Amiamo Dio con Gesù e Maria

3° Libro, Capitoli 21 a 30

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view post Posted on 14/8/2010, 16:16
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Domenico-89

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CAPITOLO XXI

RIPOSO DEL SIGNORE

Nella domenica dopo la festa della SS. Trinità, sull'ora di mezzogiorno, il Signore apparve a Geltrude assiso sul suo trono; pareva dolcemente addormentato, inebriato dal mistico vino dell'amore.

Geltrude si prostrò a' suoi piedi, li baciò ripetutamente e, come di solito, prodigò al suo Diletto tenerezze ineffabili. Tuttavia visse per tre giorni in grande aridità di spirito. Al quarto giorno, durante la S. Messa, non potendone più, ella abbandonò i piedi del Signore e, con l'ingenuo ardore della sua tenerezza, si slanciò sul Cuore del suo Diletto, cercando d'interromperne il sonno.

Il Signore si svegliò e, cedendo alle dolci istanze della sua Sposa, la cinse con le braccia divine, e serrandola sui trafitto Costato, le disse: « Posseggo ora ciò che ho tanto desiderato. La volpe che spia la preda si stende per terra fingendo d'essere morta e quando gli uccelli, ingannati dalla sua posa, le svolazzano intorno per cibarsi delle sue carni, essa, con rapido salto, li afferra. Io pure, ardendo d'amore per Te, ho usato un'astuzia simile, per possederti interamente e raccogliere il vivo slancio dell'anima tua, acuito dal lungo desiderio ».




CAPITOLO XXII

COME LA MALATTIA PUO' RIPARARE I DIFETTI

Geltrude in un certo periodo fu presa da grande debolezza, che le impediva l'osservanza della Regola. Oppressa da sfinimenti un giorno si sedette per assistere ai Vespri. Col cuore colmo di desiderio e di tristezza, ella disse al Signore: « O dolcissimo Salvatore, non riceveresti maggior gloria se io, invece di restarmene in questa penosa impotenza, potessi andare in coro a salmodiare con le mie consorelle, e continuare per tutta la giornata a seguire l'osservanza regolare con fervore ed esattezza? ». Le rispose Gesù: « Credi tu che Io sposo goda minori delizie nella familiarità e nei casti amplessi della camera nuziale, di quando può presentare la sua sposa al pubblico, nel fulgore della sua bellezza? ». Geltrude comprese allora che l'anima mostra al pubblico i suoi ornamenti, quando può compire tutti i suoi doveri per la gloria di Dio; ma che riposa con lo sposo nella camera nuziale, quando le malattie le impediscono tali opere esterne. Priva allora delle gioie dell'attività ella s'abbandona tutta al divino beneplacito e il Signore si compiace maggiormente in essa, appunto perchè non ha le soddisfazioni pericolose della vana gloria.




CAPITOLO XXIII
TRIPLICE BENEDIZIONE

Geltrude assisteva un giorno alla S. Messa con grande divozione. Quando arrivò al « Kyrie eleison » l'Angelo suo custode la prese tra le braccia come una pargoletta e la presentò al divin Padre perchè la benedicesse, dicendogli: « O Padre onnipotente, benedici questa tua figliuola! ». Ma il Padre tardava a rispondere, come se giudicasse cosa poca degna della sua maestà benedire quella fragile creatura.

Allora il Figlio di Dio si alzò e la coperse tutta coi meriti della sua santissima vita. Di colpo Geltrude si trovò adorna di ricchi vestiti e constatò di essere giunta all'età perfetta di Cristo (Ef. IV, 13). Dio Padre si chinò allora su di lei con bontà e le diede una triplice benedizione, che le valse la triplice remissione dei peccati di pensieri, parole e opere, coi quali aveva offeso la sua onnipotenza. Per ringraziarlo di un beneficio così grande, ella presentò al Padre tutta la vita purissima del Cristo, di cui si sentiva rivestita. Allora le gemme preziose che ornavano i suoi abiti, sfiorandosi a vicenda, produssero un'aronia dolcissima, a gloria del Padre. Così ci è dato capire a quale punto questo Padre pieno di bontà, gradisce l'offerta della santissima vita del Figlio suo.

L'Angelo Custode la presentò poi al Figlio, dicendo: « O Figlio dell'Eterno Re, benedici la tua sorella! », Quand'ebbe ricevuto la triplice benedizione per il perdono delle colpe commesse contro la divina Sapienza, l'Angelo la presentò allo Spirito Santo con quelle parole: « Benedici, o Amico delle anime, la tua Sposa! », e Geltrude ricevette la triplice benedizione che cancellò le colpe commesse contro la Bontà divina.

Tu che leggi, se ti pare opportuno, potrai meditare su queste nove benedizioni, durante il canto del Kyrie eleison.




CAPITOLO XXIV

EFFETTI DELL'ATTENZIONE DURANTE LA SALMODIA

Un giorno Geltrude si sforzava di cantare con grande attenzione le Ore canoniche per onorare Dio ed il Santo di cui si celebrava la festa; vide allora le parole della divina lode slanciarsi dal suo cuore verso il Cuore di Gesù, sotto la forma di dardi infiammati che lo penetravano profondamente, recandogli ineffabili delizie.

Dalla punta di tali dardi sfuggivano raggi luminosi, simili a fulgori di stelle, che investivano tutti i Santi con lucidi riflessi di nuova gloria; il Santo poi di cui si celebrava la festa, pareva rivestito di uno splendore anche più meraviglioso.

La parte inferiore del dardo lasciava gocciolare una mistica pioggia, che procurava agli uomini aumenti di grazia e alle anime del Purgatorio salutare refrigerio.




CAPITOLO XXV

AIUTI STUPENDI OFFERTI ALL'ANIMA DAL CUORE DI GESU'

Un'altra volta Geltrude si sforzò di meditare ogni parola del divino Ufficio con profonda divozione; ma la sua buona volontà era contrariata dalla debolezza della natura; disse con tristezza: « Quale frutto potrò ricavare da un lavoro compiuto con tanta incostanza?».

Il Signore, non potendo sopportare tale desolazione, le presentò con le stesse sue Mani il suo Cuore divino, simile a lampada ardente, e le disse: « Ecco che offro agli occhi dell'anima tua il mio sacratissimo Cuore, organo dell'adorabile Trinità, affinchè tu lo preghi di riparare le imperfezioni della tua vita e di renderti in tutto gradita al mio sguardo; Esso, come un servitore fedele e premuroso, sarà ai tuoi ordini per riparare d'ora in ora le tue negligenze ». La bontà accondiscendente di Gesù la colmò di stupore e d'ammirazione. Ella non poteva persuadersi che il Cuore di Gesù, sacro tesoro della Divinità e sorgente di ogni bene, si degnasse di stare ai suoi ordini, come un servitore, per riparare la fragilità d'una creatura così miserabile. Ma Gesù pieno di dolcezza ebbe compassione della sua pusillanimità e l'incoraggiò con questo paragone: « Se tu avessi una voce armoniosa e sonora, desiderosa d'espandersi nel canto, mentre vicino a te si trovasse una persona dalla voce falsa e stridula, che potesse emettere solo suoni discordanti, non saresti sdegnata s'ella volesse a ogni costo, eseguire un canto stonato, mentre potresti farlo tu con facilità e perfezione? Così anch'io conosco la tua miseria e il mio Cuore può supplirvi; anzi lo desidera ardentemente, essendo questa per Lui una gioia vivissima. L'unica cosa che chiede è che Tu gliene dia l'incarico, se non con una parola, almeno con un cenno qualsiasi della volontà. Allora Esso compirà in te, in tuo nome, tutti gli atti della vita e lo farà con una gioia raggiante d'amore ».




CAPITOLO XXVI

ABBONDANZA DI GRAZIE CHE IL CUORE DIVINO DIFFONDE

Nei giorni che seguirono, meditando con riconoscenza su questo magnifico dono, ebbe un gran desiderio di sapere fino a quando il Signore glielo conserverebbe. Egli si degnò di rispondere: « Te lo lascerò fin quando vorrai, nè giammai ti capiterà di deplorarne la perdita ». « Mio dolcissimo Gesù - aggiunse Geltrude - come va che spesso considero il tuo divin Cuore quasi lampada ardente sospesa nell'anima mia così miserabile, e altra volta, quando col soccorso della tua grazia posso avvicinarmi a Te, ho la gioia di ritrovarlo questo divin Cuore nel tuo petto e di attingervi ineffabili delizie? ».

Rispose il Signore: « Quando vuoi afferrare qualche cosa, stendi la mano, e appena in possesso dell'oggetto da te bramato, la ritiri tosto; così quando vedo la tua anima allontanarsi un poco da me per il fascino delle cose esteriori, io rivolgo verso di essa il mio Cuore languente d'amore. Se tu rispondi ai miei teneri inviti, se acconsenti a ricevermi ed a contemplarmi nell'intimo dell'anima tua, allora ti ritiro in me con il mio Cuore e t'offro il godimento delle sue perfezioni ».

Geltrude alla considerazione di tanta bontà, fu penetrata d'amore e di riconoscenza. Ella approfondiva sempre più la sua miseria che la rendeva indegna di qualsiasi grazia e si gettava, con grande disprezzo di sè, nella valle dell'umiltà che le era familiare rifugio; ivi rimase un po' di tempo nascosta a tutti gli umani sguardi, poi Dio onnipotente, che abita nel più alto de' cieli e che trova le sue delizie a diffondere sugli umili la rugiada delle sue grazie, parve far uscire dal suo Sacro Cuore una cannula d'oro, simile a lampada ardente che illuminava Geltrude, inabissata nel suo nulla. Con quel misterioso canale Gesù faceva scorrere su di lei l'abbondanza ammirabile dei divini favori. Se per esempio si umiliava alla vista delle sue colpe, il Signore, pieno di compassione, versava nell'anima sua la linfa feconda delle virtù che distruggeva tutte le sue imperfezioni, tanto che tali macchie non apparivano più agli occhi della divina Maestà. Se altra volta ella desiderava qualche dono speciale e quelle dolcezze che il cuore umano suole ambire, nello stesso istante tali benefici erano concessi alla sua anima per mezzo del canale di cui abbiamo più sopra parlato.

Geltrude gustava da tempo la soavità di tali delizie e con la grazia di Dio, aveva potuto inalzarsi alla più alta perfezione arricchendosi di tutte le virtù, (non le sue proprie, ma quelle del Signore), quando intese nel cuore una voce armoniosa che risuonava come la soave melodia di un'arpa toccata da mano maestra; essa diceva: « Vent mea ad me - Tu che sei mia, vieni da me - Intra meum in me - Tu che, sei mia, vieni in me - Mane meus mecum - Tu che sei il mio bene, resta con me - ».

L'amabile Salvatore si degnò spiegarle questi canti « Veni mea ad me », perchè ti amo e desidero vederti a me vicino quale Sposa fedele, perciò ti dissi: « Veni »: « Intra meum in me », perché godo grandi delizie nell'anima tua, e come il fidanzato aspetta con ardore il giorno delle nozze che completerà la gioia del suo cuore, così desidero che tu entri ed abiti in me. « Mane meus mecum »: poichè ti ho scelta, Io, che sono il Dio d'amore, desidero rimanere con te in una unione indissolubile, unione simile a quella che esiste fra il corpo e l'anima, unione sì stretta che l'uomo non può esistere neppure un minuto, quando l'anima ha abbandonato il suo mortale involucro ».

Durante l'incanto di questo sublime colloquio, Geltrude fu attratta verso il Cuore di Gesù in modo meraviglioso, mediante quel mistico canale al quale abbiamo più sopra accennato, e si trovò felicemente introdotta nel seno del suo Sposo e del suo Dio. Quanto poi in quel sacro asilo ella abbia. sentito, visto, gustato, toccato del Verbo di vita, ella solo lo sa, e Colui che si degnò d'ammetterla a unione così sublime. Colui che è lo Sposo delle anime amanti, Gesù, il Dio benedetto nei secoli, sopra ogni cosa.




CAPITOLO XXVII

LA SEPOLTURA DI GESU' NELL'ANIMA

Un Venerdì Santo, dopo la recita dell'ufficio si celebrava la sepoltura di Gesù. Geltrude supplicò il Salvatore di seppellirsi nell'anima sua come in perpetua dimora. Egli si degnò d'esaudirla e le disse con bontà: « Io che sono chiamato la pietra dell'edificio sarò quella pietra posta alla porta de' tuoi sensi; per custodirli vi porrò i miei soldati, cioè gli affetti miei che ti preserveranno da qualsiasi amore profano e lavoreranno a procurare in te la mia eterna gloria, nella misura della grazia che ti verrà accordata ». Poco dopo ella cadde in un fallo contro la carità, giudicando troppo severamente gli atti di una persona. Penetrata di dolore, corse da Gesù e gli disse: « O mio Dio, tu hai posto delle sentinelle all'entrata del mio cuore, ma ohimè, forse si sona allontanate, perchè ho giudicato tanto duramente il mio prossimo !». Il Signore rispose: « Come puoi credere che si siano allontanate, se il tuo stesso pentimento di quest'istante prova la loro assidua vigilanza? Infatti se tu non aderissi a Me con tutto il cuore, non proveresti tanto dispiacere per avermi recato pena ».




CAPITOLO XXVIII

IL CUORE DI GESU' E' IL CHIOSTRO DELL'ANIMA

A vespro Geltrude cantava quelle parole: « Vidi aquam egredientem de tempio » e il Signore le disse: « Dirigiti verso il mio Cuore; esso sarà veramente il tuo santuario. Di più scegli nelle diverse parti del medesimo altre dimore, ove tu possa condurre la vita religiosa regolare, perchè voglio che il mio sacro Corpo sia il Chiostro ave tu abiti ». Rispose la santa: « O Signore, quale altra dimora dovrei cercare? Ho trovato nel tuo Cuore che mi hai dato come santuario, tanta dolcezza che non mi è possibile cercare altrove il nutrimento e il riposo che mi sono necessari ». E Gesù di rimando: « Se lo brami troverai infatti cotesti beni nel mio Cuore, giacchè sai che parecchi santi, per esempio S, Domenico, non s'allontanavano mai dal tempio, ma che ivi mangiavano e dormivano. Tuttavia io vorrei che tu scegliessi nel mio Corpo i soggiorni adatti alla vita claustrale ». Per obbedire agli ordini di Dio ella risolvette di scegliere il luogo del passeggio nei piedi del Salvatore; nelle sue sacre Mani quello del lavoro; la sua bocca divina le servirebbe di capitolo e di parlatorio; nei suoi occhi ella leggerebbe e studierebbe; le sue orecchie infine sarebbero il tribunale ove dichiarerebbe i suoi peccati. Il Signore l'invitò a salire, dopo le sue colpe, verso quel sacro tribunale, per mezzo di cinque gradi d'umiltà, espressa in quelle parole: « Io vile, peccatrice, povera, cattiva, indegna corro in quell'abisso della misericordia Infinita del mio Gesù, per essere lavata da tutte le macchie e purificata da ogni colpa. Così sia ».




CAPITOLO XXIX

IL SALUTO DEL SIGNORE

Geltrude un giorno meditava parecchie circostanze nelle quali aveva. dovuto esperimentare la fragilità e l'incostanza umana. Volgendosi allora verso Gesù gli disse c Amare

Te solo, mio Diletto, è tutto per me (1) ». Egli, chinandosi, l'abbracciò teneramente, dicendole « Amarti, o Figlia, è una gioia estremamente dolce al Cuor mio ». Appena Gesù ebbe pronunciate queste parole, tutti i Santi si rizzarono davanti al trono di Dio e offrirono i loro meriti al Signore perchè, a sua maggior gloria, degnasse offrirli a Geltrude afl~nchè diventasse degno domicilio dell'Altissimo.

Ella constatò allora con quale prontezza il Signore si degna inchinarsi verso di noi, e come i Santi siano divorati dal desiderio di onorare Dio, poichè coprono coi loro meriti l'indigenza degli uomini.

Così Geltrude esclamò con tutto lo slancio del cuore: « Io, piccola, vile creatura, ti saluto amatissimo Gesù! ». Rispose il Salvatore di rimando: « A mia volta ti saluto, dilettissima figlia! ».

Ella poi comprese che, se un'anima dice a Dio: « Mo diletto, dolcissimo, amatissimo Gesù » o altre parole consimili, ogni volta ricaverà la stessa risposta a lei diretta e godrà in cielo un privilegio speciale, analogo a quello concesso a S. Giovanni Evangelista, che ottenne una gloria particolare perchè quaggiù era chiamato: c discipulus quem diligebat Jesus - il discepolo che Gesù amava » (S. Giov. XXI, 7).



CAPITOLO XXX

MERITO DELLA BUONA VOLONTA' E DELL'OFFERTA DEL CUORE, CON ALTRE ISTRUZIONI DATE A GELTRUDE RIGUARDO ALLE PAROLE DELL'UFFICIO DIVINO

I. Buona volontà.

Durante la S. Messa: « Veni, et ostende » il Signore le apparve tutto dolcezza e grazia, irradiando dalla sacra persona luce celeste, vivificante. Nel giorno del Natale pareva discendere dal trono sublime della sua gloria, come per riversare, con maggior abbondanza sulle sue anime dilette torrenti di grazie. Geltrude pregò allora per le persone che si erano raccomandate alle sue preghiere, e per quelle alle quali desiderava ottenere speciali favori.

Le disse Gesù: « Ho dato ad ogni anima una cannula d'oro con la quale potranno attingere nella profondità del mio Cuore, tutto quello che vorranno ». Ella comprese che quel misterioso condotto significava la buona volontà, mediante la quale l'uomo può appropriarsi tutte le ricchezze spirituali dei cielo e della terra. Vuole per esempio un'anima offrire a Dio le lodi, i ringraziamenti, l'obbedienza, la fedeltà di cui alcuni Santi ci hanno dato l'esempio? Subito la divina bontà accetta l'intenzione come un fatto compiuto. Questa cannula prodigiosa si adorna poi di oro prezioso, quando l'uomo ringrazia Dio di avergli dato una facoltà così nobile, che gli serve ad acquistare tali meriti, come non potrebbe fare il mondo intero con le sue forze naturali.

Vide inoltre che tutte le monache della Comunità circondavano il Signore, ciascuna munita di quel misterioso tubo, per attrarre la grazia, secondo la misura delle sue forze. Mentre alcune attingevano preziosi tesori direttamente dal Sacro Cuore, altre li ricevevano dalle Mani del Salvatore. Ma più esse si allontanavano dal Sacro Cuore, più avevano difficoltà a ottenere quanto desideravano. Invece, se si sforzavano di aspirare dal centro stesso del Sacro Cuore, s'inebbriavano di dolcezze copiose, con grande facilità. Quelle che attingevano direttamente le grazie dal Sacro Cuore, rappresentavano le anime che si sottomettono alla Volontà di Dio e bramano che si compia perfettamente, sia per le cose temporali come per le spirituali. Queste anime commuovono così profondamente l'infinita bontà di Dio che, al momento opportuno, ricevono la divina grazia tanto più copiosamente, quanto hanno maggiormente bramata il compimento del divino Volere. Le altre invece che attingono grazie dalle membra del Signore, simboleggiavano le anime che si sforzano di ottenere da Dio doni e virtù, ma seguono le tendenze personali della propria volontà; esse ottengono tanto più difficilmente i divini favori, quanto meno s'abbandonano alla divina Provvidenza.




II. Perfetta offerta del cuore a Dio.

Geltrude un giorno rivolse questa preghiera al Signore: « Amabilissimo Gesù, nella pienezza della mia volontà ti offro il mio cuore libero da ogni affetto umano, pregandoti di purificarlo nell'acqua che sgorga dal tuo Sacratissimo Costato, di arricchirlo coi meriti del prezioso Sangue del tuo dolcissimo Cuore, e di unirlo intimamente a Te, nel soave spirito del tuo divino amore ». Il Figlio di Dio allora le si mostrò in atto dì offrire all'eterno Padre il cuore della sua diletta unito al suo proprio Cuore divino, sotto forma di un calice elle risultava di due parti, saldate con candida cera. A tale vista Geltrude disse con umile divozione: « Fa, o amabilissimo Gesù, che il mio cuore rimanga sempre vicino al tuo come una di quelle anfore ché i servi, ad un cenno, porgono ai loro padroni per ristorarli. Possa Tu sempre trovarlo pronto, sia per attingervi, sia per riempirlo a vantaggio di chi vorrai ».

Gesù accettò con bontà quell'offerta, e disse al Padre suo: « O Padre santo, fa che per la tua eterna gloria, il cuore di questa creatura sia il felice tramite che abbia a diffondere sul mondo la sorgente inesausta dei benefici racchiusi nello stesso mio sacro Cuore ».

Siccome, in seguito, Geltrude rinnovava spesso questa offerta, vedeva il cuor suo colmo di doni celesti e dalle mille lodi, ringraziamenti, suppliche che ne emanavano, comprendeva che gli eletti dei cielo ne ricevevano aumento di gioia. Altra volta, esso contribuiva all'avanzamento in virtù di coloro che erano sulla terra, come vedremo più avanti. Geltrude comprese poi che Dio gradiva questo scritto, perché doveva fare del bene ad anime innumerevoli.




III. Onore reso a Dio. Efficacia della divina misericordia.

Nel tempo d'Avvento, mentre si cantava il responsorio «Ecce venit Dominus protector noster, sanctus Israel - Ecco che viene il Signore, nostro protettore, il Santo d'Israele », ella comprese che se un'anima abbandona completamente a Dio la condotta della sua vita, se sospira con ardore di essere diretta nella prosperità, come nell'afflizione dall'amabilissima divina Volontà, essa dà a Dio tanta gloria quanta ne procurerebbe al principe colui che gli ponesse sul capo una corona regale.

Con le parole dei profeta Isaia « Elevare, elevare, consurge Jerusalem - Levati, levati, Gerusalemme » (Isaia LI, 17), Geltrude comprese quali benefici la santità procuri alla Chiesa militante. Infatti quando un'anima ardente d'amore per Dio, a Lui si rivolge con volontà sincera di riparare, se lo potesse, interamente, le offese che le colpe umane procurano alla divina gloria, quando, nell'ardente carità che la consuma, gli offre tale dimostrazione di tenerezza, la divina Bontà si mostra così placata che giunge talvolta a perdonare al mondo intero.

Questo viene espresso dalle parole. « Usque ad fundum calicis bibtsti - Hai bevuto il calice sino al fondo » (Ibid) perché, con questo mezzo, la dolcezza della misericordia si sostituisce ai rigori della giustizia. Ma le parole che seguono: « Potasti usque ad faeces - Hai bevuto fino alla feccia » fa capire che nessuna redenzione è possibile ai dannati, perchè non hanno diritto che alla feccia della giustizia.




IV. Vantaggi che derivano dall'evitare parole e azioni inutili.

Geltrude, leggendo le parole d'Isaia: « Glorificaberis dum non facis vias tuas etc. - Sarai glorificato se non segui le tue inclinazioni ecc. (Isaia LVIII, 13) », comprese che, se dopo d'aver accarezzato diversi progetti, si rinuncia al piacere di vederli eseguiti perchè non hanno utilità per il bene, si avranno tre vantaggi:

1) Di trovare in Dio le più grandi delizie: « Delectaberis in Domino - Ti rallegrerai in Dio » (Is, LVIII, 14).

2) Di sfuggire al nefasto impero dei pensieri pericolosi: « Sustollam te super altitudinem terrae - T'innalzerò al di sopra delle altezze della terra» (Ibid).

3) Di ricevere dal Figlio di Dio, in premio d'aver resistito alla tentazione ed ottenuto vittoria, una parte speciale ai meriti della sua santissima vita, secondo la parola dei sacri libri: « Et cibabo te haereditate Jacob patris tui »: « Ti darò per nutrimento l'eredità di Giacobbe tuo padre » (Ibid). In questo altro testo dello stesso Profeta: « Ecce merces ejus cum eo » « Porta con sè la propria ricompensa», (Ibid) (XL, 10) Geltrude comprese che Gesù nel suo immenso amore per gli eletti, si degna di essere Lui stesso la loro ricompensa. Egli si unisce ad essi con tanta dolcezza, che la creatura, oggetto di sì grande amore, può affermare in verità che è ricompensata al di là dei propri meriti « Et opus illius coram illo - E l'opera sua è davanti a Lui » (lbid). Quando l'anima s'abbandona completamente alla santa Provvidenza, e cerca in tutti i suoi atti di compiere la divina Volontà, essa, per grazia celeste, appare già perfetta allo sguardo di Dio.




V. Il pentimento purifica.

Geltrude mentre recitava il responsorio della vigilia di Natale: «Sanctificamini, filii Israel - Santificatevi, figli d'Israele » comprese che, se un'anima deplora le colpe che ha commesse e rimpiange di non aver compiuto tutto il bene che le era possibile, risoluta ormai di sottomettersi in tutto alla divina legge, appare agli occhi della divina Maestà già santificata come il lebbroso, che fu purificato dalle sue colpe dallo stesso Salvatore: « Volo mundare - Voglio che tu sii purificato » (Matt. VIII, 3).

Con quella parola: « Cantate Domino canticum novum - Cantate al Signore un cantico nuovo » (Is. XLII, 19) le fu mostrato che chi canta con grande fervore, canta un cantico nuovo; infatti egli si trova interamente rinnovato e gradito a Dio, perchè ha ricevuto la grazia di dirigere verso di lui le sue intenzioni.




VI. Dio colpisce i suoi eletti per guarirli.

In quel testo d'Isaia « Spiritus Domini super me - Lo spirito del Signore è su me » (Is. LXI, 1) e quello che segue « ut mederer contritos corde - per guarire i cuori infranti », Geltrude vide che il Figlio di Dio, essendo stato mandato per sollevare i tribolati, usa provare i suoi eletti con la sofferenza, per avere poi l'occasione di portarvi rimedio. In tal caso s'avvicina all'anima, non toglie la prova che, pur spezzando il cuore, riesce tanto meritoria, ma si applica a guarire, nella fragile creatura, quello che può essere pericoloso e funesto.

Mentre il coro cantava il salmo CIX, alle parole: « In splendoribus Sanctorum - Nello splendore dei Santi » ella comprese che la luce di Dio è immensa e inconcepibile. Se tutti i Santi, da Adamo fino all'ultimo uomo, ne avessero una conoscenza personale chiara, profonda, vasta, secondo le possibilità delle creature, (bisogna ricordare che la conoscenza di una è diversa da quella di un'altra), se inoltre il numero dei Santi fosse mille e mille volte più grande, la Divinità resterebbe sempre inesauribile ed infinitamente al di sopra di ogni intelligenza creata. Perciò non si dice: « In splendore », ma « In splendoribus sanctorum, ex utero ante luciferum genui te - Negli splendori dei santi ti ho generato nel mio seno, prima dell'aurora».




VII. Ciascuno deve portare la sua croce alla sequela di Gesù Cristo.

Ai vesperi di un Martire, mentre si cantava l'antifona « Qui vult venire post me - Colui che vuole seguirmi » Geltrude vide il Salvatore avanzarsi su di una strada fiancheggiata da verzura e fiori, ma stretta e spinosa; pareva preceduto da una Croce che apriva il varco, divaricando i rami e rendendo la via praticabile. Gesù si rivolgeva con volto sereno verso coloro che camminavano dietro a Lui, ed invitava i suoi amanti a seguirlo, dicendo: « Qui vult venire post me, abneget semetipsum, tollat crucem suam et sequatur me etc. - Chi vuole seguirmi prenda la sua croce e mi segua». Ascoltando tali parole comprese che la croce di ciascuno è la sua tentazione personale. Per esempio certe anime trovano la loro croce nell'obbedienza, eseguendo ordini contrari ai loro gusti; altre sono oppresse dalla malattia che loro impedisce di fare quello che vogliono. Noi dobbiamo portare la nostra croce, soffrendo volentieri quanto di duro e di penoso ci presenta il dovere, senza nulla trascurare di quanto può fare piacere a Dio e glorificare il suo Nome.




VIII. La correzione troppo severa si muta in merito per chi la sopporta.

Geltrude, recitando quel versetto: « Verba iniquorum - Le parole dei cattivi» (Sol. LXIV, 4) comprese che se una persona, caduta per umana fragilità in difetto, ne riceve una correzione troppo severa, viene dalla misericordia di Dio largamente benedetta, perché quell'eccesso di rigore provota la sua bontà e procura alla colpevole aumento di meriti.




IX. Dio castiga per misericordia i suoi fedeli ed abbandona i perversi alla loro cattiveria.

Alla fine della Salve Regina, mentre si cantava quell'invocazione: « misericordis oculos », Geltrude desiderò ricevere la salute del corpo. Il Signore le disse sorridendo: « Ma non sai che Dio ti guarda con maggior tenerezza quando sei oppressa dalla sofferenza fisica, o da angosce morali? ».

Nella festa di più Martiri, quando il coro cantò quelle parole gloriosum Sanguinem, ella capì che il Sangue sparso per Cristo è lodato nella S. Scrittura, quantunque naturalmente ispiri un certo orrore. Così comprese che nella vita religiosa certe trasgressioni alla Regola, volute dall'obbedienza e dalla carità, piacciono tanto a Dio, da poter essere degne di lode e chiamate gloriose. Altra volta comprese che, per un segreto giudizio, Dio permette ad uomini perversi d'interrogare un'anima eletta per carpirle qualche segreto ed averne poi risposte atte a fissarli nei loro errori. Dio lo permette per la condanna dei tristi e la perseveranza dei buoni. Perciò il Profeta Ezechiele si esprime in questi termini: « Qui posuerit munditias suas in corde suo, et scandalum iniquitatis suae contro faciem suam, et venerit ad prophetam, interrogans cum pro me. Ego Dominus respondebo ci in multitudine immunditiarum suarum, ut capiatur in corde suo - Colui che ha chiuso le sue impurità in cuore, che ha messo lo scandalo delle sue iniquità davanti al suo volto, e che andrà poi a trovare il Profeta e l'interrogherà nel nome mio, io stesso gli risponderò secondo la moltitudine delle sue infamie, perchè sia ingannato dal suo medesimo cuore» (Ezch. XIV, 4, 5).




X. Chi crede deve confidare in Dio: non c'è peccato senza consenso.

Geltrude nelle parole cantate in onore di S. Giovanni « Haurit virus hic lethale - Bevve veleno mortale », comprese che la virtù della fede preservò Giovanni da veleno mortifero, così come la resistenza della volontà conserva l'anima senza macchia, malgrado gl'influssi malvagi che potrebbero insinuarsi in cuore, senza il consenso della volontà.

Recitando il versetto: « Dtgnare Domine die isto etc. - Degnati, o Signore, in questo giorno ecc. » ella ricevette questa luce: se l'uomo che ha pregato Dio di preservarlo dai peccato, cadesse, per un segreto permesso dell'Altissimo, in qualche grave colpa, troverebbe però subito pronta la grazia, quasi bastone d'appoggio per rialzarsi e facilitare la sua conversione.




XI. Come dobbiamo benedire Dio e riprendere i colpevoli.

Geltrude durante il canto del Responsorio Benedicens si presentò al Signore per implorarne la benedizione, come se avesse personificato lo stesso Noè. Ricevuta tale benedizione parve che il Signore desiderasse la sua. Ella comprese che l'uomo benedice Dio quando si pente d'averlo offeso e gli domanda aiuto per non cadere mai più nel peccato. Gesù, volendo farle capire come quell'atto gli è gradito, s'inchinò profondamente per ricevere tale benedizione, quasi che la salvezza del mondo ne fosse la conseguenza. -

A quelle parole: « Ubi est frater tuus, Abel? - Dov'è Abele tuo fratello? » (Gen. IV, 9) comprese che Dio domanderà conto a ciascun religioso delle colpe che i fratelli commettono contro la Regola, perchè esse si sarebbero potute evitare con una buona parola detta al colpevole, oppure con un prudente ricorso al Superiore.

La scusa che taluni adducono: « Non ho l'obbligo di correggere il fratello » oppure l'altra « Sono peggiore di lui », non saranno meglio accolte dal Signore delle parole di Caino: « Numquíd eustos fratris mei sum ego? - Sono forse il guardiano del mio fratello? » (Gen. IV, 9). Davanti a Dio tutti gli uomini hanno lo stretto dovere di aiutarsi a vicenda, per evitare le colpe ed eccitarsi al bene. Tutte le volte che su questo punto non ascoltano la voce della coscienza, peccano contro Dio; se trascurano tale dovere, dovranno rendere stretto conto a Dio, il quale chiederà ragione dell'anima del fratello, più a loro che allo stesso Superiore il quale, per il suo ufficio, è gravato da tanti impegni e non può talora accorgersi delle mancanze dei sudditi. Perciò la minaccia, « Vae facienti, vae, vae consentienti - Condanna a ohi fa il male, e doppia condanna e chi v'acconsente », deve risuonare in fondo ad ogni coscienza come un solenne invito alla correzione: è gran male tacere quando si può, con parole opportune, evitare colpe che diminuiscono la gloria di Dio.




XII. Chi difende la giustizia, riveste Dio.

Geltrude mentre cantava il responsorio: « Induit me Dominus - Il Signore mi ha rivestito» ricevette questa luce. Colui che combatte legittimamente per la giustizia, lavorando con parole e con azioni per promuovere la fede, ricopre il Signore di un ricco paludamento di gloria e di salute. Nell'eterna vita Dio gli prodigherà le larghezze della sua regale munificenza, e dopo d'avergli accordato un manto d'allegrezza, lo coronerà con un diadema di gloria.

Ella comprese allora che colui il quale nel combattimento per il bene della religione, avrà sopportato avversità e contraddizioni, diventerà più caro a Dio, come il povero si mostra doppiamente soddisfatto quando, con un solo abito, riesce ad essere riscaldato e vestito; quand'anche poi per l'opposizione dei cattivi, il lavoro intrapreso a gloria di Dio non avesse risultato positivo, pure la ricompensa del servo fedele non sarebbe punto diminuita.

Al canto del responsorio « Vocavit Angelus Domini ». Geltrude comprese che gli Angeli, la cui assistenza sarebbe sufficiente a preservarci da ogni male, sospendono talora, per ordine divino, la loro efficace protezione e paterna Provvidenza.

Dio permette allora che i suoi eletti siano tentati per ricompensarli maggiormente, avendo essi con la loro virtù, trionfato del nemico, quantunque l'ausilio degli Angeli fosse loro stato momentaneamente sospeso.




XIII. Beni che procurano l'obbedienza e l'avversità.

Nell'ufficio dello stesso giorno, al responsorio che segue immediatamente « Vocabit Angelus Domini Abraham » Geltrude si rese ragione perchè il padre dei credenti meritò di essere chiamato da un Angelo, nel momento in cui alzava il braccio per compiere gli ordini del cielo.

Così se l'anima, giusta, per amore di Dio, sottomette il giudizio e mostra buona volontà di fronte a un sacrificio gravoso, merita di essere subito sorretta dalle dolcezze della grazia e consolata dal buon testimonio della coscienza. Con Tali favori l'infinita bontà di Dio anticipa le gioie dell'eterna ricompensa, ed i trionfi di quel giorno nel quale ciascuno riceverà a seconda delle sue opere.

Una volta ella, pensando a parecchie gravi sofferenze sopportate, domandò fiduciosamente a Gesù perché mai le avesse permesse. Egli rispose: « Quando la mano di un padre vuole opportunamente correggere un figliuolo, la verga non può porre resistenza. Così i miei eletti non dovrebbero mai attribuire i mali che soffrono agli uomini; essi sono semplici strumenti di cui mi servo per esercitare la loro pazienza. I miei amici dovrebbero piuttosto considerare il mio paterno amore, il quale non permetterebbe al minimo soffio di turbarli, se non fosse per aumentare le loro eterne gioie. E' bene però che i miei eletti abbiano compassione di coloro che, perseguitandoli, macchiano la loro anima ».




XIV. Le nostre opere, offerte a Dio Padre, per mezzo del Figlio suo, gli sono assai gradite.

Un giorno Geltrude, provando grande difficoltà nel compiere un lavoro, disse al Padre celeste: « Signore, ti offro quest'azione, per mezzo del tuo Figlio unico, nella virtù dello Spirito Santo, per la tua eterna gloria». Comprese tosto che quell'offerta aveva dato all'opera sua un valore straordinario, che l'aveva inalzata al disopra del livello umano, dandole splendori deiformi. E come gli oggetti appaiono di colore verde o azzurro, a seconda degli occhiali che si mettono, così nulla piace di più a Dio Padre di un'azione compiuta per mezzo del suo dilettissimo Figlio Gesù.




XV. Nessuna preghiera ben fatta rimane infeconda.

Geltrude un giorno chiese al Signore a che cosa servivano le frequenti preghiere ch'ella faceva per i suoi amici, giacché non ne ricavava alcun buon effetto.

Gesù si degnò illuminarla con questo paragone: « Quando un giovanissimo principe ritorna al palazzo dell'imperatore, dopo d'avere ricevuto l'investitura di un grande feudo e il possesso di ricchezze considerevoli, coloro che l'incontrano non vedono in lui che la debolezza dell'infanzia e neppure suppongono che un giorno sarà grande e potente. Non stupirti quindi se non puoi scoprire l'effetto immediato delle tue preghiere. La mia eterna Sapienza. dispone tutto per il miglior bene. Quello che è certo si è che, più si prega per un'anima, più si collabora alla sua eterna felicità. La preghiera perseverante non è mai infeconda, quantunque gli uomini non possano capire quaggiù il modo con cui io li esaudisco ».




XVI. I santi pensieri; il loro merito e la loro ricompensa.

Geltrude desiderava sapere quale ricompensa riceverebbe un'anima che avesse innalzato a Dio tutti i suoi pensieri. Ebbe da Gesù quest'istruziane: « L'uomo che dirige i suoi pensieri verso Dio, sia meditando, sia pregando, pone uno specchio tersissimo di fronte al trono glorioso della divinità. In tale specchio il Signore contempla con gioia la sua propria immagine, perché è Lui stesso che dirige e ispira tutto ciò che è buono. Se poi, per l'umana fragilità, l'uomo provasse difficoltà in questo continuo orientamento verso Dio, non deva scoraggiarsi, ma ricordare che più lo sforzo sarà faticoso, più lo specchio presentato di fronte all'adorabile Trinità e a tutti i Santi, sarà luminoso e brillante; di più tale specchio rifulgerà eternamente per la gloria di Dio e per l'allegrezza eterna dell'anima che avrà saputo santificare i suoi pensieri ».




XVII. Ostacoli alla divozione nei giorni di festa.

In un giorno di festa Geltrude, per un forte male di testa, non poté cantare; ella domandò ingenuamente a Gesù perché mai permetteva che quel malessere la sorprendesse soprattutto nei giorni di maggiore solennità. Le rispose il Signore: « Lo faccio per tema che il fascino delle melodie sacre non ti renda meno sensibile ai delicati tocchi della grazia». Obbiettò vivacemente Geltrude: «Ma la bontà tua, o mio Signore, potrebbe preservarmi da tale pericolo ». « Infatti potrei farlo: però ricorda che l'anima ha maggior guadagno quando, per mezzo della prova e della sofferenza, le vengono tolte occasioni di colpa, perché ha allora il doppio merito della pazienza e dell'umiltà».




XVIII. Effetti della buona volontà.

Un giorno Geltrude, trasportata da un impeto di fervore, disse: « Come sarei felice, o mio Dio, se un fuoco ardente bruciasse l'anima mia, riducendola in sostanza liquida che potesse scorrere facilmente in Te ». Rispose il Signore: « La tua volontà sarà quel fuoco divoratore ». Ella comprese allora che, con un solo movimento di buona volontà, si può ottenere la realtà dei desideri che hanno Dio per oggetto.




XIX. Vantaggi della tentazione.

Geltrude pregava spesso il Signore di sradicare ogni difetto da essa e dagli altri. Ma poi comprese che la divina bontà non poteva esaudirla che in parte, cioè attenuando la fatale necessità che risulta dalle cattive abitudini. Con l'aiuto di Dio l'aníma riesce allora a resistere facilmente al male, perché la difficoltà cessa di crescere con l'abitudine che, giustamente, è chiamata una seconda natura. Ella riconobbe allora l'ammirabile consiglio della divina bontà per la salvezza delle anime; Dio, per avere il diritto di aumentare la loro eterna ricompensa permette che siano fortemente combattute dal pungolo del peccato: resistendo aumentano la loro gloria e il loro eterno trionfo.




XX. Gesù soccorre nella loro agonia coloro che hanno pensato a Lui.

Geltrude ascoltò in una predica queste parole: « Nessuno potrà salvarsi senza l'amore di Dio; tale amore deve essere almeno sufficiente per condurlo a sentimenti di contrizione e all'emenda della vita ». Ella si turbò pensando che molti, in punto di morte, sentono dolore dei peccati, più per timore dell'inferno che per puro amore di Dio. Ma il Signore la rassicurò dicendole: «Quando vedo nell'agonia coloro che durante la vita hanno qualche volta pensato a me, o che hanno compiuto qualche buona opera negli ultimi giorni, mi mostro a essi con tanta bontà, tenerezza e amabilità che essi si pentono d'avermi offeso e tale atto di dolore loro vale l'eterna salvezza. Così vorrei che i miei eletti mi glorificassero, e ringraziassero per tale insigne favore ».




XXI. Dio non fissa lo sguardo sulle imperfezioni di un'anima che lo ama veramente.

Geltrude, considerando la miseria dell'anima sua, ne fu così costernata e concepì un tale disprezzo di se stessa, che si andava domandando con ansietà se potesse piacere al suo Dio. Infattì dove il suo occhio infermo poteva scorgere una macchia, lo sguardo penetrante della divinità avrebbe scoperto innumerevoli colpe. Il Signore le diede questa consolante. risposta: « L'anima giunge a piacermi per mezzo dell'amore ».

Ella comprese allora che se l'amore umano giunge a far trovare del fascino perfino in esseri deformi, Dio, che é la carità per essenza, soprà trovare bellezze meravigliose nelle creature da lui amate.




XXII. Come il Signore moderò in Geltrude il desiderio della morte.

Geltrude, come l'Apostolo, sospirava ardentemente di essere separata dai corpo per unirsi a Cristo e per l'ardore di tale brama, faceva sentire a Dio i gemiti del suo cuore amante,

Il Signore si degnò di farle capire che ogni qualvolta, pur sentendo vivissimo desiderio di uscire dalla prigione del corpo, si fosse rassegnata a rimanere quaggiù tutto il tempo che il Signore avesse voluto, altrettante volte il Figlio di Dio le comunicherebbe i meriti della sua santissima vita, perchè si perfezionasse sempre di più davanti allo sguardo del Padre celeste.




XXIII. Dio non esige il frutto delle opere per ciascuno de' suoi doni.

Geltrude, ricordando un giorno le grazie numerose e varie ricevute dalla bontà divina, si protestò miserabile, ingrata, indegna di ogni bene per avere sciupato tanti tesori; ella si rendeva conto di non aver trafficato tali doni per il suo proprio vantaggio, nè d'averne ringraziato degnamente il Signore; di più doveva convenire di avere trascurato anche il profitto del prossimo, il quale non avendo conosciuto quelle grazie, non era stato in grado di trarne edificazione, elevandosi a una più alta conoscenza di Dio.

Gesù consolò la sua Sposa, mandandole una luce speciale. Egli le fece capire che, diffondendo i suoi doni sugli uomini, non esige un frutto speciale per ciascuno di essi, ben conoscendo la fragilità delle sue crature; tuttavia, non potendo trattenere l'impeto della sua bontà e generosità, sparge continuamente sugli uomini l'abbondanza delle sue grazie, quasi per prepararli alla meravigliosa opulenza della felicità eterna. Così è del fanciullo al quale vengono affidati titoli di proprietà; egli non ne capisce affatto il pregio, ma giunto a età matura si compiacerà di tali ricchezze. Per tanto l'amabile Salvatore, accordando grazie celesti al suoi eletti, loro dona un pregusto di quei beni la cui pienezza formerà il loro eterno godimento.




XXIV. La volontà d'avere buoni desideri supplisce al loro difetto.

Geltrude un giorno si sentì amareggiata per il timore di non avere un desiderio abbastanza intenso di lodare il buon Dio. Una luce soprannaturale però le fece capire che il Signore si accontenta della buona volontà di coloro che bramano di avere ardenti desideri. L'anima si riveste allora dello splendore dei suoi stessi aneliti allo sguardo di Dio, che gusta in essa maggior delizie di quelle che noi proveremmo contemplando in primavera la vaghezza di un prato adorno di magnifici fiori.

Un'altra volta Geltrude, oppressa dalla malattia, si era un po' allentata nell'abituale attenzione alla divina presenza. Quando si accorse della sua negligenza, ne provò cocente rimorso e subito risolvette di confessare la colpa a Gesù con umile divozione. Ella giustamente temeva di dover fare grandi sforzi prima di ritrovare le dolcezze della grazia celeste; invece immediatamente sentì la bontà divina chinarsi verso di lei, dicendole con un tono pieno d'amore: « Mia figlia, tu sei sempre meco, e tutto quello che è mio, è tuo ».

Quelle parole le fecero comprendere che se l'uomo, a causa dell'innata fragilità trascura di dirigere l'intenzione a Dio, Egli nella sua tenera misericordia giudica le sue azioni degne di eterna ricompensa, purchè la volontà non si distolga da Dio, e abbia un vero, attuale dolore dei propri peccati. All'avvicinarsi di una festa, Geltrude si sentì assalita da un attacco di malattia. Con la solita confidenza pregò il Signore di lasciarle la salute fino a solennità compiuta, o almeno di diminuire i dolori in modo da poter celebrare le sacre funzioni; tuttavia si sottomise pienamente al divino beneplacito. Gesù le rispose amabilmente: « Con questa preghiera e soprattutto con l'adesione incondizionata alla mia Volontà, mi hai introdotto in un giardino delizioso ove trovo ineffabili godimenti, mirando le aiuole smaltate di olezzanti fiori. Sappi dunque che se ti esaudisco, sono io che ti seguirò nel giardino ove tu gusti le tue delizie, se, al contrario, non rispondo affermativamente alla tua richiesta, e tu ricevi il rifiuto con pazienza, sei tu che mi seguirai nel giardino delle mie preferenze. Ricorda, o figlia, che mi compiaccio assai più di te, quando trovo nella tua anima ferventi desideri, quantunque talora un po' attenuati per la malattia, che non quando tu senti ardenti brame e accesa divozione, ma congiunte alla tua propria sodisfazione ».




XXV. Bisogna temere che l'assecondare i sensi, diminuisca in noi la grazia.

Geltrude domandò un giorno al Signore come mai Egli facesse gustare a certe anime la dolcezza delle consolazioni, mentre altre vivevano nella più desolante aridità.

Il Salvatore le diede questa istruzione: « Il cuore dell'uomo è stato creato per contenere le delizie spirituali, come il vaso è stato fatto per contenere l'acqua. Se il vaso colmo lascia sfuggire il liquido da qualche fessura, a poco, a poco si vuoterà e rimarrà asciutto. Così se il cuore che racchiude delizie celesti, le perde attraverso all'accontentamento dei sensi, guardando, o ascoltando quando gli piace, o seguendo la sua cupidigia, lascia evaporare, per così dire, le dolcezze sì rituali e se ne sta vuoto nell'incapacità desolante di trovare la sua gioia in Dio. Tutti possono farne esperienza in se stessi. Quando l'uomo segue le sue tendenze, guardando e ascoltando cose vane e inutili, subito si sente allontanare dai pensieri celesti: è il dolce liquore spirituale che sfugge, come l'acqua dal vaso. Se invece egli resiste generosamente per piacere a Dio, agli allettamenti sensibili, subito sente crescere in sè una segreta gioia intima che sovrabbonda, tanto da non poter più contenerla. Perciò colui che saprà vincere e mortificare la natura, riuscirà a deliziarsi in Dio, e le sue gioie saranno grandi in proporzione dello sforzo fatto per vincersi ».

Un giorno Geltrude fu presa da una profonda tristezza, per cosa di poca importanza. Mentre il sacerdote esponeva l'Ostia Santa all'adorazione dei fedeli, offerse la sua desolazione a Dio, in lode eterna. Il Signore parve allora attrarla a sè, come attraverso a un'apertura di quell'Ostia misteriosa; la fece dolcemente riposare sul suo Cuore e le disse con bontà: « In questo domicilio sarai esente da ogni pena, ma ogni volta che te ne allontanerai, il tuo cuore proverà un profondo disgusto che ti servirà d'antidoto salutare, riconducendoti verso il tuo Dio ».




XXVI. Il Signore consola Geltrude come farebbe una madre col suo bambino.

Un giorno Geltrude, affatto sfinita e senza forze, disse a Gesù: « O mio Maestro, che diverrò io? Che cosa farete di me? ». Egli le rispose: « Come una madre consola i suoi figli, così o ti consolerò ». E aggiunse: « Non hai veduto qualche volta una madre accarezzare il suo figlioletto? ». Geltrude taceva; non si ricordava di averlo veduto mai. Il Signore le ricordò allora che quell'anno stesso, sei mesi prima, aveva incontrato una madre che accarezzava la sua creatura, e le rammentò tre cose che aveva viste in quell'incontro senza fermarvi il pensiero.

« Prima » disse Gesù « hai veduto come la madre invitava a diverse riprese, il fanciulletto ad abbracciarla, e quegli non poteva corrispondere all'invito, se non facendo sforzi per giungere fino al di lei volto. Così sarà solo col farti violenza che giungerai, per mezzo della contemplazione, a godere la dolcezza e il soave godimento dell'amor mio »

« Tu osservasti, in secondo luogo, che la madre stuzzicava e teneva desta la volontà del fanciullo, dicendogli: « Vuoi questo? Vuoi quello? » senza però dargli alcuna cosa di quello che sembrava offrirgli. Così Dio tenta tante volte l'uomo, proponendogli l'accettazione di pene e di prove alle quali però non vuole sottoporlo; Dio si contenta di tale accettazione e, giacchè l'anima è sottomessa, si rende degna di ricompense eterne ».

« Infine hai veduto come nessuno dei presenti, tranne la mamma, comprendeva il linguaggio del bimbo, i movimenti delle sue piccole mani ed i suoni inarticolati della sua voce. Così solo Dio vede e comprende l'intenzione dell'uomo nelle sue opere, le giudica a norma di essa, e i suoi giudizi sono ben diversi da quelli degli uomini che vedono solo l'esterno ».

Una sola volta Geltrude, ricordando i suoi peccati, sentì confusione somma e si gettò nel profondo abisso dell'umiltà, cercando di nascondervisi totalmente; ma il Signore la seguì con tale accondiscendenza che tutta la Corte celeste meravigliata cercava di trattenerlo: « Io non posso tralasciare di seguire la mia Sposa » disse il Signore « perchè la calamita potente della sua umiltà attrae l'amore del mio divin Cuore ».




XXVII. Dio apprezza molto la pazienza.

Geltrude chiese un giorno al Signore su quale soggetto fissare l'attenzione per il perfezionamento dell'anima sua. Le rispose Gesù: « Desidero che tu impari la pazienza ». Trovandosi appunto in quel momento assai turbata, gli chiese: « Come e con quale mezzo potrò impararla? ». Il Signore, accostandola a sè, come fa un esperto maestro col suo giovane scolaro, lei insegnò tre lettere che dovevano insegnarle tale scienza. Alla prima lettera le disse: « Considera come il re onora della sua amicizia colui che condivide le sue umiliazioni e i suoi trionfi. Così la mia tenerezza per te s'accresce, quando soffri per mio amore disprezzi che assomìgliano a quelli da me sofferti».

« Alla seconda lettera aggiunse: « Ammira di quanto rispetto sono circondati coloro che il re onora e associa ai suoi lavori; ti sarà facile capire quale gloria in cielo avranno coloro che in terra esercitarono la pazienza».

Alla terza lettera concluse: « Rifletti a qual punta si può essere consolati dalla delicata compassione di un cuore fedele e potrai capire, con quale soave bontà io ti consolerò nei cieli per le minime afflizioni che sopporterai in questa vita ».

Edited by Domenico-89 - 24/6/2016, 05:52
 
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