Amiamo Dio con Gesù e Maria

2° Libro, Capitoli 1 a 10

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view post Posted on 14/8/2010, 16:25
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Domenico-89

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L'ARALDO DEL DIVINO AMORE - RIVELAZIONI DI S. GELTRUDE
LIBRO SECONDO

PREFAZIONE DI LANSPERGIO
Geltrude, ispirata da Colui che poteva disporre liberamente del suo volere, scrisse questo secondo libro, tutto di sua mano: è un libro pio ed utile a tutti: esso fornisce all'anima devota, luce ed esempio per dirigersi nella vita interiore, per imparare a conoscere imperfezioni e difetti, onde piangerli davanti a Dio; infine per concepire un vero disprezzo di se stessi, e salde risoluzioni per rendere migliore la propria vita.
Insegna ancora a proclamare i divini benefici, a ringraziarne il Signore, ed a ricondurre tali beni alla loro sorgente. Mostra ciò che prova un'anima quando Dio l'attrae a sè, insegna con quale discrezione deve procedere per discernere lo Spirito di Dio dal proprio, e giungere poi all'unione d'amore col suo Signore.
Questo libro presenta tali cose con termini assai semplici, che non corrispondono affatto alla grandezza delle realtà che esprimono, ma non sono certo le forme letterarie, più o meno eleganti, che danno pregio allo stato di un'anima che Dio eleva, per mezzo della grazia: è bene sapersi che la maggior parte delle cose descritte in queste pagine saranno comprese soltanto da chi ha ricevuto simili favori. La parola umana non può tradurne la grandezza e la maestà.
Geltrude stessa, come dicemmo, spinta da un impulso soprannaturale scrisse queste pagine di sua propria mano.

PROLOGO
Nove anni dopo d'avere ricevuti i favori che narreremo in questo libro un giorno di giovedì Santo, mentre Geltrude aspettava, con la Comunità, il sacerdote che doveva portare la S. Comunione a un'inferma, sentì uno straordinario impulso dello Spirito Santo, che l'animava a scrivere. Prendendo la tavoletta che le pendeva dalla cintura, tracciò le pagine seguenti. Noi raccoglieremo gli slanci del suo cuore verginale verso il suo Diletto, e ci sarà dato comprendere come l'anima sua fosse ricolma di lodi e di ringraziamenti.

CAPITOLO I

COME IL SIGNORE, ORIENS EX ALTO, LA VISITO' LA PRIMA VOLTA
L'abisso della sapienza increata invochi l'abisso dell'ammirabile onnipotenza per esaltare quest'incomprensibile bontà che fece discendere i torrenti della sua misericordia, fino alla valle profonda della mia miseria! Avevo compiuto venticinque anni ed era la seconda feria (giorno benedetto per me), che precedeva la festa della Purificazione della tua castissima Madre. Era la sera, dopo Compieta, nell'ora propizia del crepuscolo, quando Tu risolvesti, o Dio, che sei verità più pura della luce, e più intima di qualsiasi recondito segreto, di dissipare le folte tenebre che mi circondavano. Con un procedimento pieno di soavità e di tenerezza, hai incominciato a placare il turbamento che, già da un mese, Tu avevi suscitato nel mio cuore. Tale inquietudine era destinata, io penso, a rovesciare la fortezza della vana gloria e della curiosità, ch'io avevo innalzata nel mio insensato orgoglio, benchè portassi, ma senza frutto, il nome e l'abito di religiosa.

Era questo il cammino che Tu avevi scelto, o mio Dio, per mostrarmi la tua salvezza.
Pertanto, stando io, nell'ora sopraddetta, in mezzo al dormitorio, m'inchinai, secondo la regola dell'Ordine, verso una sorella anziana che mi passava dinanzi. Appena ebbi rialzato il capo, vidi davanti a me un giovane, splendente di grazia e di bellezza: poteva avere circa sedici anni, e il suo aspetto era tale, che i miei occhi non avrebbero potuto ammirare nulla di più attraente. Con accento di grande bontà Egli mi disse queste dolci parole: « Cito veniet salus tua: quare moerore consumeris? Numquid consiliarius non est tibi, quia innovavit te dolor? La tua salvezza non tarderà: perchè ti consumi nel dolore? Non hai un consigliere che possa calmare queste rinascenti angosce? ».
Mentre pronunciava queste parole, quantunque fossi sicura della mia presenza corporale in dormitorio, pure mi vidi in coro nel posto ove ero solita recitare le mie tiepide orazioni: Fu là che sentii queste altre parole: « Salvabo te et liberabo te, noli timere. Io ti salverò e ti libererò: non temere di nulla». Dopo tali accenti lo vidi prendere la mia destra nella sua nobile, delicata mano, come volesse ratificare solennemente le sue promesse.
Indi aggiunse: «Coi miei nemici hai lambito la terra ed hai succhiata il miele aderente alle spine: ritorna finalmente a me, ed io t'inebrierò al torrente della voluttà divina» (Ps. XXXV, 9).
Mentre così parlava io guardai e scorsi fra Lui e me, cioè fra la sua destra e la mia sinistra, una siepe così lunga che, nè davanti nè dietro di me, mi fu dato vederne il termine. La superficie appariva coperta di spine così fitte che in niun luogo trovavo un varco che mi permettesse passare, per raggiungere il bell'adolescente.
Me ne stavo titubante, ardendo di desiderio e sul punto di venir meno, quando Egli stesso mi afferrò la mano e, sollevandomi, senza alcuna difficoltà, mi pose al suo fianco; scorsi allora su quella mano che mi era stata tesa come pegno di fedeltà i preziosi gioielli delle sacre piaghe che hanno annullato i diritti di tutti i nostri nemici. Così io adoro, lodo, benedico, ringrazio, come posso, la tua sapiente misericordia e la tua misericordiosa sapienza, che seppe, in modo così carezzevole, piegare la mia testa ribelle sotto il tuo soave giogo, preparandomi un rimedio così adatto alla mia debolezza.
Da quel momento infatti, la mia anima ritrovò la calma e la serenità, incominciai a correre al profumo de' tuoi unguenti e, ben presto, gustai la dolcezza del giogo dell'amor tuo, che prima mi era sembrato duro e quasi intollerabile.

CAPITOLO II

LA LUCE DEL CUORE
Io ti saluto, o mio Salvatore, luce dell'anima mia: tutto ciò che i cieli racchiudono nelle loro sfere, la terra nel suo globo, l'abisso dei mari nelle loro profondità, ti ringrazino dello straordinario favore per cui mi hai fatto conoscere e considerare i segreti del mio cuore. Prima di quel giorno non me n'ero mai preoccupata, e, se posso così esprimermi, mi ero curata del mio interno poco più delle calzature de' miei piedi.
In questa nuova luce potei ricercare con cura e scorgere nella mia anima più d'una macchia e parecchie cose che offendevano la tua somma purezza; vidi di più un tale disordine e una tale confusione, da rendere impossibile la tua dimora in me. Non pertanto nè il disordine, nè l'indegnità ti hanno da me allontanato, o Gesù mio amatissimo: ogni volta che mi nutrivo dell'alimento vivificante del tuo Corpo e del tuo Sangue, godevo della tua visibile presenza, benché in una specie di luce fioca, come si scorgono gli oggetti all'incerto chiarore dell'alba.
Con simile dolce accondiscendenza Tu hai voluto impegnare la mia anima a fare nuovi sforzi, per unirmi più familiarmente a Te, per contemplarti con occhio più limpido e per gioire con pienezza del tuo amore.
Lavoravo alacremente per ottenere tali favori nella festa dell'Annunciazione della Santa Vergine Maria, il cui purissimo grembo fu l'asilo benedetto, ove Tu ti sei degnato di sposare in quel giorno l'umana natura.
O Dio, che prima di essere invocato rispondi « Eccomi », Tu hai voluto anticiparmi le gioie di quella giornata, prevenendomi fin dalla vigilia con le benedizioni della tua dolcezza (Ps. XX, 4).
Si teneva il Capitolo dopo Mattutino, perchè era domenica; nessuna parola umana può esprimere in qual modo, o « Luce che scendi dall'alto hai visitato l'anima mia, nelle viscere della tua dolcezza e della tua bontà » (Luc. I, 78). Dammi, o sorgente di ogni bene, dammi d'immolare sull'altare del mio cuore l'ostia di giubilo, perché ottenga d'esperimentare spesso, con tutti i tuoi eletti, quest'unione sì dolce, questa dolcezza sì unitiva che, fino adesso, mi era stata completamente sconosciuta.
Quando considero cos'era la mia, vita in passato, e quale fu in seguito, debbo proclamare, con sincerità, che tale beneficio fu dono gratuito e immeritato. Da quel benedetto istante ebbi una conoscenza così luminosa di Te stesso, da essere più commossa per la dolce tenerezza della tua familiarità che per timore degli stessi tuoi castighi. Ricordo però d'aver provato queste ineffabili delizie soltanto nei giorni della S. Comunione, quando mi chiamavi al tuo regale banchetto. Era disposizione della tua Sapienza? Era risultato dalla mia grande negligenza? Non saprei dirlo con esattezza.

CAPITOLO III

DELIZIE DELLA DIMORA DEL SIGNORE NELL'ANIMA
Tu, mio Dio, agivi nell'anima mia attraendola potentemente tutta a Te. Un giorno fra la Risurrezione e l'Ascensione, al mattino, avanti Prima, entrai nel podere del Monastero e mi sedetti presso il laghetto. La bellezza del luogo mi rapiva, soprattutto per la limpidezza delle acque é la presenza degli alberi verdeggianti: più ancora mi compiacevo del gaio svolazzare degli uccelletti, e particolarmente delle colombe che andavano e venivano liberamente intorno a me. In quella profonda solitudine si gustava una pace deliziosa e riposante. Cominciai a domandarmi cosa mai avrebbe potuto completare l'incanto di quel luogo, e conclusi che mancava solo la presenza di un amico affettuoso, amabile, capace di rallegrare la mia solitudine.

Tu allora, mio Dio, sorgente d'indicibili delizie, Tu, che mi avevi ispirato l'inizio di quella meditazione, per concluderla con profitto del tuo amore, mi facesti capire quanto segue, dicendomi: «Se tu, per riconoscenza, facessi risalire fino a me, come l'acqua di un fiume che precipita verso il mare, le grazie di cui ti ha ricolmata; se ti sforzassi di crescere in virtù come un albero vigoroso si adorna di ricca verzura; se libera da tutti i legami terrestri, spiccassi il volo come la colomba, verso le regioni celesti per dimorarvi con me, lungi dalle passioni e dal tumulto del mondo, tu mi prepareresti nel tuo cuore un incantevole soggiorno».
Il mio spirito restò tutto il giorno occupato da questi pensieri. Giunta la sera, prima di coricarmi, m'inginocchiai per pregare e mi risovvenni a un tratto della sentenza evangelica: « Si quis diliget me, sermonem meum serbavit et Pater meus diliget eum, et ad eum veniemus, et mansionem apud eum jaciemus (Giov. XIV, 23). Se qualcuno mi ama e osserva la mia parola, mio Padre l'amerà e noi verremo a lui e stabiliremo in lui la nostra dimora». In quel medesimo istante sentii che il mio cuore, questo povero cuore di fango, era diventato la tua dimora!
Oh, chi mi darà di far scorrere sull'anima mia un vasto oceano le cui acque, mutate in sangue, purifichino questo domicilio vile e miserabile, che la tua incommensurabile grandezza si degna d'abitare! Chi mi darà di strapparmi il cuore dal petto, e, fattolo a brani, gettarlo su carboni ardenti, affinchè purificato col fuoco da, ogni scoria, potesse offrirti un soggiorno, se non degno di Te, almeno un po' meno indegno! Da quell'istante, o mio Dio, Tu ti mostrasti a me, ora con volto benevolo, ora con espressione severa, secondo che ero stata più o meno vigilante nel combattere i miei difetti. Però, fossero pure stati i miei sforzi perfetti e costanti, giammai avrei potuto meritarmi il minimo de' tuoi sguardi, neppure quell'occhiata severa, ch'era dovuta alla moltitudine de' miei peccati. Invece, nella tua infinita accondiscendenza, ti mostravi più afflitto che irritato per le mie colpe, e ti vidi sopportare i miei numerosi difetti con tale divina pazienza, che sorpassava quella già dimostrata quaggiù al traditore Giuda.
Quantunque talvolta mi compiacessi delle cose effimere di questo mondo, pure, dopo ore, ohimè! dopo giorni, e, mi trema il cuore a dirlo, dopo settimane passate nella dissipazione esteriore, se rientravo in me stessa, sempre ti trovavo presente in fondo al cuore. In nove anni non ti sei mai sottratto al mio amore, se non una sola volta, durante undici giorni prima della festa di S. Giovanni Battista, perché volesti farmi capire il dispiacere che ti avevo recato con una conversazione mondana. Tale severo castigo durò fino alla seconda feria, vigilia della festa, durante la S. Messa Ne timeas Zacharia. La tua dolce umiltà e l'ammirabile bontà del tuo amore, vedevano che io ero giunta a tale eccesso di follia, da neppure accorgermi della perdita di tale tesoro, giacchè non ricordo d'averne provato dolore, e neppure brama di ritrovarlo. Mi meraviglio io stessa come abbia potuto giungere a tale punto di demenza. Forse volevi farmi esperimentare le note parole di S. Bernardo: « Quando fuggiamo, Tu c'insegui; se ti voltiamo il dorso, Tu ci presenti il volto; se supplichi, ti disprezziamo, ma nè cattiveria, nè disprezzo, possono allontanarti da noi. Instancabile e buono t'industri di guidarci sempre verso quella gioia che l'occhio umano non ha visto, nè l'orecchio intesa, e cuore dell'uomo non conosce ». Siccòme poi mi hai accordato la dolce grazia della tua presenza quando ero indegna, e siccome è più grave la recidiva, così posso affermare d'essere affatto immeritevole di gustare la soave gioia della tua salutare vicinanza, che dura a tutt'oggi. Per il che sia reso a Te lode, e quel ringrazia mento che, procedendo dolcemente dall'amore increato, rifluisce in Te, senza che nessuna creatura possa esaurirne i tesori.
Per poter custodire dono sì sublime ti offro l'eccellentissima supplica che l'angoscia estrema della tua agonia, (confermata dal sudore del sangue), ha reso così intensa, che la semplicità e l'innocenza della tua vita hanno fatta così fervente, che l'amore infine della tua divinità ha reso sì efficace. La virtù di quella perfettissima preghiera, rendendo completa la mia unione con Te, mi attragga nell'intimità del tuo divin Cuore. Se per necessità dovrò occuparmi di opere esteriori, possa io soltanto prestarmi per il loro compimento ma rimanere interiormente indivisa da Te, così che, quando le avrò adempite con cura, possa ritornare tosto a godere di Te, nel più intimo dell'essere, come l'acqua precipita impetuosamente verso l'abisso quando si toglie l'ostacolo che le impediva il libero corso.
Possa io d'ora innanzi essere sempre presente a Te, come Tu lo sei a me, affinchè mi sia dato raggiungere quel grado di perfezione al quale la tua giustizia può permettere alla tua misericordia d'innalzare un'anima, gravata dal peso della carne e che sempre resistette all'infinito tuo amore. Possa io infine esalare il mio ultimo respiro fra i tuoi intimi amplessi, e nel gaudio del tuo onnipotente bacio! Mi sia dato così volare, senza indugio, là ove Tu dimori fuori dello spazio, in quell'eternità sempre nuova, ove Tu vivi, splendente di gloria, col Padre e con lo Spirito Santo, nei secoli immortali!

CAPITOLO IV

IMPRESSIONE DELLE SACRATISSIME PIAGHE DEL CRISTO
Il primo, o forse il secondo anno, che segui la mia conversione, durante l'inverno trovai in un libro la seguente preghiera:
« Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, dammi di aspirare al possesso di Te: accendimine in cuore il desiderio e la sete ardente; dammi di respirare in Te, dolcissimo, soavissimo Gesù e di dirigere verso di Te, felicità suprema, tutti i palpiti e gli aneliti del mio cuore. Scolpisci, misericordioso Signore, scolpisci col tuo Sangue nel mio cuore le tue Piaghe, affinchè possa leggervi i tuoi dolori e il tuo amore; fa che la memoria delle tue ferite mi sia del continuo presente nel segreto del cuore per eccitarmi alla compassione de' tuoi dolori e attivare in me il fuoco del tuo amore. Fa altresì che ogni creatura mi torni a vile, e che Tu solo sii dolce al mio cuore».

Questa preghiera mi piacque e la recitai frequentemente. Tu, che non disprezzi i desideri degli umili, mi assistevi disposto ad esaudirla. Poco tempo dopo, nel medesimo inverno, dopo i Vespri, me ne stavo seduta in refettorio, vicino a una consorella alla quale avevo confidato qualche cosa dei segreti dell'anima mia. Dirò, tra parentesi, per l'istruzione di chi leggerà questo scritto, che tali confidenze accrebbero spesso assai il mio fervore, senza però che potessi capire, o mio Dio, se ero spinta a rivelare le mie intimità dal tuo Santo Spirito, ovvero semplicemente dall'affezione che avevo per quella consorella. Ho però sentito dire da persone esperimentate in tale materia, che è sempre utile rivelarle, non però a tutti indistintamente, ma solo a quelle persone di cui conosciamo la fedele affezione e che, per età, siano a noi maggiori.
Giacchè ignoro, come dissi, il motivo che mi faceva agire, rimetto tutto a Te che sei il mio fedelissimo Provvedatore, per il cui « Spirito, più dolce del miele, tutta la virtù de' cieli si regge » (allusione al versetto 6 del salmo XXXII). Se mai poi mi fossi lasciata guidare da un'affezione umana, è ben giusto, o mio Dio, che m'immerga in un abisso di gratitudine, poiché ti sei degnato unire la polvere del mio nulla all'oro della tua infinita grandezza, incastonando nel povero cuor mio le perle delle tue grazie.
In quel momento dunque, mentre stavo meditando la preghiera che scrissi più sopra, compresi che, nonostante la mia indegnità, Nostro Signore mi esaudiva, compiendo in me quella divina operazione che rispondeva a' miei ferventi desideri. Sentii cioè in ispirito, o mio Dio, che Tu m'imprimevi in cuore le stigmate adorabili delle tue Ss. Piaghe. Con tali ferite Tu hai guarito l'anima mia e mi hai dato da bere la coppa inebriante del nettare squisito del puro amore.
Ma la mia indegnità non poté esaurire l'abisso della tua tenerezza! Ebbi ancora, dalla sovrabbondante tua generosità altro magnifico dono: che tutti i giorni, anzi ogni volta che avessi recitato cinque versetti del salmo « Benedic anima mea » (Ps. C II), visitando spiritualmente le stigmate impresse nel mio cuore, avrei ricevuto qualche grazia speciale. Conobbi da Te che, al primo versetto, Benedic anima mea, potevo deporre nelle ferite dei tuoi piedi ogni ruggine di peccato, e ogni spregevole compiacenza mondana. Al secondo versetto, Benedic et noli oblivisci, mi fu dato di lavare in quella sorgente amorosa dalla quale provenne Sangue e acqua di redenzione, ogni macchia di carnale ed effimero diletto. Al terzo versetto Qui propitiatur, simile a colomba che nidifica nello scoglio, venni a rifugiarmi nella Piaga della mano sinistra, per gustarvi il riposo dell'anima. Al quarto versetto Qui redimit de interitu, avvicinandomi alla tua mano destra, attinsi con fiducia nei tesori ch'essa racchiude, tutto quanto mancava in me alla perfezione delle virtù.
L'anima mia, purificata così da ogni macchia, arricchita di meriti, possa alfine, ora che tali favori mi hanno resa meno indegna, godere, come indica il quinto versetto Qui replet in bonis, della desideratissima, dolcissima tua presenza e dei tuoi casti amplessi!
Ha poi completato la gioia del mio cuore, dandomi la grazia che chiedevo in quella preghiera, cioè di poter leggere nelle tue Sante Piaghe il dolore e l'amor tuo. Ma questo durò, ahimè breve tempo, non già per avermi Tu tolti tali favori, ma, e lo deploro!, per averli perduti io stessa, a causa della mia ingratitudine e negligenza. Tuttavia la tua immensa misericordia e generosa tenerezza, tollerando le mie distrazioni, mi hanno conservata fino ad oggi il prima. e più grande di questi doni, cioè l'impronta delle ferite delle tue sacratissime Piaghe. Per questo favore, o mio Dio, sia reso a Te onore, imperio, lode e giubilo nei secoli eterni!

CAPITOLO V

LA FERITA D'AMORE
Il settimo anno, dopo la mia conversione, all'avvicinarsi dell'Avvento, una persona, cedendo alle mie importunità, rivolgeva tutti i giorni al Crocifisso questa breve preghiera:
« O Signore amatissimo, per il tuo Cuore squarciato, ti prego di trapassare il cuore di Geltrude coi dardi del tuo amore, affinchè, non potendo contenere più nulla di terreno, sia tutto compenetrato dalla sola virtù della tua divinità ».
Questa preghiera era una specie di sfida al tuo amore. Poco tempo dopo, e precisamente la terza domenica d'Avvento nella quale si canta l'antifona « Gaudete in Domino », mentre mi accostavo all'altare per ricevere la S. Comunione, sentii l'anima presa da un veemente desiderio che mi fece prorompere in queste parole: « Signore, confesso ché per i miei demeriti non sono degna di ricevere la più piccola particella de' tuoi doni, pure oso domandarli ardentemente alla tua bontà: in virtù dei meriti e dei desideri delle suore qui presenti, ti supplico di trafiggere l'anima mia col dardo del tuo amore ». Compresi tosto per l'infusione di una grazia interiore e per un segno esterno apparso sul Crocifisso, che la mia preghiera era esaudita. Ricevuto il S. Sacramento e ritornata al mio posto, mi accorsi che dall'immagine del Crocifisso, dipinta sul luogo santo, partiva come un raggio di sole che all'estremità, aveva la forma d'una freccia. Quel raggio scaturì dal fianco destro del Salvatore, si contrasse, indi si lanciò a guisa di saetta, sostando un istante, quasi per attrarre dolcemente a sè tutto il mio affetto.
Tuttavia le mie brame non erano ancora soddisfatte. Il mercoledì seguente, giorno in cui si commemorava la tua adorabile Incarnazione ed Annunciazione, mi unii alle preghiere comuni, quantunque le recitassi con poco fervore. Ad un tratto ti vidi apparire davanti a me, infliggendo una ferita al mio cuore con queste parole: « Tutte le affezioni tue si concentrino in me, compiacenza, speranza, gioia, dolore, timore si raccolgano e si stabiliscano qui, nell'amor mio! ». Ricordai allora quanto avevo udito altre volte, cioè che le ferite abbisognano di lavacro, d'unzione, di fasciatura. Come potessi fare ciò non me lo insegnasti allora in moda preciso, ma me lo chiaristi più tardi, per mezzo di un'altra persona, la quale, ne sono certa, era abituata ad ascoltare il tuo dolce colloquio d'amore con maggior delicatezza e perseveranza di me. Essa infatti mi consigliò di onorare con una costante divozione l'amore del tuo Cuore trafitto sulla Croce, attingendo a quella sorgente di carità, l'acqua della vera divozione che lava qualsiasi offesa; mi disse di prendere, nell'effusione della tenerezza che scorre da un tale amore, l'olio della riconoscenza, quasi unzione contro ogni avversità. Infine m'invitò a cercare, in quell'opera di redenzione che Tu hai compiuto con incomprensibile amore, la fasciatura della giustizia, affinchè dirigessi a Te, pensieri, parole ed opere, aderendo in modo indissolubile al tuo amore divino.
O Dio, la forza di quell'amore, la cui pienezza risiede in Colui che, sedendo alla tua destra, si fece « osso delle mie ossa e carne della mia carne» supplisca a quanto io ho mancato, per malizia e viltà. Per Lui, in virtù dello Spirito Santo, con sentimenti di compassione, d'umiltà e di riverenza, ti offro il dolore che provo d'aver oltraggiato la tua divina bontà, peccando in pensieri, parole ed opere, e non servendomi con premura dei doni ricevuti. Se a me, così indegna, tu avessi dato, per tuo ricordo, un solo filo di stoppa, avrei dovuto riceverlo con infinito rispetto.
Tu, o mio Dio, che conosci i più riposti segreti del mio cuore, sai quale ripugnanza io provi a scrivere ed a pubblicare queste cose; per farlo ho dovuto lottare contro le mie tendenze personali e riflettere che, avendo così poco approfittato delle tue grazie, esse non potevano essermi state accordate per me sola, poichè la tua eterna Sapienza non può essere da alcuno frustrata. O dispensatore di tesori del cielo, che mi hai colmata gratuitamente di tanti favori, fa che leggendo questo scritto, il cuore di almeno uno fra i tuoi amici, si commuova per la tua accondiscendenza e ti ringrazi d'aver conservato sì a lungo nella sentina fangosa del mio cuore, gemme di tale valore. Egli lodi, esalti, supplichi la tua misericordia, dicendo col cuore, o con la bocca: « Te Deum Patrem ingenitum etc. O Padre, non generato, ecc. Te jure laudant etc. Ti si lodi con giustizia ecc. Tibi decus et imperium etc. A Te l'onore e l'imperio, ecc. Benedictio et claritas etc. Benedizione e gloria, ecc. ». Soltanto così posso offrire un supplemento alla mia insufficienza.
Qui Geltrude sospese di scrivere fino al mese di ottobre.

CAPITOLO VI

VISITA SUBLIME DEL SIGNORE NELLA FESTA DEL S. NATALE
O potenza ammirabile d'una altezza inaccessibile! O profondo abisso di sapienza inscrutabile ! O ampiezza immensa di carità desiderabile ! Con quale abbondanza l'onda della tua Divinità, più dolce del miele, si è innalzata per traboccare poi su di me, miserabile verme strisciante sulla sabbia di tanti difetti e negligenze! Mi sia dunque lecito, durante il terreno pellegrinaggio, compiere i miei desideri, cioè rappresentare, per quanto possibile, le beatificanti delizie e le dolci soavità per cui « chi aderisce a Dio diventa un solo spirito con lui » (I Cor. VI, 17). Voglio qui esprimere, come potrò, qualcosa di quelle gioie divine che io, atomo di polvere, ho potuto gustare.

Era l'anniversario di quella felice e santa notte nella quale il cielo distillò sulla terra la rugiada della divinità. L'anima mia, simile « a un vello esposto sull'aia della carità ed umettato dalla celeste rugiada », volle meditare quel mistero. Con l'esercizio della divozione essa desiderava porgere i suoi servigi a quel divino evento per cui, come raggio dalla stella, così la Vergine ci diede il Figlio Suo, vero Dio e vero uomo. Ad un tratto compresi che un tenero Bambinello appena nato era stato deposto nel mio cuore. Nel medesimo istante vidi l'anima mia interamente trasformata, prendere il colore di quel divino Infante, se pur mi è permesso di definire col nome di colore, ciò che non può essere paragonato a nulla di visibile. Ricevetti, in pari tempo l'intelligenza di quelle ineffabili parole « Erit Deus omnia in omnibus. Dia sarà tutto in tutti» (I Cor. XV, 28) e con insaziabile ardore accolsi il delizioso nettare di quest'espressione dettami da Gesù: Come io sono nella mia divinità « la figura della sostanza di Dio Padre » (Eb. I, 3) così tu sarai l'immagine vivente della mia Umanità e, siccome il sole comunica all'aria la propria chiarezza, così io divinizzerò la tua anima, penetrandola coi raggi della mia Divinità. Investita da questa luce unitiva tu sarai resa atta a una più familiare unione con me ».
O nobilissimo balsamo della Divinità che vigoreggi nell'eternità, ma che, in questi tempi ti diffondi mirabilmente sulle anime! O potenza veramente invincibile dell'Altissimo! Come mai in un vaso d'argilla, destinato all'ignominia, hai potuto racchiudere il preziosissimo liquore della tua grazia? O conferma dell'eccessiva tenerezza di Dio, che non mi ha abbandonato quando mi aggiravo per sentieri del vizio e che mi ha fatto conoscere, per quanto la mia miseria glielo permise, la dolcezza di quella felicissima unione!

CAPITOLO VII

PIU' INTIMA UNIONE DELL'ANIMA DI GELTRUDE COL SUO DIO
Era la festa della Purificazione ed io giacevo a letto per grave malattia. In sul far dell'alba mi sentii piena di tristezza, lamentandomi di dover privarmi, per quell'infermità, della celeste visita Eucaristica che, in tal giorno, mi aveva spesso consolata. Ed ecco che l'augusta Mediatrice, Madre di Colui che è il vero Mediatore fra Dio e gli uomini, venne con dolci parole a mitigare le mie pene: « Tu non ricordi d'aver sofferto nel corpo dolori così atroci; sappi che il mio Figlio ti riserva un regalo più ricco di tutti gli antecedenti: appunto per prepararti a ricevere degnamente tale dono, l'anima tua è stata fortificata da queste sofferenze corporali ». Sollevata a queste espressioni, ricevetti immediatamente, prima della processione, l'alimènto di vita. Mentre attendevo alla presenza di Dio in me, riconobbi che l'anima mia, quasi molle cera, stava davanti al sacratissimo petto del Signore, come davanti ad un sigillo del quale doveva ricevere l'impronta. Ad un tratto quel divino sigillo fu applicato su di essa e l'anima mia venne introdotta in quel misterioso sacrario ove abita, in forma corporale, la pienezza della divinità, per essere insignita col carattere della fulgida e sempre tranquilla Trinità.

O mio Dio, carbone divorante « Carbo desolatorius ». Tu in te contieni, mostri e comunichi i tuoi vivi ardori, così come quando, senza nulla perdere del tuo fuoco, ti sei fermato sul terreno umido e sdrucciolevole dell'anima mia, per disseccare la corrente degli umani diletti, onde rammollire la rigidezza della mia volontà, in cui avevo sì a lungo e' tenacemente perseverato! Oh, fuoco consumatore, che bruci i vizi dell'anima solo per istillarvi la dolce unzione della grazia! In Te solo troviamo la forza per riformarci, secondo l'immagine e la somiglianza divina! O fornace ardente, la cui luce rischiara una dolce visione di pace! La tua potente attività muta le scorie in oro finissimo, quando l'anima, stanca e delusa, cerca infine il Bene Supremo che trova solo in Te, o vera Verità!

CAPITOLO VIII

UNIONE SEMPRE PIU' INTIMA DELL'ANIMA DI GELTRUDE CON DIO
La domenica seguente in cui si dice l'Introito « Esto mihi », durante la S. Messa, Tu, o mio Dio, eccitasti e dilatasti i desideri dell'anima mia, perchè aspirasse ai doni più sublimi di cui volevi ricolmarla. Due parole soprattutto mi colpirono, cioè il verso del Responsorio « Benedicens benedicam » ecc. e il versetto del 1° Responsorio « Tibi enim et semini tuo dabo has regiones. Darò questa terra a te e alla tua discendenza ».

Posando allora la mano sul tuo sacro petto, mi hai mostrato ove si trovano le regioni promesse dalla tua infinita liberalità, O terra felicissima, che colmi di beatitudine coloro che ti abitano! O campo di delizie, di cui il più minuto granello può soddisfare abbondantemente il desiderio di tutti gli eletti, e procurare al cuore umano quanto può allettarlo e giocondarlo!
Ora, mentre consideravo queste cose, se non come dovevo, almeno come potevo, ecco apparirmi « la bontà e l'Umanità di Dio Signor nostro, e questo, non a titolo di giustizia, bensì per l'ineffabile sua misericordia che mi giustificava con una rigenerazione adottiva » (Tit. III, 4) preparandomi ad un'unione più intima col mio Dio, unione meravigliosa e formidabile, degna di celeste ammirazione!
In virtù di quali meriti da parte mia e per qual misterioso tuo giudizio, ottenni dono sì inestimabile? Certo l'amore che dimentica la dignità del Sangue, e che si mostra ricco in accondiscendenza; l'amore, dico che si precipita senza riflettere, nè ragionare, ti ha, se oso così parlare, inebriato sino alla follia, o dolcissimo Signore, affinchè tu potessi unire termini così dissimili. Oppure, per usare un linguaggio meno indegno della tua Maestà, quella, soave bontà che ti è innata e che fa parte della tua essenza, è stata scossa e tocca nell'intimo dalle dolcezze della tua carità che operò la salvezza dell'umano genere, in virtù della quale, non solo Tu ami, ma sei lo stesso Amore.
E' dunque questa carità che ti persuase di ritrarre dalla sua estrema indigenza una miserabile creatura, spregevole per vita e per costumi, affine di esaltarla, elevandola alla partecipazione della tua regale, divina grandezza? Certo che Tu volevi, con questo atto, aumentare la confidenza di tutti i membri della Chiesa, ed è appunto quello che io sospiro, cioè che nessun cristiano m'imiti nel cattivo uso che ho fatto de' tuoi doni e nel recare scandalo al prossimo.
Siccome poi le cose invisibili ci sono, in qualche modo, rese manifeste dalle visibili, come dissi più sopra, così compresi che quella parte del sacratissimo petto del Signore che, nel giorno della Purificazione, aveva ricevuto l'anima mia sotto forma di cera dolcemente rammollita al fuoco, lasciava sfuggire delle gocce di sudore, come se la sostanza di quella cera si fosse interamente liquefatta, per l'eccessivo calore che ferveva dentro quel divino sacrario. Quel Cuore poi assorbiva tali gocce di sudore, con virtù ineffabile ed incomprensibile, mostrando evidentemente che l'amore, di sua natura diffusivo, aveva racchiuso la sua forza vittoriosa in quelle divine profondità.
O eterno solstizio, dimora sicura, domicilio di delizie, paradiso di eterne gioie, sorgente di voluttà inesprimibili, Tu attiri, coi fiori variopinti di un'amena primavera, Tu diletti con note soavissime, o meglio, col dolce concerto di un'armonia tutta spirituale, Tu ristori col soffio profumato di aromi vitali, Tu inebri con l'estasiante dolcezza di mistici sapori, Tu trasformi con le carezze meravigliose de' tuoi santi amplessi! O, cento volte felice, cento volte beato, anzi, se posso dirlo, mille volte santo, colui che, sotto la guida della grazia, merita d'avvicinarsi a quel luogo benedetto con cuor puro, mani innocenti e labbra immacolate! Come potrò dire quello che colà vede, che ascolta, che respira, che gusta e che sente? Come può la mia lingua impacciata sforzarsi di balbettarne qualche accento? Per bontà di Dio fui ammessa; a godere di questi favori, ma avviluppata dalla scorza de' miei difetti e delle mie negligenze, non potevo percepirli che imperfettamente, perchè la scienza riunite degli Angeli e degli uomini non sarebbe sufficiente a dire neppure una parola atta ad esprimere, anche in minima parte, la sopraeminente grandezza di un'unione così sublime.

CAPITOLO IX

INSEPARABILE UNIONE DELLA SUA ANIMA CON DIO
Poco tempo dopo, cioè verso metà Quaresima, fui ancora obbligata a letto per una grave malattia. Quel mattino ero sola, essendo le mie consorelle impegnate nei loro uffici; ad un tratto il Signore, che non abbandona coloro che sono privi delle umane consolazioni, si degnò d'apparirmi, confermando la parola del Profeta: « Cum ipso sum in tribulatione: Sono con lui nella tribolazione» (PS XC, 15). Egli mi mostrava dal lato sinistro, quasi dall'intimo del suo Cuore benedetto, una sorgente d'acqua pura, solida come il cristallo. Scorrendo al di fuori copriva quel venerabile petto, quasi collana preziosa, offrendo allo sguardo i riflessi brillanti dell'oro e la magnificenza della porpora.

Mi disse Gesù: « La malattia che ti fa soffrire ha santificato l'anima tua in tal modo che, se per amore e carità verso il prossimo, sembrerai allontanarti da me con atti, pensieri, parole, in realtà mi sarai sempre vicino, come questa sorgente è una cosa sola col mio Cuore. E come hai visto l'oro e la porpora brillare attraverso il cristallo, nello stesso modo la cooperazione della mia Divinità, figurata nell'oro e la pazienza perfetta della miei Umanità, rappresentata dalla porpora, renderanno tutte le tue azioni gradite a' miei occhi ».
O dignità di questo minutissimo granello di polvere che, tolto dal fango della via, fu dalla divina Gemma che racchiude i tesori del cielo, innalzato fina a porlo sopra di sè! O bellezza di questo piccolo umile fiore, che il raggio del sole ha fatto sbocciare da una terra paludosa, investendolo del suo aureo splendore! O felicità di quest'anima, colmata di benedizioni, che Dio ha tanto stimata, fina ad abbassarsi a crearla, Lui l'infinito onnipotente! Di quest'anima, dico, che, quantunque adorna della divina somiglianza, pure è distante da Dio, come lo è la creatura dal Creatore!
Sia essa mille volte benedetta se ha saputo rimaner fedele a quell'unione a cui io, misera, temo di non essere giunta neppure per un solo momento! Prego perciò la divina clemenza di concedermi qualche grazia preziosa, per i meriti di coloro che si conservano a lungo in tale beatissimo stato di celeste intimità!
O dono che superi ogni altro dono! Potersi saziare con abbondanza di delizie divine! Inebriarsi col vino della carità nelle celle del puro amore, in modo da non essere più capaci di muovere passo verso le regioni infeconde, ove quel prezioso liquore scemerebbe l'efficacia del suo vigore e del suo profumo ! Portarlo poi con sè, quando la carità obbliga a uscire dalla mistica cella dell'amore, per comunicare al prossimo le stille corroboranti della divina munificenza!
Credo, o mio Dio, che la tua onnipotenza possa accordare questo dono a' tuoi eletti, nè dubito che la tua tenerezza voglia concederlo anche a me. Ma all'impenetrabile tua Sapienza, sarà dato dimenticare fino a questo punto la mia indegnità? questo un mistero che non oso penetrare... Glorifico ed esalto la sapienza e la bontà della tua Onnipotenza: Lodo ed adoro la onnipotenza e la bontà della tua sapienza. Ringrazio l'onnipotenza e la sapienza della tua Bontà e ti benedico, o mio Dio, perchè ho sempre ricevuto dalla tua generosità tutte le grazie che potevano essermi accordate, ed in misura che superava infinitamente i miei poveri meriti.

CAPITOLO X

ISPIRAZIONE DIVINA PER REDIGERE QUESTO SCRITTO
Mi pareva così fuori di proposito pubblicare questo scritto, che non sapevo rassegnarmi ad ubbidire alla voce della coscienza. Differii dunque fino all'Esaltazione della S. Croce e, proprio in quel giorno, durante la S. Messa, proposi a me stessa d'applicarmi ad un altro lavoro, quando Nostro Signore trionfò delle mie resistenze: « Sta sicura, mi disse, che non uscirai dalla prigione del corpo, prima d'avermi pagato questo debito fino all'ultima sillaba».

Siccome poi andavo ruminando che già avevo fatto fruttificare i doni di Dio a vantaggio del prossimo, se non con lo scritto, almeno con le parole, il Signore m'oppose quanto avevo sentito leggere in quella stessa notte, dopo Mattutino: « Se il Salvatore avesse voluto rivelare la sua dottrina soltanto a' suoi contemporanei, avrebbe pronunciato discorsi senza ispirare scrittori sacri: ma i suoi insegnamenti furono scritti, affinchè possano servire a beneficio di un più grande numero di persone ». Aggiunse Gesù: « Non accetto nessuna obbiezione: voglio che i tuoi scritti siano per gli ultimi tempi, nei quali diffonderò le mie grazie su numerosissime anime, una conferma evidente della mia divina tenerezza ».
Dopo aver ascoltato queste parole, rimasi oppressa, pensando che mi sarebbe difficile, per non dire impossibile, tradurre esattamente in linguaggio umano le cose suesposte, e presentarle al pubblico senza pericolo di scandalo,
Il Signore, per vincere la mia pusillanimità, parve far cadere su di me una pioggia torrenziale, ne fui scossa e, povera creatura qual sono, m'inchinai verso terra, come una pianticella tenera e fragile, incapace di assorbire quell'acqua. Afferrai nel frattempo, il suono di alcune parole importanti, che però il mio intelletto non riusciva a comprendere. Più preoccupata che mai, andavo chiedendo a me stessa quello che ciò volesse dire, quando Tu, o mio Gesù, con l'abituale tenerezza, volesti alleggerire il mio cruccio e riconfortarmi l'animo, dicendomi: « Poichè quest'abbondante pioggia ti riesce inutile, ti applicherò al mio divin Cuore per versare in te, a poco a poco, quello di cui abbisogni. Agirò con dolcezza e soavità, secondo la misura delle tue forze ».

In realtà, o mio Dio, dopo d'aver constatato gli effetti della tua promessa, posso dichiarare che l'hai adempita perfettamente. Infatti ogni mattina all'ora più adatta, Tu m'ispiravi qualcuna di queste pagine. Agivi con tale dolcezza e precisione che, senza nessun sforzo da parte mia, scrivevo cose che fino allora non avevo mai ricordato, e che si presentavano con tale nitidezza al mio pensiero come se da lungo tempo le avessi fisse nella memoria.
Però meco agivi con grande discrezione; infatti, dopo aver scritto un certo numero di pagine, mi era impossibile, anche applicando tutte le forze della mente, tracciare una sola di quelle parole che, al mattino seguente, a me si presentavano con tanta abbondanza e senza la minima difficoltà. Con questo metodo Tu moderavi e dirigevi la mia foga naturale, insegnandomi che « non bisogna abbandonarsi all'azione al punto di trascurare la contemplazione ». In ogni occasione ti mostravi geloso della salvezza della mia anima e, pur permettendomi di gustare talvolta i giocondi amplessi di Rachele, non mi privasti mai della gloriosa fecondità di Lia.
Possa lo giungere, o mio Dio, a piacerti perfettamente, unendo, per farti contento, le due forme di vita attiva e contemplativa.

Edited by Domenico-89 - 24/6/2016, 06:42
 
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