Amiamo Dio con Gesù e Maria

Storia di un anima - Cap. 9 - 2 parte

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view post Posted on 7/11/2010, 03:05
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Domenico-89

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310 - Madre cara, le ho ricordato il primo lavoro che Gesù e lei hanno compiuto per mezzo mio; era soltanto il preludio di quelli che dovevano essermi affidati. Quando mi fu dato di penetrare nel santuario delle anime, capii subito che l'impegno era superiore alle mie forze; allora mi misi nelle braccia del Signore, come un bambinello, e nascondendo il mio viso tra i suoi capelli, gli dissi: «Signore, sono troppo piccola per nutrire le vostre figlie: se volete dare per mezzo mio ciò che conviene a ciascuna, empite la mia povera mano, ed io, senza abbandonare le vostre braccia, senza nemmeno voltarmi, darò i vostri tesori all'anima che mi chiederà il cibo. Se lo troverà di suo gusto, saprò bene che ciò non sarà dovuto a me, bensì a voi. Al contrario, se si lamenterà e troverà amaro ciò che le presento, la pace mia non sarà turbata, e cercherò di convincerla che questo cibo viene da voi, e mi guarderò bene dal cercarne un altro per lei».

311 - Madre mia, quando capii che mi era impossibile far qualcosa con le mie forze, il compito datomi da lei non mi parve più difficile, sentii che la sola cosa necessaria era di unirmi sempre più intimamente col Signore, e «il resto mi verrà dato per soprappiù». In realtà, la mia speranza non è stata mai delusa, il buon Dio si è degnato di colmare la mia piccola mano quante volte ciò è stato necessario per nutrire l'anima delle mie sorelle. Le confesso, Madre cara, che se mi fossi appoggiata sia pur pochissimo alle mie proprie forze, avrei ben presto reso le armi. Da lontano pare tutto rosa far del bene alle anime, far loro amare Dio più e meglio; insomma, modellarle secondo le nostre vedute e secondo i nostri pensieri personali. Da vicino, è tutto il contrario, la tinta rosa è scomparsa, si sente che far del bene è tanto impossibile senza il soccorso del Signore quanto far brillare il sole in piena notte. Si sente che bisogna assolutamente dimenticare i propri gusti, i nostri concetti personali, e guidare le anime sul cammino che Gesù ha tracciato loro, senza tentare di farle camminare sulla nostra via.

312 - Ma non è questo ancora il più difficile; quello che mi costa più che tutto il resto è di osservare le mancanze, le imperfezioni più leggere, e scatenar contro esse una guerra a morte. Stavo per dire: disgraziatamente per me! (ma no, sarebbe viltà), dico dunque: fortunatamente per le mie consorelle; da quando ho preso posto tra le braccia di Gesù, sono come la scolta che guardi il nemico dalla torre di guardia più alta di una fortezza. Nulla sfugge al mio occhio; spesso mi meraviglio di vederci tanto chiaro, e trovo che il profeta Giona è ben degno di scusa se si dette alla fuga anziché andare ad annunciar la rovina di Ninive. Preferirei mille volte ricevere dei rimproveri anziché farne agli altri, ma sento che è proprio necessario che ciò mi sia di sofferenza: e ciò, perché quando si agisce per natura, è impossibile che l'anima cui vogliamo rivelare le sue colpe capisca i propri torti; essa vedrà una cosa sola: «1a consorella incaricata di dirigermi è arrabbiata con me, e tutto ricade su me, che sono animata dalle intenzioni migliori».

313 - Lo so bene, che le sue agnelline mi trovano severa. Se leggessero queste righe, direbbero che non sembra mi debba costar molto inseguirle, parlar loro severamente mostrando la loro bella lana sporca, oppure riportare loro qualche bel fiocco di lana che si sono lasciate strappare dai rovi della strada. Le agnellette possono dire tutto quel che vogliono: in fondo, sentono che le amo di un amor vero, che mai imiterò «il mercenario, il quale, vedendo avvicinarsi il lupo, lascia il gregge, e fugge». Sono pronta a dar la vita per loro, ma il mio affetto è così puro, che non desidero che lo conoscano. Mai, per grazia di Gesù, ho cercato di attirarmi i loro cuori, ho capito che la mia missione era di condurle a Dio e di far loro capire questo: ella è quaggiù, Madre mia, il Gesù visibile che debbono amare e rispettare.

314 - Le ho già detto che, istruendo le altre, ho imparato molto anch'io. Ho visto, come prima cosa, che tutte le anime hanno più o meno gli stessi combattimenti, ma che, d'altra parte, sono tanto differenti l'una dall'altra. Si capisce quello che dice il padre Pichon: «Ci sono molte più differenze tra le anime che tra i volti». Perciò è impossibile agir con tutte allo stesso modo. Con certe anime, sento che mi debbo fare piccola, non temere di umiliarmi confessando i miei conflitti, i miei difetti; vedendo che ho le stesse debolezze che hanno loro, le mie sorelline mi rivelano a loro volta le mancanze che rimproverano a loro stesse, e si sentono confortate dal fatto che io le conosca per esperienza. Con altre, ho visto che, per far loro del bene, occorre molta fermezza, e non tornar mai su ciò che è stato detto. Abbassarsi in questi casi non sarebbe umiltà, bensì debolezza. il Signore mi ha fatto la grazia di non farmi temere la guerra, debbo fare il mio dovere a qualunque costo. Più d'una volta mi hanno detto: «Se lei vuole ottenere qualcosa da me, bisogna che mi prenda con dolcezza, per forza non otterrà nulla». Io so che nessuno è buon giudice nella propria causa, e che un bimbo, al quale il medico faccia subire un'operazione dolorosa, grida a squarciagola e dice che il rimedio è peggiore del male; eppure, quando si trova guarito, qualche giorno dopo, è tutto felice di poter giocare e correre. Lo stesso accade alle anime, ben presto riconoscono che un po' d'amaro è preferibile allo zucchero, e non temono di confessarlo.

315 - Qualche volta non posso fare a meno di sorridere intimamente vedendo quale cambiamento abbia luogo dall'oggi al domani, è fiabesco. Mi dicono: «Ha avuto ragione ieri di essere severa; da principio ero rivoltata, ma poi mi sono ricordata di tutto, e ho visto che lei era molto giusta. Ascolti: quando ieri sono andata via, pensavo: "E finita, vado a trovare Nostra Madre, e le dico che non tratterò più con suor Teresa". Ma ho sentito che era il diavolo a ispirarmi così, e poi mi è parso che lei stesse pregando per me; allora sono rimasta buona buona, e la luce ha cominciato a splendere, ma ora bisogna che lei m'illumini del tutto, e per questo eccomi qua». La conversazione s'ingrana subito; io sono arcifelice di poter seguire la china del cuore, facendo a meno di servire pietanze amare. Sì, ma... mi accorgo ben presto che non si può correr troppo, una parola potrebbe distruggere il bell'edificio costruito tra le lacrime. Se ho la disavventura di pronunciare qualche sillaba che sembri attenuare ciò che ho detto il giorno avanti, vedo la sorellina che si dà da fare per riattaccarsi ai rami... allora faccio, nell'intimo, una preghiera, e la verità trionfa sempre. Ah, preghiera e sacrificio formano tutta la mia forza, sono le armi invincibili che Gesù mi ha date, toccano le anime ben più che i discorsi, ne ho fatto esperienza spesso. Una fra tutte queste esperienze mi ha fatto una impressione dolce e profonda.

316 - Fu durante la quaresima: allora mi occupavo di una sola novizia che si trovava qui e della quale ero l'angelo. Mi venne a trovare una mattina, era tutta raggiante: «Ah, se sapesse - disse - che cosa ho sognato stanotte! Ero presso mia sorella, e volevo staccarla da tutte le vanità che le piacciono tanto, perciò le ho spiegato la strofa di Vivere d'amore: "Amarti, Gesù, che perdita feconda! Ogni mio aroma è tuo, per sempre". Sentivo bene che queste parole le penetravano nell'anima, ed ero felice. Stamattina, svegliandomi, ho pensato che il Signore forse vuole che gli dia quest'anima. Se io le scrivessi dopo quaresima, per raccontarle il mio sogno, e dirle che Gesù la vuole tutta per sé?». Io, senza pensarci su, le dissi che poteva ben tentare, ma prima bisognava chiedere il permesso a Nostra Madre. Poiché la quaresima era lontana dalla fine, lei, Madre cara, rimase assai sorpresa per una richiesta che le parve troppo anticipata; e, certamente ispirata dal Signore, rispose che le carmelitane non debbono salvare le anime per mezzo di lettere, bensì per mezzo della preghiera. Ascoltando la sua decisione capii subito che era di Gesù, e dissi a Suor Maria della Trinità: «Bisogna che ci mettiamo all'opera, preghiamo molto. Quale gioia se alla fine della quaresima, fossimo esaudite!». Oh, misericordia infinita del Signore, che si compiace ascoltare la preghiera dei suoi figli! Alla fine della quaresima un'anima di più si consacrava a Nostro Signore. Era un vero miracolo della grazia, miracolo ottenuto dal fervore di un'umile novizia.

317 - Come è grande la potenza della preghiera! La si direbbe una regina la quale abbia ad ogni istante libero àdito presso il re e possa ottenere tutto ciò che chiede. Non è affatto necessario per essere esaudite leggere in un libro una bella formula composta per la circostanza; se così fosse, ahimè! come sarei da compatire! Al di fuori dell'Ufficio divino, che sono indegnissima di recitare, non ho il coraggio di sforzarmi a cercare nei libri le belle preghiere: ciò mi fa male alla testa, ce ne sono tante! E poi sono tutte belle, le une più delle altre. Non ce la farei a dirle tutte, e, non sapendo quale scegliere, faccio come i bimbi che non sanno leggere, dico molto semplicemente al buon Dio quello che gli voglio dire, senza far belle frasi, e sempre mi capisce. Per me la preghiera è uno slancio del cuore, è un semplice sguardo gettato verso il Cielo, è un grido di gratitudine e di amore nella prova come nella gioia, insomma è qualche cosa di grande, di soprannaturale, che mi dilata l'anima e mi unisce a Gesù.

318 - Non vorrei però, Madre cara, farle credere che io reciti senza devozione le preghiere in comune, nel coro o negli eremitaggi. Al contrario, amo molto le preghiere in comune, perché Gesù ha promesso di «trovarsi in mezzo a coloro che si riuniscono nel suo nome»; sento allora che il fervore delle mie sorelle supplisce al mio. Ma da sola (ho vergogna di confessarlo), la recita del rosario mi costa più che mettermi uno strumento di penitenza. Sento che lo dico così male! Ho un bell'impegnarmi nel meditare i misteri del rosario, non arrivo a fissare il mio spirito. Per lungo tempo mi sono afflitta per questa mancanza di devozione che mi meravigliava, perché amo tanto la Vergine Santa, tanto che mi dovrebbe esser facile fare in onor suo le preghiere che le piacciono. Ora me ne cruccio meno, penso che la Regina dei Cieli è mia madre, vede certo la mia buona volontà e se ne contenta. Qualche volta, se il mio spirito è in un'aridità così grande che mi è impossibile trarne un pensiero per unirmi al buon Dio, recito molto lentamente un Padre nostro e poi il saluto angelico; allora queste preghiere mi rapiscono, nutrono l'anima mia ben più che se le avessi recitate precipitosamente un centinaio di volte. La Santa Vergine mi mostra che non è affatto sdegnata con me, non manca mai di proteggermi appena l'invoco. Se mi sopravviene una preoccupazione, una difficoltà, subito mi volgo a lei, e sempre, come la più tenera delle madri, ella prende cura dei miei interessi. Quante volte parlando alle novizie mi è accaduto di invocarla e sentire i benefizi della sua protezione materna.

319 - Spesso le novizie mi dicono: «Ma lei ha una risposta a tutto, io questa volta credevo metterla nell'impaccio. Ma dove le va a cercare le cose che ci dice?». Qualcuna di loro è tanto candida da credere che io legga nelle loro anime, e ciò perché mi è accaduto di prevenirle dicendo loro quello che pensavo. Una notte, una delle mie compagne aveva risolto di nascondermi un'afflizione che la faceva soffrire molto. La incontro fin dal mattino, mi parla con un viso sorridente, e io, senza rispondere a ciò che mi dice, esclamo con tono convinto: «Lei soffre». Se avessi fatto cader la luna ai suoi piedi, credo che non mi avrebbe guardata con maggiore sbalordimento. Lo stupore di lei era così grande che assalì anche me, per un attimo fui presa da un timore soprannaturale. Ero ben sicura di non avere il dono di leggere nelle anime, ed ero io stessa sorpresa di avere azzeccato così preciso. Sentivo che il Signore era tanto vicino, che, senz'accorgermene, avevo detto, come un bambino, parole le quali non venivano da me, bensì da lui.

320 - Madre cara, lei capisce che tutto è permesso alle novizie; bisogna che possano dir tutto ciò che pensano senza restrizione alcuna, il bene come il male. Ciò riesce loro tanto più facile con me, in quanto non mi debbono il rispetto che si deve a una maestra. Non posso dire che Gesù mi faccia camminare esteriormente sulla via delle umiliazioni, si contenta di umiliarmi nel fondo dell'anima; agli occhi delle creature tutto mi riesce bene, seguo il sentiero degli onori per quanto ciò sia possibile in religione. Capisco che non per me, bensì per gli altri, debbo camminare su questo cammino così pericoloso. In realtà, se passassi agli occhi della comunità come una religiosa colma di difetti, inabile, senza intelligenza né giudizio, sarebbe impossibile per lei, Madre, farsi aiutare da me. Ecco perché il Signore ha gettato un velo su tutti i miei difetti intimi ed esterni. Questo velo, talvolta, mi attira dei complimenti da parte delle novizie, e io sento bene che non me li fanno per adulazione, ma che esprimono i loro sentimenti ingenui; veramente ciò non mi saprebbe ispirare vanità, perché ho sempre dinanzi alla mente il ricordo di ciò che sono.

321 - Tuttavia, mi viene qualche volta un desiderio grande di ascoltare qualcosa che non sia lode. Lei sa, Madre cara, che preferisco l'aceto allo zucchero; l'anima mia si stanca di un nutrimento troppo indolcito, e Gesù permette allora che le venga servita una insalatina ben agra, ben piccante, non ci manca nulla fuorché l'olio, e ciò le dà un sapore di più... Questa ottima insalatina mi viene servita dalle novizie quando meno me l'aspetto. Il Signore solleva il velo che nasconde le mie imperfezioni, allora le mie piccole care consorelle, vedendomi quale sono, non mi trovano più affatto di loro gusto. Con una semplicità che mi rapisce, mi dicono tutti i conflitti intimi che io provoco in esse, e quello che ad esse dispiace in me; insomma, non si peritano più che se si trattasse di una terza persona, sapendo che mi fanno un piacerone agendo così. Ah, realmente, è più che un piacere, è un banchetto delizioso che colma di gioia l'anima mia. Non posso nemmeno spiegarmi in qual modo una cosa che dispiace tanto alla natura possa diventar causa di una felicità così grande; se non l'avessi provato, non lo crederei. Un giorno avevo un desiderio particolare di essere umiliata, e una novizia si assunse il compito di soddisfarmi tanto bene che pensai subito a Semei nel momento in cui malediceva David, e riflettei: «Sì, è proprio il Signore che le ordina di dirmi tutte queste cose». E l'anima mia assaporava squisitamente il cibo amaro che le veniva servito con tanta abbondanza. È così che Dio degna prendersi cura di me. Non può darmi sempre il pane fortificato della umiliazione esterna, ma di quando in quando mi permette di «nutrirmi con le briciole che cadono dalla tavola dei figli». Com'è grande la sua misericordia, potrò cantarla soltanto in Cielo!

322 - Madre amata, poiché con lei cerco di cominciare a cantarla fin dalla terra, questa misericordia infinita, debbo ancora dirle un gran vantaggio spirituale che ho tratto dalla missione affidatami da lei. Un tempo, quando una consorella faceva qualche cosa che mi dispiaceva, o mi sembrava irregolare, mi dicevo: se potessi manifestarle ciò che penso, mostrarle che ha torto, quanto bene ciò mi farebbe! Da quando ho praticato un po' il mestiere le assicuro, Madre mia, che ho cambiato affatto di sentimento. Quando mi accade di vedere una consorella commettere una azione che mi sembra imperfetta, ho un respiro di sollievo e dico: che felicità! non è una novizia, non sono obbligata a riprenderla. E poi subito cerco di scusarla e di attribuirle le buone intenzioni che certamente ella ha. Da quando sono malata, Madre, le premure che lei mi prodiga mi hanno ancora istruita molto riguardo alla carità. Nessun farmaco le sembra troppo costoso, e se uno non riesce efficace, lei, senza stancarsi, ne prova un altro. Quando andavo alla ricreazione, quante attenzioni mi usava perché fossi in un posto buono, protetta dalle correnti d'aria! Insomma, se volessi dir tutto, non finirei più! Pensando a tutto ciò, mi sono detta che dovrei avere per le debolezze spirituali delle mie sorelle la compassione che lei ha per me, Madre cara, curandomi con tanto amore.

323 - Ho notato (ed è perfettamente naturale) che le consorelle più sante sono le più amate, ricerchiamo la loro conversazione, facciamo loro piaceri non richiesti; insomma, queste anime capaci di sopportare mancanze di riguardo e di delicatezza si vedono circondate dall'affetto di tutte. Si può applicare a loro una parola di san Giovanni della Croce, nostro Padre: «Tutti i beni mi sono stati dati quando non li ho cercati per amor proprio» Invece, le anime imperfette non sono cercate affatto; senza dubbio nei loro riguardi ci si limita alla cortesia religiosa, ma, forse per il timore di dir loro parole poco gentili, evitiamo la loro compagnia. Dicendo le anime imperfette, non voglio parlare soltanto delle imperfezioni spirituali, perché le più sante saranno perfette solo in Cielo; voglio alludere alla mancanza di giudizio o di educazione, alla insofferenza che hanno certi caratteri, tutte cose che non rendono la vita troppo piacevole. So bene che queste infermità morali sono croniche, non c'è speranza di guarigione, ma so altresì che lei, Madre, non cesserebbe di curarmi e portarmi sollievo se anche restassi ammalata per tutta la vita. Ecco la conclusione che ne traggo: debbo ricercare in ricreazione, in «licenza», la compagnia delle sorelle che mi sono meno gradevoli, fare presso queste anime ferite l'ufficio del buon Samaritano. Una parola, un sorriso amabile bastano spesso perché un'anima triste si espanda.

324 - Ma assolutamente non per raggiungere questo scopo voglio praticare la carità, tanto più che ben presto mi scoraggerei: una parola che potessi aver detto con la migliore intenzione, verrebbe forse interpretata tutta di traverso. Così, per non perdere tempo, voglio essere amabile con tutte (e in modo particolare con le sorelle meno amabili) per rallegrare Gesù e rispondere al consiglio che egli dà nel Vangelo su per giù in questi termini: «Quando fate un festino, non invitate soltanto i vostri parenti ed amici, per timore che essi vi invitino a loro volta, e così abbiate ricevuto la vostra ricompensa; ma invitate i poveri, gli zoppi, i paralitici, e sarete felici che essi non possano ricambiarvi, perché il Padre vostro che vede nel segreto ve ne compenserà». Quale festa potrebbe offrire una carmelitana alle sue sorelle se non un'agape spirituale composta di carità amabile e gioiosa? Per me, non ne conosco altra, e voglio imitare san Paolo il quale si rallegrava con coloro che trovava nella gioia; è vero altresì che piangeva con gli afflitti, e le lacrime debbono esserci qualche volta nel festino che io voglio imbandire, ma sempre cercherò che alla fine quelle lacrime si mutino in gioia, poiché il Signore ama coloro che danno con gioia.

325 - Ricordo un atto di carità che il Signore m'ispirò quand'ero ancora novizia, fu poca cosa, tuttavia il Padre nostro, il quale vede nel segreto e guarda più alla intenzione che alla grandezza dell'atto, me ne ha gia' compensata, senza attendere l'altra vita. Fu al tempo in cui suor San Pietro andava ancora nel coro e in refettorio. All'orazione della sera stava di faccia a me: alle 6 meno 10 bisognava che una religiosa si movesse per condurla in refettorio, perché le infermiere allora avevano troppe malate per venire a prenderla. Mi costava molto offrirmi per questo piccolo servizio, perché sapevo che non era facile contentare questa buona suor San Pietro, la quale soffriva tanto che non gradiva cambiamenti di accompagnatrice. Eppure non volevo perdere un'occasione tanto bella per esercitare la carità, ricordandomi che Gesù ha detto: «Quello che farete al più piccolo dei miei l'avrete fatto a me». Mi offrii perciò umilmente per condurla, e ci volle del bello e del buono per fare accettare i miei servizi! Finalmente mi misi all'opera, e con tanta buona volontà che riuscii perfettamente. Ogni sera, quando vedevo suor San Pietro scuotere la sua clessidra, sapevo che quel gesto voleva dire: Partiamo! E incredibile come mi costava scomodarmi, specie all'inizio, tuttavia lo facevo immediatamente, e poi cominciava tutta una cerimonia. Bisognava smuovere e portare il panchetto in un certo qual modo, soprattutto senza fretta; dopo aveva luogo la passeggiata. Si trattava di seguire la povera inferma sostenendola alla cintola; lo facevo con quanta più dolcezza mi era possibile, ma se, per disgrazia, ella muoveva un passo falso, le pareva subito che io la reggessi male e che stesse per cadere. «Ah, Dio mio! lei va troppo svelta, mi fracasserò». Se tentavo di andare ancor più lentamente: «Ma faccia attenzione, mi segua! Non la sento più la sua mano, m'ha lasciata andare, casco; ah, lo dicevo io che lei è troppo giovane!». Finalmente arrivavamo senza incidenti al refettorio; là sopravvenivano altre difficoltà, si trattava di far sedere suor San Pietro, e di agire destramente per non ferirla, bisognava tirarle su le maniche (anche questo, in un certo modo), e dopo ero libera, potevo andare. Con le sue povere mani storpiate sistemava il pane nella ciotola, come poteva. Me ne accorsi, e ogni sera, prima di lasciarla, le facevo anche questo piccolo servizio. Siccome lei non me l'aveva chiesto, fu molto commossa per la mia premura, e con questo mezzo che io non avevo cercato, guadagnai del tutto le sue buone grazie e soprattutto (l'ho saputo più tardi) perché, dopo averle tagliato il pane, le facevo il mio più bel sorriso prima di andar via.

326 - Madre cara, forse lei si meraviglierà che io le scriva questo piccolo atto di carità passato ormai da tanto tempo. L'ho raccontato perché sento che debbo cantare, a causa di esso, le misericordie del Signore. Ha degnato lasciarmene il ricordo con un profumo che m'induce a praticare la carità. Rammento qualche volta alcuni particolari che sono, per l'anima mia, una brezza di primavera. Eccone uno che mi si presenta alla memoria: una sera d'inverno stavo assolvendo, come al solito, il mio piccolo compito, faceva freddo, era buio... A un tratto intesi in lontananza il suono armonioso di uno strumento musicale, e mi raffigurai un salone brillante di luci e di ori, vidi delle fanciulle eleganti le quali si trattavano graziosamente a vicenda con piglio di mondo; poi lo sguardo cadde sulla povera malata che sostenevo, invece di una musica udivo ogni tanto i suoi gemiti, invece degli ori vedevo i mattoni del nostro chiostro austero, rischiarato appena da una pallida luce. Non posso esprimere ciò che avvenne nell'anima mia: il Signore la illuminò con i raggi della verità i quali superarono talmente lo sfolgorio tenebroso delle feste della terra, che non finivo di credere alla mia felicità. Ah, per goder mille anni di feste mondane, non avrei dato i dieci minuti del mio umile ufficio di carità. Se già nella sofferenza, in mezzo alla lotta, si può vivere un attimo di felicità che supera tutte le gioie della terra, pensando che il buon Dio ci ha sottratti al mondo, che sarà nel Cielo quando vedremo in letizia e riposo eterni la grazia incomparabile che il Signore ci ha fatta scegliendoci per «abitare nella sua casa», vero vestibolo del Cielo?

327 - Non sempre con trasporti di allegrezza ho praticato la carità, ma al principio della mia vita religiosa Gesù mi volle far sentire quanto è dolce vederlo nell'anima delle sue spose; così quando conducevo suor San Pietro, lo facevo con tanto amore che mi sarebbe stato impossibile far meglio se avessi dovuto condurre Gesù stesso. La pratica della carità non mi è sempre stata così dolce, lo dicevo ora, Madre cara; per darne una prova, le racconterò certi piccoli combattimenti che certamente la faranno sorridere. Per lungo tempo, all'orazione della sera, mi trovavo davanti a una consorella la quale aveva una buffa mania, e penso... molti lumi, perché raramente si serviva di un libro. Ecco in qual modo me ne accorgevo: appena la consorella era arrivata, si metteva a fare uno strano rumore che somigliava a quello di due conchiglie fregate una contro l'altra. Me ne accorgevo io sola, perché ho l'orecchio finissimo (un po' troppo, qualche volta). Impossibile dire, Madre mia, fino a che punto quel rumorino mi stancava: avevo gran voglia di voltar la testa e guardar la colpevole, la quale, sicuramente, non si accorgeva del suo tic, sarebbe stato l'unico modo per richiamarla alla realtà; ma in fondo al cuore sentivo che era meglio sopportar la cosa per amor di Dio e per non far dispiacere alla consorella. Me ne stavo perciò buona buona, cercavo di unirmi al buon Dio, dimenticare il rumorino... tutto inutile, sentivo il sudore che m'inondava, ed ero costretta a fare soltanto un'orazione di sofferenza, ma, pur soffrendo, cercavo il modo di farlo senza irritazione, bensì in pace e gioia, almeno nel profondo dell'anima. Allora mi sforzavo d'amare il rumorino tanto sgradevole; non cercavo più di non udirlo (cosa impossibile), ma facevo attenzione ad ascoltarlo bene come se fosse stato un concerto fascinoso, e tutta l'orazione mia (che non era certo quella di quiete) trascorreva nell'offerta di quel concertino a Gesù.

328 - Un'altra volta ero alla lavanderia, davanti a una consorella la quale mi lanciava schizzi d'acqua sporca sul viso ogni volta che sollevava i fazzoletti sul lavatoio; il mio primo moto fu di fare un passo indietro, e asciugarmi la faccia: così la consorella che mi aspergeva avrebbe capito quanto mi avrebbe giovato se fosse stata un po' più calma e attenta, ma pensai subito come sarei stata sciocca a rifiutar diamanti e gemme che mi venivano offerti così generosamente, e mi guardai bene dal far trasparire il mio conflitto. Feci tutti i miei sforzi per desiderare di ricevere tant'acqua sporca, in modo che da ultimo avevo preso gusto davvero a quel nuovo genere di aspersione, e promisi a me stessa di tornare un'altra volta a un posticino così felice, ove si ricevevano tanti tesori. Madre cara, lei vede che sono una piccolissima anima e non posso offrire al buon Dio che piccolissime cose. Ancora mi succede spesso di lasciarmi sfuggire quei sacrifici minuti che danno tanta pace all'anima; non me ne scoraggio, sopporto di avere un po' meno pace, e cerco di essere più vigilante un'altra volta.

329 - Il Signore è così buono con me che mi è impossibile aver paura di lui, mi ha dato sempre quello che ho desiderato, o piuttosto mi ha fatto desiderare quello che mi voleva dare. Così, poco tempo prima che la prova contro la fede cominciasse, mi dicevo: veramente non ho grandi prove esteriori, e perché ne avessi di interiori bisognerebbe che il buon Dio cambiasse la mia via; non credo che lo faccia, eppure non posso vivere sempre così nel riposo... quale mezzo dunque troverà Gesù per mettermi alla prova? La risposta non si fece attendere e mi mostrò come colui che amo non è a corto di mezzi: senza cambiar la mia strada, mi mandò la prova che doveva mescolare una salutare amarezza a tutte le mie gioie. Ma non soltanto quando vuole provarmi, Gesù me lo fa presentire e desiderare. Da grandissimo tempo avevo il desiderio, che mi pareva completamente inattuabile, di avere un fratello sacerdote; pensavo spesso che se i fratellini miei non fossero volati al Cielo, avrei avuto la felicità di vederli salire all'altare; ma poiché il buon Dio li ha scelti per farne degli angiolini, non potevo più sperare di vedere il mio sogno tradotto nella realtà. Ed ecco, Gesù non solamente mi ha fatto la grazia che desideravo, bensì mi ha unita con i legami dell'anima a due apostoli suoi, i quali sono divenuti fratelli miei... Voglio, Madre cara, raccontarle nei particolari in qual modo Gesù soddisfece il mio desiderio e anche lo superò, perché io non desideravo che un fratello prete il quale tutti i giorni pensasse a me sul santo altare.

330 - Fu la nostra santa Madre Teresa a mandarmi come dono profumato di festa nel 1895 il mio primo fratello. Ero alla lavanderia, molto occupata nel mio lavoro, quando Madre Agnese di Gesù, prendendomi in disparte, mi lesse una lettera che aveva ricevuto allora. Un giovane seminarista, ispirato, diceva lui, da santa Teresa, chiedeva una sorella la quale si dedicasse in modo particolare alla salvezza dell'anima sua e l'aiutasse con preghiere e sacrifici quando fosse missionario, affinché egli potesse essere strumento di salvezza per molte anime. Prometteva un ricordo costante, quando avesse potuto offrire il santo sacrificio, per colei che divenisse sua sorella. Madre Agnese di Gesù mi disse che voleva me come sorella del futuro missionario. Madre mia, dirle la mia felicità sarebbe cosa impossibile. Il mio desiderio soddisfatto in modo insperato mi fece nascere nel cuore una gioia che chiamerò infantile, perché debbo risalire ai giorni della mia infanzia per trovare il ricordo di quelle gioie tanto vive che l'anima è troppo piccola per contenerie; da anni non avevo gustato un tal genere di felicità. Sentivo che sotto questo aspetto l'anima mia era nuova, come se fossero state toccate per la prima volta delle corde musicali dimenticate fino allora.

331 - Capivo gli obblighi che m'imponevo, perciò mi misi all'opera cercando di raddoppiare di fervore. Bisogna riconoscere che, da principio, non ebbi consolazioni per incitare il mio zelo; dopo aver scritto una gradevole lettera piena di affetto, di sentimenti nobili, per ringraziare madre Agnese di Gesù, il mio giovane fratello non dette più segno di vita fino al luglio seguente, mandò soltanto il suo biglietto da visita nel novembre per dire che entrava in caserma. A lei, Madre cara, il Signore aveva riservato di compiere l'opera cominciata. Senza dubbio si possono aiutare i missionari con la preghiera e col sacrificio, pure talvolta, quando piace a Gesù di unire due anime per la sua gloria, permette che di quando in quando possano comunicarsi i loro pensieri, ed incitarsi a vicenda ad amare Dio maggiormente; ma per questo è necessaria una volontà espressa dell'autorità, perché mi pare che altrimenti questa corrispondenza farebbe più male che bene, se non al missionario, almeno alla carmelitana continuamente indotta dal suo genere di vita a ripiegarsi su se medesima. Allora, invece di unirla al buon Dio, questa corrispondenza (sia pure a distanza) che ella avrebbe ricercata, le occuperebbe lo spirito; immaginando monti e mari, non farebbe altro che procurarsi, sotto pretesto di zelo, una distrazione inutile. Per me, in questa come in tutte le altre cose, sento necessario, affinché le mie lettere facciano bene, che siano scritte per obbedienza, e io provi piuttosto ripugnanza che piacere scrivendole. Così quando parlo con una novizia cerco di farlo mortificandomi, evito di rivolgerle domande che soddiferebbero la mia curiosità; se essa comincia un discorso interessante e poi passa a un altro che mi annoia, senz'aver finito il primo, mi guardo bene dal ricordarle l'argomento che ha lasciato a mezzo, perché mi pare che non possiamo far punto bene quando ricerchiamo noi stessi.

332 - Madre diletta, m'accorgo che non mi correggerò mai: eccomi ancora una volta arrivata ben lontana dal mio argomento, con tutte le mie dissertazioni; mi scusi, la prego, e permetta che ricominci alla prossima occasione poiché non posso fare altrimenti! Lei agisce come il Signore, il quale non si stanca di ascoltare quando gli dico con tutta semplicità le mie pene e le mie gioie quasi che lui non le sappia già. Anche lei, Madre, conosce da gran tempo ciò che penso e tutti gli avvenimenti un po' degni di memoria della mia vita; non potrei dunque informarla di cose nuove. Non posso fare a meno di ridere pensando che le scrivo scrupolosamente tante cose che lei sa bene quanto me. In sostanza, Madre cara, io le obbedisco, e se ora non trova interesse nella lettura di queste pagine, forse la distrarranno nei suoi vecchi giorni e le serviranno in seguito per accendere il fuoco, così non avrò perduto il mio tempo... Ma mi piace di parlare come una bambina; non creda, Madre, che io ricerchi quale utilità possa avere il mio povero lavoro; poiché lo faccio per obbedienza, mi basta di per sé, e non mi affliggerei affatto se lei lo bruciasse davanti ai miei occhi prima di averlo letto.

333 - È tempo che io riprenda la storia dei miei fratelli, i quali occupano ora un posto così grande nella mia vita. L'anno scorso alla fine di maggio, mi ricordo che ella un giorno mi fece chiamare prima del refettorio. Il cuore mi batteva forte quando entrai da lei; mi domandavo che cosa potesse aver da dirmi, perché era la prima volta che mi faceva chiamare così. Dopo avermi detto di sedere, ecco ciò che mi propose: «Vuole occuparsi degli interessi spirituali di un missionario, il quale deve essere ordinato sacerdote, e partire prossimamente?». E poi, Madre, mi lesse la lettera di quel giovane Padre, affinché io sapessi esattamente ciò che egli chiedeva. Il mio primo sentimento fu di gioia, che cedette subito al timore. Le spiegai che, avendo già offerto i miei meriti per un futuro apostolo, credevo di non poterlo fare anche secondo le intenzioni di un altro e che, del resto, vi erano molte religiose migliori di me le quali avrebbero potuto rispondere al suo desiderio. Tutte le mie obiezioni furono inutili, lei mi rispose che si possono avere vari fratelli. Allora le domandai se l'obbedienza non poteva raddoppiare i meriti. Lei mi rispose di sì, dicendomi varie cose che mi mostravano come io potessi accettare senza scrupoli un altro fratello. In fondo, Madre mia, io la pensavo come lei, e poiché «lo zelo di una carmelitana deve abbracciare il mondo», io penso di potere essere utile a più di due missionari, e non potrei dimenticare di pregare per tutti, senza tralasciare i semplici sacerdoti la cui missione talvolta è difficile quanto quella degli apostoli i quali predicano agli infedeli. Insomma, voglio esser figlia della Chiesa com'era la nostra Madre santa Teresa e pregare secondo le intenzioni del Santo Padre, sapendo che queste intenzioni abbracciano l'universo. Tale è lo scopo generale della mia vita, ma questo non mi avrebbe impedito di pregare e di unirmi in modo particolare alle opere dei miei piccoli cari angeli, se fossero stati sacerdoti. Ed ecco in qual modo mi sono unita spiritualmente agli apostoli che Gesù mi ha dato come fratelli: tutto quello che mi appartiene, appartiene a ciascuno di loro, sento bene che il Signore è troppo buono per far le parti, è così ricco che dà, senza misura, tutto quello che gli chiedo... Ma non creda, Madre mia, che mi perda in lunghe enumerazioni.

334 - Da quando ho due fratelli e le mie sorelline novizie, se volessi chiedere in particolare per ciascun'anima ciò di cui ha bisogno, temerei molto di dimenticare qualcosa d'importante. Alle anime semplici non occorrono mezzi complicati. Poiché io sono tra quelle, un mattino, durante il ringraziamento, Gesù mi ha dato un mezzo semplice per compiere la mia missione. Mi ha fatto capire questa parola dei Cantici: «Attirami! noi correremo all'odore dei tuoi profumi» Gesù, dunque non è nemmeno necessario dire: «Attirando me, attira le anime che amo!». Questa semplice parola: «Attirami!», basta. Signore, lo capisco, quando un'anima si è lasciata captare dall'odore inebriante dei tuoi profumi, non saprebbe correre da sola, tutte le anime che ama sono trascinate a seguirla; ciò avviene senza costrizione, senza sforzo, è una conseguenza naturale della sua attrazione verso te. A somiglianza di un torrente che si getta impetuoso nell'oceano, e travolge dietro di sé tutto ciò che ha trovato sul suo passaggio, così, Gesù mio, l'anima che si sprofonda nell'oceano del tuo amore, attira con sé tutti i tesori che possiede...

335 - Signore, lo sai: non ho altri tesori se non le anime che a te è piaciuto unire alla mia; questi tesori me li hai affidati tu. Oso perciò far mie le parole che tu rivolgesti al Padre celeste nell'ultima sera che ti vide ancora sulla terra, viaggiatore e mortale. Gesù, mio amato, non so quando finirà il mio esilio... Per più di una sera ancora canterò in terra straniera le tue misericordie, ma verrà finalmente anche per me la sera ultima; allora vorrei poterti dire, o Dio mio: «Ti ho glorificato sulla terra; ho compiuto l'opera che mi hai dato da fare; ho fatto conoscere il tuo nome a coloro che mi hai dato: erano tuoi, e me li hai dati. Ora conosco che tutto ciò che mi hai dato viene da te; perché ho comunicato loro le parole che mi hai comunicate, le hanno ricevute ed hanno creduto che mi hai mandato tu. Prego per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi. Io non sono più nel mondo; essi vi sono, ed io ritorno a te. Padre Santo, conserva a causa del tuo nome quelli che mi hai dato. Vengo ora a te, ed affinché la gioia che viene da te sia perfetta in essi, dico questo finché sono ancora nel mondo. Non ti prego di toglierli dal mondo, ma di conservarli dal male. Essi non sono del mondo, come anch'io non sono del mondo. Non prego solamente per essi, bensì anche per quelli che crederanno in te attraverso quanto udranno da loro. Padre mio, desidero che dove io sarò, quelli che tu mi hai dato siano con me, e che il mondo conosca che tu li hai amati come hai amato me».

336 - Sì, Signore, questo vorrei ripetere dopo di te, prima di volarmene tra le tue braccia. E forse temerità? Ma no, da lungo tempo mi hai permesso di essere audace con te. Come il padre del figliuol prodigo al suo maggiore, tu hai detto a me: «Tutto ciò che è mio, è tuo». Le tue parole, Gesù, sono dunque mie, ed io posso servirmene per attirare sulle anime unite con me i favori del Padre celeste. Ma, Signore, quando dico che dove sarò io desidero che ci siano anche coloro che tu mi hai dato, non pretendo che essi non possano arrivare ad una gloria ben più alta di quella che ti piacerà dare a me, voglio chiederti semplicemente che un giorno ci troviamo tutti riuniti nel tuo bel Cielo. Lo sai, mio Dio, non ho desiderato mai se non di amarti, non ambisco ad altra gloria. Il tuo amore mi ha prevenuta fin dall'infanzia, è cresciuto con me, ed ora è un abisso del quale non posso scandagliare la profondità. L'amore attira l'amore, così, Gesù mio, il mio si slancia verso di te, vorrebbe colmare l'abisso che l'attira, ma ahimè! è meno che una goccia di rugiada perduta nell'oceano! Per amarti come tu mi ami, mi è necessario far mio il tuo stesso amore, soltanto allora trovo il riposo. O Gesù, è forse una illusione, ma mi sembra che tu non possa colmare un'anima con più amore di quanto hai dato alla mia; per questo oso chiederti di «amare coloro che mi hai dato come hai amato me stessa». Un giorno, in Cielo, se io scoprirò che tu li ami più di me, me ne rallegrerò riconoscendo fin da ora che quelle anime meritano l'amor tuo ben più della mia; ma quaggiù non posso concepire un'immensità di amore più grande di quello che ti è piaciuto prodigarmi gratuitamente, senza mio merito alcuno.

337 - Madre mia cara, torno a lei finalmente; sono tutta stupita di ciò che ho scritto, perché non ne avevo l'intenzione, ma poiché è scritto, bisogna che rimanga. Tuttavia, prima di riprendere la storia dei miei fratelli, voglio dirle, Madre mia, che non applico a quelli, bensì alle mie piccole sorelle, le prime parole prese dal Vangelo: «Ho comunicato a loro le parole che tu mi hai comunicato...» perché non mi credo capace di istruire dei missionari, per grazia di Dio non sono ancora abbastanza orgogliosa per questo! Similmente non sarei stata in grado di dare consigli alle mie sorelle, se lei, Madre mia, che mi rappresenta il Signore, non mi avesse dato grazia per questo. Pensavo invece ai suoi cari figli spirituali, i quali sono miei fratelli, quando scrivevo queste parole di Gesù e le altre che seguono: «Non ti prego di toglierli dal mondo... ti prego anche per coloro che crederanno in te attraverso quanto udranno da loro». Come potrei infatti non pregare per le anime che essi salveranno nelle loro missioni lontane con la sofferenza e con la predicazione?

338 - Madre mia, mi sembra di doverle ancora dare qualche spiegazione riguardo al passo del Cantico dei Cantici: «Attirami, noi correremo», perché ciò che ho voluto dirne mi pare poco comprensibile. «Nessuno, ha detto Gesù, può seguirmi se il Padre mio che mi ha mandato non l'attira». Dopo, per mezzo di parabole sublimi e spesso anche senza usare di questo mezzo tanto familiare al popolo, egli ci insegna che basta bussare perché ci venga aperto, cercare per trovare, e tendere la mano umilmente per ricevere ciò che chiediamo. Egli dice ancora che quanto chiediamo al Padre in suo nome, egli ce lo concede. Per questo senza dubbio lo Spirito Santo, prima della nascita di Gesù, dettò questa preghiera profetica: «Attirami, noi correremo». Cos'è dunque chiedere di essere attirati se non di unirsi in modo intimo a ciò che capta il cuore? Se il fuoco e il ferro avessero intelligenza, e quest'ultimo dicesse all'altro: attirami, non proverebbe che desidera identificarsi col fuoco, in modo che esso lo compenetri e lo intrida con la sua essenza bruciante, e sembri diventare tutt'uno con lui? Madre cara, ecco la mia preghiera: chiedo a Gesù di attirarmi nel fuoco del suo amore, di unirmi a lui così strettamente che in me viva e agisca lui. Sento che, quanto più il fuoco dell'amore infiammerà il mio cuore, quanto più dirò: «Attirami», tanto più le anime che si avvicineranno a me (povero piccolo detrito di ferro inutile, se mi allontanassi dalla fornace divina) correranno anch'esse rapidamente all'effiuvio dei profumi del loro Amato, poiché un anima infiammata di amore non sa rimanere inattiva; senza dubbio resta ai piedi di Gesù, come santa Maddalena, ascolta la sua parola dolce e infuocata. Benché sembri non dar nulla, essa dà ben più che Marta, la quale si agita per tante cose e vorrebbe essere imitata dalla sorella. Gesù non biasima affatto il lavoro di Marta, la sua Madre divina per tutta la vita si è sottomessa umilmente a questo lavoro, poiché doveva preparare il pasto per la sacra Famiglia. Egli vorrebbe correggere la preoccupazione eccessiva 43 della sua ospite ardente. Tutti i santi l'hanno capito; soprattutto, forse, quelli che riempirono l'universo con l'irradiazione della dottrina evangelica. Non è forse dall'orazione che santi come Paolo, Agostino, Giovanni della Croce, Tommaso d'Aquino, Francesco, Domenico, e tanti altri grandi amici di Dio hanno attinto questa scienza divina la quale meraviglia i geni più grandi? Un saggio ha detto: «Datemi una leva, un punto d'appoggio, ed io solleverò il mondo». Quello che Archimede non ha potuto ottenere, perché la sua richiesta non si rivolgeva a Dio ed era espressa solo da un panto di vista materiale, i Santi l'hanno ottenuto pienamente. L'Onnipotente ha dato loro, come punto d'appoggio, se stesso e sé solo; come leva, l'orazione che infiamma di un fuoco d'amore, e così essi hanno sollevato il mondo; così lo sollevano i santi della Chiesa militante, e lo solleveranno ancora i santi futuri, fino alla fine del mondo.

339 - Mia cara Madre, adesso vorrei dirle che cosa intendo per «effiuvio dei profumi» dell'Amato. Poiché Gesù è salito al Cielo, posso seguire solo le tracce che egli ha lasciato, ma sono tracce così luminose, così profumate! Se appena do un'occhiata al santo Vangelo, respiro il profumo della vita di Gesù, e so da quale parte correre... Non mi slancio verso il primo posto, ma verso l'ultimo; invece di farmi avanti insieme col fariseo, ripeto, piena di fiducia, la preghiera umile del pubblicano, soprattutto seguo l'esempio della Maddalena. La sua audacia stupefacente, o piuttosto amorosa, che incanta il Cuore di Gesù, seduce il mio. Sì, lo sento, anche se avessi sulla coscienza tutti i peccati che si possono commettere, andrei, col cuore spezzato dal pentimento, a gettarmi tra le braccia di Gesù, poiché so quanto egli ami il figliuol prodigo che ritorna a lui. Non perché il Signore, nella sua misericordia preveniente, ha preservato la mia anima dal peccato mortale, io m'innalzo a lui con la fiducia e con l'amore.

Edited by Domenico-89 - 30/11/2014, 14:11
 
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