in ringraziamento di tutti i benefici passati e futuri accordati alla sua eletta. Dopo le parole del Prefazio: per Jesum Christum, Egli tacque; la Corte celeste proseguì con riverente giubilo: Dominum nostrum, come se avesse voluto giocondamente proclamare che Lui solo era il Signore Dio, Creatore e Redentore, generoso distributore di tutti i beni, a cui solo appartiene onore, gloria, lode, giubilo, potenza, impero e l'obbedienza di tutte le creature.

Quando cantò: per quem majestatem tuam laudant angeli, gli spiriti angelici agitarono le ali in un sussulto di felicità e batterono le mani, quasi per provocare la Corte celeste alla lode divina. Alle parole: adorant Dominationes, il coro cadde in ginocchio, adorò il Signore, confessando che davanti a Lui deve inchinarsi tutto quanto si trova in cielo, in terra e negli inferni,

Alle parole: tremunt Potestates, l'ordine delle potestà si prostrò tosto, col volto ai terra, per attestare che solo Dio deve essere adorato da tutte le creature. Dicendo: a Coeli, coelorumque Virtutes ac beata seraphim », i Serafini si unirono ai cori degli Angeli per celebrare il Signore con canti di dolcezza e melodia incomparabili. La milizia dei Sati aggiunse con soave letizia: Cum quibus et nostras voces ut admitti jubeas deprecamur.

In seguito la fulgida rosa della celeste aiuola, la Vergine Maria, benedetta al di sopra di tutte le creature, s'avanzò intonando con voce dolcissima: Sanctus, Sanctus, Sanctus, per esaltare con riconoscenza„ con questa parola ripetuta tre volte, l'Onnipotenza incomprensibile, l'inesauribile Sapienza e la dolcissima Bontà della suprema, indivisibile Trinità. Ella provocava, in un certo senso, la Corte celeste a felicitarla perché, essendo l'immagine perfettissima di Dio, era dopo il Padre, il riflesso della sua Onnipotenza, dopo il Figlio, il riflesso della sua Sapienza, dopo lo Spirito Santo, quello della sua Bontà.

I Santi continuarono ancora: Dominus Deus Sabaoth: allora il Signore Gesù, vero Sacerdote e Pontefice supremo, si alzò dal suo regale trono e presentò con le mani aperte, a Dio Padre, il suo sacratissimo Cuore, sotto la forma di aureo altare, come più sopra abbiamo detto. Egli s'immolò per la sua Chiesa, in un modo così ineffabile e così nobile, da non poter essere compreso e penetrato da nessuna creatura.

Mentre il Figlio di Dia offriva al Padre il suo Cuore, 1a campana della chiesa squillava per annunciare l'Elevazione dell'Ostia; fu quindi nello stesso istante che il Salvatore operò in cielo quello che si verificava in terra, per mezzo del Sacerdote. Geltrude però ignorava quale ora fosse come pure quello che si cantava alla S. Messa in quel momento.

Mentre ella si deliziava nell'ammirazione di quanto avveniva davanti a lei, il Signore le fece segno di recitare il Pater noster, unendosi alla lunga preparazione d'amore che questa preghiera aveva subito nel suo Cuore, prima che fosse palesata al mondo con tanta tenerezza.

Il Salvatore accolse favorevolmente quei Pater, e lo diede agli Angeli e ai Santi per disporlo secondo il loro desiderio e procurare per suo mezzo, alla Chiesa ed ai defunti quanto una preghiera ha possibilità di ottenere.

Il Signore invitò nuovamente Geltrude a pregarlo per la Chiesa, e siccome ella lo supplicava per tutti gli uomini in generale e ciascuno in particolare, Egli unì tale preghiera alle azioni della sua Umanità e la comunicò alla Chiesa universale; dicendo: « Le suppliche che tu mi hai offerte con l'intenzione che portino vantaggio a tutta lai Chiesa, saranno per essa la salvezza delle salvezze, cioè la più abbondante salvezza che si possa immaginare, così come si dice nel Cantico dei cantici.

Geltrude chiese: « O Signore, come sarà ora il banchetto? ». E Gesù con tenerezza: « Non solo le orecchie del cuore te lo faranno comprendere, ma lo gusterai nell'intimo dell'anima tua ». E chiamandola a sè, la serrò al suo Cuore vino, accordandole parecchie volte il suo bacio celestiale, colmandola talmente delle effusioni della sua Divinità da formare come una sola cosa con lei, con tutto il cumulo di felicità che è possibile gustare in questa vita. Fu appunto in tale ineffabile unione, che gli si diede in cibo alla sua diletta Sposa.

Quando l'ebbe comunicata, il Cantore sommo, o meglio l'Amante, geloso di coloro che gli predilige, cantò con voce penetrante: a Ecce quod concupivi, jam video: quod speravi, lam terreo; illi sum junctus in spiritu, quam in terris, positus toto devoti dilexi - Ecco che vedo quanto ho desiderato, tengo quanto ho sperato, sono unito a colui che sulla terra ho amato senza riserva» (Antifona del Pontificale romano, lievemente modificata).

Con quelle parole a in terris positus,» affermò altamente che tutte le fatiche, le tribolazioni, le sofferenze che aveva sopportate in terra le avrebbe sofferte volentieri anche per quella sola anima e sarebbe stato felice che la sua santa Vita, Passione, Morte, non avessero prodotto altro risultato, tanto era deliziosa l'unione che aveva gustato con quell'anima.

O dolcezza incomparabile della divina accondiscendenza che brama così ardentemente di trovare le sue delizie nell'anima, tanto che l'unione con una sola creatura sembra ripagare gli atroci tormenti della Passione e morte di un Dio, quantunque una sola goccia del divin Sangue basterebbe per salvare il mondo intero!

In seguito il Signore intonò: Gaudete justi (Comune dei Martiri), e tutta la corte celeste continue il canto per congratularsi con Geltrude. Dopo l'antifona, Gesù recitò l'ultima orazione in nome della Chiesa militante: « Refecti cibo potuque coelesti, Deus noster, te supplices exoramus, ut in cujus haec commemoratione percepimus, ejus maniamur et precibus. Per Jesum Christum. - Saziati da cibo e bevanda celesti, noi ti supplichiamo, o Dio, di permettere che siamo protetti dalle preghiere di colui, in memoria del quale abbiamo ricevuto questo nutrimento divino ».

Il Signore salutò allora tutti i Santi, cantò Dominus vobiscum e, in vista della perfetta unione contratta con la Santa, mise il colmo ai meriti, alla gioia, alla gloria dei beati del cielo.

Invece dell'Ite Missa est, i cori dei santi Angeli cantaròno, con voce sonora, in lode e gloria della SS. Trinità, risplendente e ognora tranquilla, l'inno: Te decet laus ei honor Domine.

Il Figlio di Dio stese la mano regale e benedisse Geltrude, dicendo : « Io ti benedico, figlia dell'eterna luce, in modo che tutti coloro ai quali tu implorerai per speciale affetto, un bene qualunque, saranno più felici degli altri; come Giacobbe ebbe una felicità più grande di quella dei fratelli, per la benedizione del suo padre Isacco ».

Geltrude, ritornata in sè, si senti unita al suo Diletto, nelle profondità dell'essere, in modo indissolubile.

Edited by Domenico-89 - 24/6/2016, 05:43
 
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