Amiamo Dio con Gesù e Maria

3° Libro, Capitoli 41 a 50

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view post Posted on 14/8/2010, 16:02
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Domenico-89

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CAPITOLO XLI

PIO SGUARDO AL CROCIFISSO

Un venerdì, mentre Geltrude rimirava il Crocifisso, fu penetrata tutta di dolore e d'amore. Ella disse fiduciosamente a Gesù: « Dolcissimo e amantissimo Salvatore, quanto hai sofferto oggi per la mia salvezza! Ed io miserabile ho trascorso l'intera giornata in occupazioni futili, senza ricordare quanto ogni ora hai patito per me Tu che, essendo la vita, sei morto per amore del mio amore! ».

Gesù dall'alto della Croce le rispose: « Io ho supplito alle tue negligenze, raccogliendo oggi, d'ora in ora, nel mio Cuore, quanto avresti dovuto radunare nel tuo, ed è così colmo di grazie per te, che ne è come ingombro, così che aspettavo ansiosamente il momento in cui tu mi avresti diretta questa preghiera perchè senza di essa, tutto quanto ho accumulato per Te non ti avrebbe giovato a nulla. Con questa preghiera invece tu puoi appropriartelo davanti a Dio Padre, come cosa tua ».

Riconosciamo l'amore di Dio per gli uomini! Appena l'anima negligente ha formulato un solo pensiero di rimpianto, Gesù offre a Dio Padre, soddisfazione per essa e lo fa con tale pienezza che ogni colpa resta riparata. Oh, quanto merita di essere benedetta e ringraziata una tale misericordia!

Un giorno, mentre Geltrude contemplava con divozione il Crocifisso, comprese che l'anima, guardando amorosamente l'emblema della nostra Redenzione, merita che Dio rivolga con bontà il suo sguardo verso di lei. Sotto l'influsso del medesimo sguardo essa diviene brillante come uno specchio, ove si riflette l'immagine del Salvatore; la Corte celeste si rallegra a tale vista e l'anima ne ha aumento di merito per l'eterna ricompensa.

Geltrude ricevette anche questo insegnamento: quando l'uomo guarda il Crocifisso con divozione, deve pensare che Gesù gli dica con bontà: « Ecco come per tuo amore ho voluto essere appeso nudo, sfigurato, coperto di piaghe, con le membra violentemente distese su d'una Croce! Il mio Cuore è così appassionatamente amante del tuo che, se per salvarti fosse necessario, sopporterei di bel nuovo, volentieri per te sola, tutto quanto ho sofferto per il mondo intero!». Tali pensieri devono ridestare nei cuori sentimenti di riconoscenza, perchè è sempre effetto di una grazia divina che gli occhi degli uomini incontrino l'immagine della Croce, e non ve li fissino mai senza che l'anima ne risenta salutari impressioni. La contemplazione dei dolori di Gesù è sempre di profitto; perciò sarebbe assai colpevole il cristiano ingrato che trascurasse di venerare Colui che si è offerto come prezzo inestimabile del nostro riscatto.

Altra volta, mentre il suo spirito era immerso nella considerazione dei patimenti del Redentore, comprese che le preghiere, o meditazioni che hanno qualche relazione con tali misteri, portano all'anima maggior frutto degli altri esercizi. Infatti come è impossibile maneggiare la farina senza impolverarsi, così l'anima non può meditare la Passione, sia pure con poco fervore, senza trarne qualche vantaggio. Quando una persona legge qualche punto dei dolori di Gesù, essa procura all'anima sua una specie di attitudine e facilità a ricevere i frutti dei medesimi dolori, giacchè l'intenzione di chi medita frequentemente la Passione. è più fruttuosa delle innumerevoli intenzioni di altri che non se ne occupano mai. Sforziamoci dunque di coltivare tale sacro ricordo, affinchè diventi per noi favo di miele alla bocca, melodia armoniosa all'orecchio, allegrezza ineffabile al cuore.




CAPITOLO XLII

IL FASCETTO DI MIRRA

Geltrude vicino ai letto teneva il Crocifisso. Una notte parve chinarsi su lei, quasi stesse per cadere; essa lo rialzò teneramente, dicendo: « O dolcissimo Gesù, perchè t'inchini? ». Rispose Egli: « L'amore del mio Divin Cuore mi trae verso di te». Allora ella prese la santa immagine, se la strinse al cuore, la coperse di carezze e di baci esclamando: « Fasciculus myrrhae dilectus meus mihi. - Il mio diletto è per me un fascetto di mirra » (Cent. 1, 12). L'amabile Salvatore, terminando la citazione, a nome suo, aggiunse: «Inter haec ubera mea commorabitur - Egli dimorerà sul mio seno» (Ibid.).

Inoltre le insegnò che l'uomo deve unire tutte le sue pene e difficoltà alla sua santissima Passione, così come s'introduce un ramoscello di fiori in un fascetto di mirra. Se il numero e l'intensità dei suoi mali lo portano all'impazienza, deve ricordare l'ammirabile dolcezza del Cuore di Gesù che, simile a mansueto agnello, si è lasciato prendere ed immolare per la nostra salute, senza proferire lamento. Se l'uomo sta per vendicarsi del male ricevuto, ricordi con quale generosità il suo Dio non rese mai male per male, né fece vendetta per gli oltraggi ricevuti. Anzi, in ricambio degli atroci dolori che gl'inflissero, riscattò con lei sofferenze e con la morte, coloro che l'avevano perseguitato fino a vederlo spirare sotto i loro occhi. Infine se l'uomo sente odio contro i suoi nemici, ricordi l'eccessiva mansuetudine con la quale l'amorosissimo Figlio di Dio, fra i dolori cocenti della Passione e le angosce di morte pregò per coloro che lo crocifissero, dicendo: « Pater, angosce illis etc. - Padre, perdona loro ecc. ». Unendosi a quello stesso amore, preghi lui pure per i suoi nemici.

Aggiunse ancora Gesù: « Se alcuno avvolge e nasconde, per così dire, le sue pene nel fascetto di mirra dei miei dolori e si fortifica agli esempi della mia Passione, cercando d'imitarli, diventa allora veramente colui che inter ubera mea commorabitur. Io gli accorderò con tenerezza speciale, tutto ciò che ho meritato mediante la mia pazienza e le altre virtù, affinché le sue ricchezze siano aumentate ».

Geltrude chiese allora: « Gradisci, o mio Gesù, l’amore che si porta all'immagine della tua Croce? » « Io l'accetto con profonda gratitudine - rispose - però coloro che venerano la Croce senza imitare i miei esempi, assomigliano ad una madre che riveste la sua figliuola con abiti a sua scelta, senza tener conto dei gusti della sua creatura e talvolta facendole sopportare amari rifiuti. Finchè la figlia non si veda assecondata, nelle sue brame, non è riconoscente per le spese fatte a suo riguardo, perchè sa che la mamma l'adorna per sodisfare alla sua vanità e non per vera tenerezza. Così tutte le prove d'amore, di lode, di rispetto prodigate al Crocifisso non possono farmi piacere, se non, si cerca nello stesso tempo d'imitare gli esempi della mia Passione».




CAPITOLO XLIII

L'IMMAGINE DEL CROCIFISSO

Geltrude desiderava ardentemente di avere un Crocifisso per venerarlo spesso con amore; però cercava di moderare il suo desiderio, temendo che quell'esercizio esteriore troppo assiduo, fosse a detrimento delle sue predilette pratiche interiori. Gesù le disse allora: « Non temere, mia diletta figlia; in tale divozione io sono l'unico oggetto dei tuoi pensieri, quindi non può ostacolare le gioie spirituali di cui ti colmo. Ti confido poi che mi torna assai gradito vedere lo strumento del mio supplizio circondato d'amore e di rispetto. Un re che non può sempre stare con la sua sposa diletta, le lascia talora vicino il parente più caro; in questo caso egli ritiene fatte a se stesso tutte le gentilezze che la sposa prodiga a costui, perchè sa che non agisce per impulso di affezione illecita verso un estraneo, ma per casto amore allo stesso suo sposo. Così io trovo le mie delizie negli onori resi alla Croce, perchè sono una prova d'amore per me. Tuttavia non basta contentarsi d'avere la Croce; essa deve rendere più vivo il ricordo dell'amore e della fedeltà che mi hanno fatto sopportare le amarezze della Passione, perchè più che alla sodisfazione personale, bisogna mirare agli esempi che il Crocifisso richiama ».




CAPITOLO XLIV

COME LA SOAVITA' DIVINA ATTRAE L'ANIMA

Una notte Geltrude, meditando divotamente la Passione, si lasciò trasportare dall'ardore de' suoi desideri, tanto da sentirsene il cuore bruciato come da fiamma: « O mio amorosissimo Gesù, - diss'ella - se gli uomini sapessero quello cha provo, mi consiglierebbero di moderare tali fervori per non nuocere alla salute; ma Tu, che penetri nell'intimo del mio essere, sai bene che nessuno sforzo delle mie potenze potrebbe impedirmi di sentire l'intima dolcezza della tua visita divina ». Rispose il Salvatore: « Chi dunque, a meno che non sia folle, può ignorare che la soavità infinitamente potente della mia divinità supera in misura incomprensibile tutti i diletti umani? Le consolazioni terrestri, paragonate alle celesti, sono come goccie di rugiada di fronte all'immensità dell'oceano. Se gli uomini spesso si lasciano talmente sedurre dai piaceri sensibili da mettere talora in pericolo, non solo la salute del corpo, ma perfino l'eterna salvezza, a più forte ragione un cuore, penetrato dalla soavità divina, si trova nell'impossibilità di reprimere le fiamme di un amore che deve procurargli una felicità senza tramonto».

Ella obbiettò: « Forse gli uomini potrebbero dire che, avendo io fatta la Professione in un ordine cenobitico, debba moderare l'intensità della divozione, per poter praticare tutte le austerità della Regola».

Il Signore si degnò d'istruirla con questo paragone «Immaginati, figlia mia, che alla mensa reale presiedano parecchi ciambellani, pronti a servire con zelo e riverenza il loro Signore. Supponi che il re, stanco ed indebolito per l'età, desideri aver vicino uno di quei servitori per appoggiarsi a lui: non ti sembrerebbe cosa disdicevole, che il ciambellano lasciasse cadere il re, levandosi di scatto, col pretesto che è stato proposto al servizio della tavola? Così non è opportuno che un'anima, chiamata gratuitamente alle delizie della contemplazione, si sottragga sotto pretesto di seguire più perfettamente la Regola. Io sono il Creatore, il riformatore dell'universo, e mi compiaccio infinitamente più di un'anima amante che di altri esercizi, o lavori materiali, che possono anche compiersi senza amore e retta intenzione ».

Il Signore completò il suo insegnamento con queste parole: « Se però alcuno, non attratto dallo Spirito Santo al riposo della contemplazione, facesse sforzi personali per raggiungere tale privilegio, trascurando così la Regola, assomiglierebbe al servitore invadente che, invece di stare in piedi, aspettando gli ordini del padrone, si sedesse a fianco del re, senza esservi invitato: naturalmente si attirerebbe il disprezzo; così colui che aspirasse alla contemplazione divina, che è un favore che nessuno può ottenere senza una grazia specialissima, ne avrebbe più detrimento che profitto pcrchè, da una parte non progredirebbe nella contemplazione, dall'altra sodisferebbe con tiepidezza alle osservanze regolari.

Il Religioso poi che cercasse distrazioni piacevoli, trascurando la Regola senza necessità e per fare i suoi comodi, si potrebbe paragonare al valletto che, destinato a servire il suo signore, se ne andasse come un mozzo di stalla ad insudiciarsi nel riordino delle scuderie ».




CAPITOLO XLV

DELICATO OMAGGIO RESO AL CROCIFISSO

Un venerdì Geltrude, dopo d'aver passato l'intera notte in preghiera e in desideri ardenti, si ricordò di aver tolto i chiodi del Crocifisso per porvi boccioli profumati di garofano. Chiese pertanto a Gesù: « O mio diletto Signore, che hai tu pensato quando con atto tenerissimo, tolsi i chiodi dalle dolci ferite dei tuoi piedi e delle tue mani, per porvi fragranti bocciolini? ». Le rispose Gesù: « Tale prova di amore mi ha così consolato che ho diffuso sulle piaghe dei tuoi peccati il balsamo della mia divinità; i santi attingeranno delizie eterne alla vista di quelle ferite asperse da un liquore di così alto pregio ». Insistette Geltrude: « Mio Gesù, accorderai lo stesso favore a tutti coloro che ti onoreranno in questo modo? ». « Non a tutti, - rispose il Signore - ma solamente a quelli che compiranno questo atto con lo stesso tuo amore; però grande sarà la ricompensa anche per le anime che non ti eguaglieranno in fervore e divozione ».

A tali dolci parole, Geltrude prese il Crocifisso, lo coperse di teneri baci e, stringendolo al cuore, gli prodigò tutto il suo amore; poi, sentendosi venir meno per la veglia così prolungata, depose il Crocifisso dicendo: « Ti saluto amatissimo Gesù e ti auguro buona notte: permettimi di dormire perchè possa riavere le forze che ho esaurito in questi nostri dolci colloqui ». Dette queste parole, tolse lo sguardo dal Crocifisso per prendere un po' di riposo.

Ma il Signore, avendo staccato il braccio destro dalla Croce, abbracciò la sua Sposa con infinito amore; e le sussurrò all'orecchio: « Ascolta mia diletta, voglio farti sentire il canto della mia divina dilezione » e sulla melodia dell'inno Itex Christe, factor omnium, cantò, con la dolcissima sua voce, questa strofa:

Amor meus continuus

Tibi languor assiduus,

Amor tuus suavissimus

Mthi sapor gratissimus.

L'amor mio incessante

Eternizza il tuo languore

L'amor tuo avvampante

M'offre il più dolce sapore.

Finito che ebbe, disse: « Ora, invece del Kyrie eleison, che si canta dopo ogni strofa, chiedimi le grazie che desideri ». Geltrude espose le sue suppliche e fu esaudita pienamente. In seguito il Signore Gesù cantò la stessa strofa, invitando la sua Sposa a pregare: dissero così alternativamente parecchie volte le stesse parole, ma Geltrude, per la prolungata insonnia, si sentiva mancare le forze, tanto che divenne necessario ripararle. S'abbandonò un momento al sonno fino all'alba: il Signore Gesù, che sta sempre con coloro che lo amano, le apparve in sogno e lai riscaldò dolcemente sul suo Cuore. Sembrò che nella ferita del Costato preparasse un cibo delizioso, che con le sue mani offrì a Geltrude per rinvigorirla. Infatti si svegliò completamente ristorata, tanto che, nel pieno possesso delle sue forze, sciolse un inno di ringraziamento al suo Signore.




CAPITOLO XLVI

LE SETTE ORE DELL'UFFICIO IN ONORE DELLA S. VERGINE MARIA

Una notte Geltrude, avendo meditato a lungo la Passione di Gesù, si sentì nell’Impossibilità, per l'estrema, debolezza, di recitare il Mattutino. Si rivolse allora fiduciosa, mente al Salvatore con queste parole: «Ah, mio Dio, poiché le esigenze della natura reclamano imperiosamente il riposo, dimmi almeno quale omaggio potrei offrire, in compenso, alla beatissima tua Madre, per risarcirla dell'Ufficio che non ho detto». Rispose Gesù: «Lodami con la dolce armonia del mio Cuore, per l'innocenza della sua perfetta verginità. Vergine mi concepì, Vergine mi diede alla luce, Vergine inviolabile continuò ad essere dopo la mia nascita, imitando l'innocenza con la quale, fino dai primi albori del giorno, io fui per la salute del genere umano, afferrata, legato, schiaffeggiato, percosso ed avvilito crudelmente con tanti obbrobri e ignominie».

Mentre ella così pregava, vide Gesù presentare alla S. Vergine il suo divin Cuore. Ella vi assorbì un nettare più dolce del miele, e parve come inebbriata per la soavità di quella bevanda. Geltrude disse allora alla Regina del cielo «Ti lodo e ti saluto, Madre di ogni beatitudine, sacrario augustissimo dello Spirito Santo e ti lodo mediante il Cuore dolcissimo di Gesù Cristo, Figliolo di Dio Padre e Figliolo amatissimo, supplicandoti di soccorrerci in tutti i nostri bisogni e nell'ora della nostra morte. Così sia!». Geltrude comprese che se alcuno lodasse il Signore con la suddetta aspirazione per glorificare la Vergine Maria, offrendole ogni volta il Cuore del suo amato Figlio, la Sovrana celeste accetterebbe volentieri tale omaggio, ricompensandolo secondo la generosità della sua materna tenerezza.

Aggiunse il Signore: «All'ora di Prima lodami, mediante il mio dolcissimo Cuore, per quella sì cara umiltà con la quale la Vergine tutta pura si rese, di giorno in giorno, più degna di ricevermi e d'imitare il divino abbassamento col quale Io, che sono il giudice dei vivi e dei morti, mi degnai alla prima ora del giorno, di comparire al tribunale di un gentile per operare la redenzione del genere umano.

All'ora di Terza lodami per quell'ardente desiderio coi quale la Vergine amabilissima mi attrasse dal seno del Padre nel suo grembo verginale, e m'imitò infiammandosi di quei divini ardori che mi facevano sospirare la salute del mondo, allorché lacerato da crudeli sferze e coronato di spine, mi degnai di portare con tanta dolcezza e pazienza, sulle spalle stanche ed insanguinate, la Croce ignominiosa.

«All'ora di Sesta lodami per quella ferma confidenza, con cui la Vergine celeste, per la sua buona volontà e sante intenzioni, incessantemente aspirò a vedermi glorificato: così Essa m'imitò e corrispose a quello zelo che mi consumava allorchè sospeso sulla Croce, in mezzo alle più crudeli amarezze, sospiravo con tutte le forze la redenzione del genere umano, esprimendo il mio desiderio con quelle parole "Ho sete", cioè ho sete delle anime, ho sete al punto che, se fosse necessario, soffrirei supplizi ancora più crudeli ed amari, offrendomi ad ogni eccesso di dolore per riscattare l'uomo.

«All'ora di Nona lodami per quel mutuo ardente amore che unisce il mio Cuore divino con quello della Vergine Immacolata, di quella Vergine che nel seno verginale uni inseparabilmente l'eccellenza della Divinità con la debolezza dell'Umanità. Amandomi in tale guisa Ella riprodusse l'immagine fedele di quell'amore che dimostrai allorchè io, Autore della vita, soccombetti all'ora di nona sulla Croce ad una morte amarissima per la redenzione del genere umano.

« All'ora di Vespro lodami per quella costanza con cui, dopo la fuga degli Apostoli, in mezzo all'universale abbandono, la Vergine restò sola, all'avvicinarsi della mia morte, immobilmente fedele. Imitò così quella divina fedeltà con cui, dopo la mia morte e la deposizione dalla Croce, ricercai gli uomini fino al Limbo per toglierveli con l'onnipotente mio braccio e condurli alle gioie del cielo.

«All'ora di Compieta, lodami per quell'ammirabile perseveranza con la quale la mia dolce Madre continuò fino alla morte in ogni sorta di virtù e di opere buone, imitando lo zelo con cui io, dopo d'avervi ottenuta, con amarissima morte la vera libertà, non ricusai alla tomba il mio Corpo incorruttibile, per mostrare all'uomo che non vi è cosa, per vile che sia, a cui non mi sottometta per la sua eterna salvezza».




CAPITOLO XLVII

MANIFESTAZIONE DELL'AMICIZIA DEL SIGNORE

Geltrude sentiva il peso delle relazioni con le creature perchè un'anima che ama veramente il Signore, trova fuori dì Lui noia e sofferenza.

Così le capitava molto spesso di togliersi di scatto da ogni commercio umano per correre dal suo Gesù, dicendo: « Eccomi qui, o mio Maestro: la conversazione delle creature annoia l'anima mia, che si diletta solo in Te; dò quindi un addio a tutti e me ne vengo a Te, o mio sommo Bene, unica gioia del mio cuore».

Baciando allora le cinque Piaghe del Crocifisso, Geltrude diceva ad ognuna: « Io ti saluto, Gesù, Sposo adorno delle tue cinque Piaghe come di altrettanti fiori; ti saluto e ti abbraccio con un amore che vorrebbe riunire tutti gli amori, con la compiacenza della tua stessa Divinità, deponendo il mio ardente bacio sulle ferite dell'amor tuo ». A tali parole Gesù pareva consolato e Geltrude gustava la soavità della vera divozione. Ella chiese un giorno al Signore se tale esercizio gli fosse assai gradito, quantunque v'impiegasse solo qualche minuto. Rispose il Salvatore « Ogni volta che tu fai quest'azione, appari agli occhi miei come un amico che offre per un giorno ospitalità all'amico, sforzandosi di dimostrargli, con ogni sorta di attenzioni e di delicatezze, l'amor suo. Quell'ospite, così bene accolto, penserebbe in cuor suo il modo di ricambiare tanta cortesia quando l'amico verrebbe, a sua volta, a visitarlo; così il Cuor mio va amorosamente meditando quale ricompensa ti accorderà nell'eterna vita, per tutte le tenerezze che mi hai prodigato sulla terra. Ti renderò il centuplo, secondo la regale munificenza della mia potenza, sapienza e bontà ».




CAPITOLO XLVIII

EFFETTI DELLA COMPUNZIONE

Il Monastero di Geltrude si trovava in forti preoccupazioni per l'avvicinarsi di un nemico che si diceva fortemente armato. In tale frangente le Monache decisero di recitare il Salterio, dicendo alla fine di ciascun versetto « O Lux beatissima », con l'antifona « Veni Sancte Spiritus ». Geltrude pregava con grande dívozione insieme alle sue Consorelle e comprese che, con quella preghiera fatta sotto l'egida dello Spirito Santo, il Signore convertiva parecchie anime. Egli voleva che dopo d'avere riconosciuto le loro negligenze, ne concepissero vera contrizione, col fermo proposito d'emendarsi; e di evitare, per quanto possibile, di peccare in avvenire.

Mentre alcune Consorelle provavano tali sentimenti, Geltrude vide elevarsi dal loro cuore, mosso dallo Spirito Santo, una specie di vapore che si diffondeva in tutto il Monastero, cacciando i nemici; più un cuore era contrito e volonteroso di bene, più il vapore che da esso sfuggiva, aveva la forza di cacciare le potenze ostili.

Ella comprese allora che il Signore, con quella preoccupazione per la minaccia degli assalitori, voleva attrarre più intimamente i cuori di quel privilegiato Monastero, affinchè, spezzati dal dolore e purificati da ogni colpa, si rifugiassero sotto la sua paterna protezione, per attingervi il concorso delle divine consolazioni.

Dopo l'aver ricevuto questa luce ella disse a Gesù: « Perché mai, amatissimo Maestro, le rivelazioni di cui la tua bontà mi favorisce sono così differenti da quelle che accordi ad altre? Perché permetti che vengano conosciute mentre preferirei tenerle nascoste? ».

Rispose Gesù: « Se uno scienziato, interrogato da personaggi di diverse nazioni, rispondesse a tutti in una sola lingua, ben pochi lo capirebbero. Ma se parla ad ognuno il suo linguaggio, cioè il latino al latino, il greco al greco, la sua alta sapienza si manifesterà appunto perchè sa farsi comprendere da tutti. Così avviene anche di me; più è grande la diversità con cui comunico i miei doni, e maggiormente risplende la profondità inesauribile della mia sapienza. -

« Tale sapienza tratta ciascuno secondo la sua propria capacità e secondo le tendenze di ciascun'anima; parlo ai semplici con immagini e paragoni sensibili e propongo a coloro che hanno l'intelligenza più vigorosa, immagini più complicate e simboli più oscuri ».




CAPITOLO XLIX

PREGHIERA GRADITISSIMA AL SIGNORE

In altra consimile occasione la Comunità recitò il salmo: « Benedic anima mea, Domino», aggiungendo a ciascuno dei versetti orazioni adatte alla circostanza. Geltrude prese parte divotamente a tali suppliche. Allora il Signore le apparve pieno di grazia e di bellezza. Ad ogni versetto, recitato dalle Monache, prostrate per domandare pietà, Egli si avvicinava a Geltrude per invitarla a baciare la Piaga sacratissima dei Costato. Ella lo baciò un gran numero di volte e Nostro Signore le fece capire che quell'omaggio gli tornava assai gradito.

«Mio amatissimo Gesù - gli disse - poiché questa divozione ti è così cara, ti supplico d'insegnarmi una preghierina in questa senso, e tale che Tu possa gradirla con la stessa bontà da parte di tutti coloro che la reciteranno». L'ispirazione divina le fece capire che Gesù gradirebbe assai la breve supplica seguente, e che tale omaggio sarebbe a lui molto più caro di lunghe preghiere, purchè gli fosse offerto per mezzo del suo dolcissimo Cuore, organo sublime della SS. Trinità.

1. Jesu, Salvator mundi, exaudi nos, cui nihil est impossibile, nasi tantummodo non posse, misexis misereri.

2. Qui per Crucem tuam mundum redimisti, Christe, nudi nos.

3. Ave, Jesu, Spense floride, cum delectamento divinitatis tuae, ex affetto totius universitatis salutans amplector Te, et sic in vulnus amoits deosculor Te.

1. Gesù, Salvatore del mondo, esaudiscimi Tu, a cui nulla è impossibile, fuori che non avere compassione dei miserabili.

2. Tu che, con la Tua Croce hai riscattato il mondo, o Cristo, ascoltami.

3. Ti saluto, o Gesù, mio amabile Sposo, nel gaudio ineffabile della Tua divinità, ti abbraccio con l'affetto di tutto l'universo, e parimenti ti bacio nella Piaga amorosa del Tuo Costato.

In altra occasione, mentre si ripeteva lo stesso Salmo, il Signore Gesù apparve a Geltrude in forma di Crocifisso, lasciando sfuggire dalle sue Piaghe fiamme ardenti che salivano verso il Padre, propiziandone la misericordia a vantaggio del Monastero. Questa visione era la conferma delle predilezioni di Gesù per quella diletta Comunità.




CAPITOLO L

DELIZIE DI GESU' NEL CUORE DI GELTRUDE

Un giorno, mentre stava apparecchiandosi alla S. Comunione, Geltrude fu presa da un malore che le tolse ogni forza, gettandola in un'estrema prostrandone. Nel timore che la sua divozione ne subisse detrimento disse a Gesù: «O dolcezza dell'anima mia! Ben so che sono indegna di riceverti, e mi asterrei oggi dalla SS. Comunione, se potessi trovare in qualche altra creatura, ristoro e consolazione. Ma dall'Oriente all'Occidente, da Settentrione a Mezzogiorno, non c'è proprio nulla che, all'infuori di Te, possa dare gioia e refrigerio all'anima mia e al mio corpo. Eccomi dunque piena di amore ed anelante per l'ardente desiderio, correre a Colui che è la sorgente di vita! ». Il Signore accettò quella tenera effusione con la solita bontà, e si degnò di rispondere: « Poichè affermi di non trovare piacere in alcuna creatura fuori di me, così io giuro„ per la mia divina virtù, che non voglio prendere piacere in alcuna creatura senza di te ». Mentre raccoglieva questa parola così piena di accondiscendente bontà, Geltrude pensava in cuor suo che forse tale benigna disposizione avrebbe potuto cambiare, ma Gesù, entrando nel suo pensiero, le disse « Per me, volere e potere sono un'unica cosa, perciò non posso che ciò che voglio ». Rispose ella: « O amabilissimo Gesù, quali delizie puoi provare in me, che sono il rifiuto di tutte le creature? ». E il Salvatore: « L'occhio della mia Divinità prova estrema dolcezza a mirare colei che ha creata così gradevole al Cuor mio e che ho ricolma di tante grazie. Il mio orecchio è deliziato come da soave musica, ascoltando le parole dolcissime che escono dalla tua bocca, sia che tu preghi con amore per i peccatori, o per le anime purganti, sia che tu riprenda, o istruisca gli altri, sia che corregga alcuno, a mia lode, anche con una sola parola. Quand'anche tali tuoi accenti non avessero per gli uomini alcuna utilità, pure, a motivo del tuo buon volere e della retta intenzione, essi producono al mio orecchio suoni deliziosi che commuovono le intime profondità del Cuor mio. La speranza con la quale tu aspiri senza posa verso di me, esala un profumo squisito che gusto con gioia. I tuoi gemiti e i tuoi desideri sono più accetti al mio palato di cibi prelibati. Nel tuo amore infine trovo i gaudi dei tuoi soavi amplessi ».

Geltrude un giorno sentì un'ardente brama di riacquistare la salute, per poter seguire con fervore e puntualità la Regola del suo Ordine. Il Signore le rispose con bontà: « Perché mai la mia Sposa vorrebbe spiacermi, contrariando i miei voleri? ». Rispose ella: « Potrebbe mai contrariarti una preghiera che è ispirata solo dal desiderio della tua gloria? ». « Le tue osservazioni a questo riguardo - rispose il Salvatore - le considero benignamente, quali semplici fanciullaggini, ma se tu v'insistessi, io non lo vedrei di buon occhio ». Queste parole fecero capire alla Santa che se è bene desiderare la sanità unicamente per servire meglio Iddio, è però molto più perfetto abbandonarsi interamente alla sua Volontà, persuasi che Dio dispone tutto a nostro vantaggio, sia che ci consoli, sia che ci provi con le tribolazioni.

Edited by Domenico-89 - 24/6/2016, 05:50
 
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