Amiamo Dio con Gesù e Maria

Una piccola grande donna, Seconda parte

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 14/4/2012, 14:20
Avatar

Domenico-89

Group:
Amministratore
Posts:
43,346
Location:
Napoli

Status:


YSy1p



La cara Paray-le-Monial!


Il Padre andò dunque, per combinare la dote, da mia cugina, proprio da colei che non cessava di perseguitarmi. Anche mia madre e gli altri parenti volevano tutti che entrassi nel monastero delle Orsoline. Non sapevo proprio come difendermi, ma, mentre mio fratello era in viaggio, mi rivolsi alla santissima Vergine, la mia dolce Maestra, attraverso l'intercessione di san Giacinto. Recitai molte preghiere e feci celebrare molte Messe in onore della Madonna la quale mi consolò con queste parole: «Non temere, sarai la mia vera figlia; lo sarò sempre la tua amorosa Madre ».

Queste parole dettero tanta serenità al mio spirito che non dubitai di riuscire nel mio intento, malgrado tutte le opposizioni. Mio fratello di ritorno venne a dirmi: «Ci vogliono quattromila franchi di dote; puoi disporre come vuoi delle tue sostanze, non essendo ancora conclusa la trattativa».

Gli risposi risolutamente: « E mai si concluderà. Voglio andare presso le Sante Marie, in un monastero molto lontano dove non ci siano parenti o conoscenti, perché voglio esser religiosa unicamente per amor di Dio. Voglio lasciare definitivamente il mondo e nascondermi in qualche angolo dove possa dimenticarlo ed esserne dimenticata, per non vederlo mai più». Mi furono proposti vari monasteri per i quali non riuscivo a decidermi; ma appena mi si nominò Paray, fui subito invasa dalla felicità e acconsentii immediatamente.

Prima, però, dovetti recarmi dalle religiose, presso le quali avevo soggiornato all'età di otto anni, per una visita di dovere, che però fu per me una prova ben dura. Esse, infatti, mi. accolsero con amorevolezza, dicendomi che ero la loro bambina e si meravigliavano che volessi abbandonarle dal momento che mi amavano con tanta tenerezza. Non mi ci vedevano proprio dalle suore di « Santa-Maria » sapendo bene che non avrei potuto resistervi. Risposi che volevo fare almeno la prova; ed esse mi fecero promettere che sarei ritornata da loro il giorno che fossi uscita dal « Santa-Maria ». Erano, infatti, sicure che non avrei mai potuto abituarmici. Il mio cuore rimaneva insensibile a tutto quello che dicevano, anzi la mia decisione si faceva sempre più ferma. Mi dicevo: «Bisogna vincere o morire! »

Sorvolo le lotte che dovetti ancora sostenere, per parlare subito del luogo della mia felicità, la cara Paray-le-Monial. Appena messo piede nel parlatorio, risuonarono dentro di me queste parole: « È qui che ti voglio».

Dissi subito a mio fratello di prendere gli accordi necessari, perché io ero risoluta a non andare in nessun altro luogo. Questo lo sorprese molto, perché mi aveva accompagnata soltanto per farmi conoscere le religiose di «Santa-Maria» e non sospettava nemmeno, essendomi ben guardata dal palesarlo, il mio desiderio di rimanere tra loro. E ora non sarei andata via prima di vedere tutto concluso.

Mi pareva di esser rinata a vita nuova, tanto mi sentivo contenta e in pace. Apparivo tanto allegra, che quanti ignoravano l'accaduto dicevano: «Guarda, ha tutto lo stile di una suora».

In effetti adesso mi vestivo con più vanità e mi divertivo con maggior piacere perché ero contenta di appartenere tutta al mio supremo Bene, il quale, mentre vado scrivendo queste cose, mi ammonisce dolcemente: «Non troverai mai un padre tanto amante della sua unica figlia, che si sia preso tanta cura di lei, che le abbia dato tanta affettuosa testimonianza di amore, quanta io ne ho data a te e ne darò per l'avvenire. Questo amore ha usato tanta pazienza nel coltivarti e plasmarti a modo mio fin dalla tua più tenera età; ti ha aspettato sempre dolcemente senza sentirsi offeso di tutte le tue infedeltà. Ricordati perciò che, se venissi a dimenticare la riconoscenza che mi devi e non riferissi a me la gloria di ogni cosa, faresti inaridire questa sorgente inesauribile di ogni Bene».

Venne finalmente il giorno tanto atteso di dire addio al mondo, mai, prima di allora, avevo provato tanta gioia e fermezza nel mio cuore, divenuto adesso insensibile alla amicizia e al dolore che mi venivano testimoniati, soprattutto da mia madre. Non versai nemmeno una lacrima nell'andarmene. Mi paragonavo a una schiava che si vede liberata dalla sua prigione e dalle sue catene, per entrare in casa dello sposo, prenderne possesso e godere liberamente della sua presenza, dei suoi beni e del suo amore. Il Signore faceva comprendere tutto questo al mio cuore fuori di sé dalla gioia e non sapevo dare altro motivo della mia vocazione per l'ordine «Santa-Maria» se non quello di voler essere figlia della Vergine.

Confesso però che, venuto il momento di entrare, era un sabato, ricordo, tutte le angosce che avevo provato e molte altre ancora, si ripresentarono con tanta recrudescenza che, nel varcare la soglia, mi sembrava che il corpo si separasse dall'anima. Appena però mi fu chiaro che il « Signore aveva rotto il mio sacco di prigioniera per rivestirmi del suo manto di letizia », fui trasportata da tanta gioia da gridare: « Dio mi vuole qui »; il mio spirito avvertì subito che quella casa di Dio era un luogo santo e che coloro che l'abitavano dovevano essere sante; che il nome di «Santa-Maria» stava a significare che bisognava essere sante a ogni costo; che bisognava buttarsi a corpo morto e sacrificarsi in tutto, senza alcuna riserva.

Questa consapevolezza servì ad addolcire tutto ciò che nei primi tempi mi sembrava tanto duro... (A. 32- 3- 4-5)

Le spine e le rose

L'amore divino e le ripugnanze naturali


Piombai in uno stato di desolazione e mi sforzai, senza nulla risparmiare, di ritirarmi da quella via, ma invano. La nostra Maestra, senza che io me ne avvedessi, non mancava di aiutarmi. Vedendomi bramosa di fare orazione e di imparare a farla e accorgendosi che, nonostante tutti i tentativi, non riuscivo a seguire i metodi prescritti, perché mi ritrovavo sempre sotto l'immediata direzione del mio divin Maestro, anche se facevo del tutto per dimenticarlo e allontanarmi da Lui, la Maestra mi affidò a una ufficiale.

Questa mi faceva lavorare durante il tempo dell'orazione, e quando andavo dalla Maestra per chiederle il permesso di poterla fare in altro tempo libero, essa mi redarguiva con durezza, ordinandomi di pregare mentre lavoravo, tra un esercizio e l'altro del noviziato. E così facevo, senza che la dolce gioia e consolazione, che riempivano il mio animo, fossero minimamente intaccate; anzi aumentavano sempre più. Mi si ordinò di andare ad ascoltare i punti della meditazione del mattino, dopo di che dovevo uscire per andare a spazzare il luogo che mi veniva indicato, fino all'ora di Prima. Dopo di ciò mi si chiedeva di render conto della mia orazione, o piuttosto di quella che il mio supremo Maestro faceva in me e per me, perché volevo obbedire in tutto, cosa che mi riempiva di gioia, anche se il fisico ne risentiva molto. E poi andavo canterellando: «più si ostacola il mio Amore - e più questo unico Bene brucia - Mi si tormenti pure notte e giorno - nessuno può strapparlo dalla mia anima - Più soffro dolore - e più esso mi unirà al suo Cuore ».

Anche se la mia naturale sensibilità le risentisse ancora vivamente, provavo una fame insaziabile di umiliazioni e di mortificazioni. Siccome il mio divino Maestro mi stimolava a cercare sempre nuove mortificazioni finivo per trovarne alcune del tutto particolari. Poiché infatti non mi si accordavano quelle che domandavo, essendo ritenuta indegna di esse, mi si concedevano altre che non mi aspettavo e che erano tanto contrarie alle mie inclinazioni, che nella violenza che dovevo farmi, ero costretta a dire al mio Maestro: «Signore, vieni in mio aiuto, perché Tu sei all'origine di tutto questo».

Ed Egli accorreva - dicendomi: «Devi ammettere che non puoi nulla senza di Me, ma non ti lesinerò mai il mio aiuto a condizione che il tuo nulla e la tua debolezza vengano a sprofondarsi nella mia forza ».

Riferirò qui un solo caso di mortificazione, che si rivelò superiore alle mie forze e potei costatare l'effetto delle sue promesse. Ciò di cui parlo è qualcosa che ha destato sempre naturale ripugnanza a tutti i membri della mia famiglia, tanto che mio fratello, nello stipulare gli accordi per la mia ammissione, si era fatto assicurare che non mi si forzasse mai su questo punto. In quel momento nessuno ebbe difficoltà ad acconsentire, essendo la cosa, di per se stessa, di poco conto, invece fu proprio lì che mi si attaccò tanto violentemente da ogni parte che dovetti cedere, non sapendo più cosa fare. Mi sembrava mille volte più facile sacrificare la vita; e se non avessi amato la mia vocazione più della stessa vita, l'avrei abbandonata subito, piuttosto che accettare quanto si richiedeva da me. Ma era perfettamente inutile opporre resistenza, perché era lo stesso Signore che voleva da me tale sacrificio, dal quale sarebbero dipesi tanti altri.

Per tre giorni lottai disperatamente, tanto da muovere a compassione per prima la mia Maestra, per la quale mi sentivo in obbligo di fare tutto ciò che essa mi diceva. Ma all'atto pratico, il coraggio mi veniva meno e soffrivo da morire per non esser capace di vincere una naturale ripugnanza. La supplicai: «Mi privi della vita, piuttosto che permettere di mancare all'obbedienza ». Ed essa: « Va' via, non sei degna di praticarla e adesso ti ordino di non fare più ciò che ti ho chiesto! ».

Fu veramente troppo! A quel punto mi dissi: « O morire o vincere! ». Corsi davanti al Santissimo, mio abituale rifugio, dove restai circa tre o quattro ore a piangere e a gemere, cercando disperatamente di trovare la forza per vincermi. « Mio Dio, mi hai abbandonata! Come, c'è ancora qualcosa nel mio sacrificio, che deve esser consumato fino al completo olocausto? ».

Ma il Signore spingeva fino in fondo per vedere fino a che punto la mia fedeltà verso di Lui fosse completa e si divertiva nel vedere la sua indegna schiava dimenarsi fra l'amore divino e le ripugnanze naturali. Alla fine fu Lui il vincitore, perché, senza altra consolazione e senza altre armi che queste parole: «Non bisogna mai fare delle riserve nell'amore», andai a prostrarmi davani alla Maestra chiedendole, per pietà, di lasciarmi compiere ciò che si era augurata che io facessi. Finalmente ci riuscii, anche se non avevo mai provato tanta ripugnanza; ripugnanza che ricominciava ogni volta che dovevo ripetere l'azione.e che durò per circa otto anni.

Dopo questo primo grande sacrificio tutte le grazie e i favori del Signore si raddoppiarono, inondando la mia anima di tale estatica gioia da costringermi a esclamare spesso: « Interrompi, mio Dio, questo torrente che mi sta invadendo, oppure allarga la mia capacità di riceverlo! ». Ometto qui le innumerevoli sue gentilezze e la descrizione dell'effusione del suo immacolato amore; è tutto di tale portata che mi sarebbe impossibile renderlo a parole. (A. 39-40-1-2)

Esercizi, espressioni dei puro Amore

Adesso che il mio Signore mi accompagnava dappertutto, non mi davo più pensiero né del tempo, né del luogo. Ero indifferente a qualsiasi decisione presa nei miei riguardi; ero contenta ovunque perché, adesso che ero certa che si era dato a me, senza alcun mio merito, ma solo per bontà Sua, sapevo che nessuno poteva allontanarmi da Lui.

La verifica la ebbi durante il ritiro della mia professione, quando fui mandata nell'orto a custodire un'asina e il suo puledro. Essi mi procurarono un bel da fare, perché, non avendo il permesso di legarli ed essendomi assegnato un piccolo appezzamento di terreno, dal quale non dovevano allontanarsi per evitare che arrecassero danno alle colture, ero costretta a correre in continuazione per tenerli a bada. Non avevo riposo fino all'Angelus della sera, quando andavo a cena; e anche durante una parte del «Mattutino» dovevo recarmi alla stalla per farli mangiare. Ero così contenta di questa occupazione che non mi sarebbe affatto dispiaciuto continuarla per tutta la vita. Il mio Signore mi teneva fedele compagnia, e tutte le corse che mi toccava fare, non mi allontanavano mai da Lui.

Fu anzi in quell'occasione che ricevetti grazie immense, che fino allora non avevo mai sperimentato, parlo specialmente di tutto quello che mi rivelò sul mistero della sua santa Passione e Morte. Ma è tale un abisso impossibile a riferire e porterebbe via tanto di quello spazio che l'ometto del tutto. Dirò solo che quella cognizione mi ispirò un tanto grande amore per la Croce, che io non posso più vivere un solo istante senza soffrire, in silenzio, priva di ogni consolazione, di ogni sollievo o compassione, per morire con il Sovrano della mia anima, accasciata sotto il peso della Croce fatta di vergogne, di dolori, di umiliazioni, di dimenticanze e di disprezzo!

Questo stato di sofferenza è durato tutta la mia esistenza che, grazie alla sua misericordia, è trascorsa tutta in questi esercizi, che sono espressione del puro Amore. Egli ha sempre avuto cura che io avessi in abbondanza di questo cibo, a Lui tanto gradito, senza mai dire basta. (A. 50)

«Il gingillo del mio amore»

Giunto finalmente il giorno tanto auspicato della santa professione, il mio divino Maestro si compiacque di ricevermi come sua sposa, ma in maniera tale che mi sento nell'impossibilità di esprimerlo. Posso solo dire che mi adornava e mi trattava come una sposa del Tabor. Ciò era per me più duro della stessa morte, perché non mi trovavo conforme allo Sposo, che scorgevo tutto sfigurato e lacerato come quando era sul Calvario. Mi disse: «Lasciami fare ogni cosa a suo tempo. Ora voglio che tu sia il gingillo del mio amore, che desidera trastullarsi con te, come fanno i bambini con i loro giocattoli. Bisogna che tu ti abbandoni a Me senza mire proprie e senza resistenze, pensando solo ad accontentarmi. Vedrai che non avrai nulla da perdere». Mi promise di non lasciarmi mai e disse: «Sii sempre pronta e disposta a ricevermi, poiché voglio dimorare in te per conversare e intrattenermi con te ». (A. 44)

Egli mi domandò, dopo la santa comunione, di rinnovargli il sacrificio della mia libertà e di tutto il mio essere; ciò che feci prontamente con tutto il cuore. «Purché Tu, mio sovrano Maestro, gli dissi, non faccia apparire in me niente di straordinario e non mi conceda altro che umiliazioni e abiezioni davanti agli altri, demolendo la loro stima nei miei riguardi. Mi rendo infatti, conto, mio Dio, della mia debolezza e temo di tradirti; ho persino paura che i tuoi doni non siano troppo al sicuro presso di me». «Non temere, figlia mia, rispose, metterò ordine in te, sarò il tuo Custode, ti renderò incapace di resistermi». «Mio Dio, esclamai, mi lascerai forse vivere senza più soffrire?». Mi fece subito vedere una enorme Croce, che non riuscivo a scorgere in tutta la sua estensione; ma era completamente coperta di fiori.

«Ecco il letto delle mie caste spose, dove ti farò consumare le delizie del mio puro Amore. Poco a poco i fiori cadranno e non resteranno che le spine, ora nascoste, in considerazione alla tua debolezza. Esse ti pungeranno con tanta forza che avrai bisogno di tutto il mio Amore per sopportarne il dolore ».

Queste parole mi dettero una grande gioia, perché ero convinta che nella mia vita non ci fossero abbastanza sofferenze, né sufficienti umiliazioni e nulla sembrava bastare alla mia immensa voglia di patire. La sofferenza maggiore era quella di non soffrire abbastanza, poiché il suo Amore non mi abbandonava mai, né giorno, né notte. (48-49)

«Senza l'obbedienza nessuno può piacermi»

... Mi sforzavo di seguire il metodo di orazione insieme alle altre pratiche, che mi venivano insegnate, ma purtroppo non ne restava traccia alcuna nel mio spirito.

Avevo un bel leggere i punti della meditazione; dopo poco sembrava tutto svanire e non riuscivo a ricordare e imparare se non quello che mi veniva insegnato dal mio divino Maestro; cosa questa che mi faceva molto soffrire. Infatti le superiore facevano del tutto per distruggere in me la sua azione e mi ordinavano di fare altrettanto. Combattevo contro di Lui con tutte le mie forze, eseguendo scrupolosamente tutto ciò che era richiesto dall'obbedienza, nel tentativo di sottrarmi a quella potenza divina, che rendeva del tutto vana la mia.

A questo punto andavo a lamentarmi da Lui: « Perché, mio supremo Maestro, non mi lasci seguire la via comune delle Figlie di « Santa-Maria »? Mi hai forse condotta alla tua santa casa per perdermi? Concedi le tue grazie straordinarie ad anime scelte, più capaci di me nel corrisponderti e glorificarti; io, in fondo, non faccio che opporti resistenza. Non voglio altro che il tuo Amore e la tua Croce, questo mi basta per esser una buona religiosa; questo è tutto ciò che desidero».

Ed Egli mi rispose: «Lottiamo, figlia mia; Io ne sono contento; ma vedremo chi uscirà vincitore, il Creatore o la sua creatura, la forza o la debolezza, l'onnipotenza o l'impotenza; chi però sarà vittorioso, lo sarà per sempre».

Queste parole mi gettarono in una estrema confusione. Ed Egli soggiunse: « Sappi che non mi sento affatto offeso da tutte queste contraddizioni e lotte che sostieni per obbedienza, per la quale Io ho sacrificato la vita! Ricordati però che sono il Padrone assoluto dei miei doni e delle mie creature e nulla può impedire che i miei disegni si compiano. Per questo esigo che, non solo tu esegua ciò che le tue superiore ti ordinano, ma anche che tu non faccia nulla di ciò che Io ti ordino, senza il loro consenso, perché amo l'obbedienza e senza di essa nessuno può piacermi ».

Queste parole, che riferii, furono molto gradite alla superiora, la quale mi disse di abbandonarmi pure alla sua potenza; cosa che feci con l'animo colmo di gioia e pervaso da un senso di pace, mentre prima si trovava in preda a una crudele tirannia. (A. 47)

Motivo del suo biasimo più severo erano le mancanze di rispetto e d'attenzione davanti al Santissimo Sacramento soprattutto durante l'Ufficio e l'orazione, le intenzioni poco rette e pure, la vana curiosità. I suoi occhi puri e divini riescono a vedere i minimi difetti contro la carità e l'umiltà, i quali vengono da Lui fortemente disapprovati, mai però come le mancanze contro l'obbedienza ai superiori e alle regole. La più piccola risposta che in un'anima religiosa risenta di intolleranza verso i superiori è per Lui insopportabile.

«Ti sbagli mi diceva una volta, se pensi di riuscirmi gradita con delle azioni e mortificazioni scelte dalla tua volontà e volte a piegare piuttosto che a dipendere da quella delle superiore. Sappi che respingo tutto ciò come frutto corrotto della propria volontà, che mi fa orrore in un'anima religiosa. Preferirei che essa usufruisse, per obbedienza, di tutte le possibili comodità, piuttosto che sottoporsi a vita austera e a digiuni ispirati dal proprio volere».

Per questo quando mi capita di fare delle penitenze e mortificazioni di mia libera scelta e senza il permesso suo o della mia superiora, non mi concede nemmeno di offrirgliele; al contrario mi corregge e mi impone una penitenza, come fa per tutte le altre mancanze, ognuna delle quali trova la sua particolare pena in quel purgatorio, in cui Egli mi purifica per rendermi meno indegna della sua divina presenza, delle sue comunicazioni, delle sue mozioni, dal momento che Egli fa tutto in me (...). Presi allora la santa risoluzione di morire piuttosto che oltrepassare anche minimamente i limiti dell'obbedienza. A ogni mancanza mi assegnava la penitenza.

Nulla però mi era particolarmente difficile, in quanto, a quel tempo, le mie pene e sofferenze erano come immerse nella dolcezza del suo Amore, tanto che Lo supplicavo di privarmi di questa intima dolcezza per farmi avere la gioia di gustare l'amarezza delle sue angosce, della sua agonia, delle sue ignominie e di tutti gli altri suoi tormenti. Ma Egli mi rispondeva che unico mio compito era quello di sottomettermi alle sue diverse disposizioni e non quello di dargli ordini: «Ti farò capire in seguito che sono un saggio e sapiente Direttore, che sa condurre le anime senza pericolo quando queste si abbandonano a me, dimenticando se stesse ». (A. 52)

Il cuore di Gesù e le sue misericordie

La prima rivelazione

Una volta, mentre ero davanti al Santo Sacramento con un pò più di tempo a disposizione, (che, di solito, i compiti affidatimi non me ne lasciavano molto) mi trovai tutta investita della sua divina presenza e con tanta forza da farmi dimenticare me stessa e il luogo in cui mi trovavo. Mi abbandonai al suo divino Spirito e, affidando il mio cuore alla potenza del suo amore, mi fece riposare a lungo sul suo divin petto e mi scoprì le meraviglie del suo Amore e i segreti inesplicabili del suo Sacro Cuore, che mi aveva tenuti nascosti fino a quel momento, nel quale me lo aprì per la prima volta. E lo fece in modo così reale e sensibile da non permettermi ombra di dubbio, dati gli effetti che questa grazia ha prodotto in me, anche se temo sempre di illudermi in tutto ciò che mi riguarda.

Ed ecco come, mi sembra, siano andate le cose. Mi disse: «Il mio divin Cuore è tanto appassionato d'amore per gli uomini e per te in particolare, che, non potendo più contenere in sé stesso le fiamme del suo ardente Amore, sente il bisogno di diffonderle per mezzo tuo e di manifestarsi agli uomini per arricchirli dei preziosi tesori che ti scoprirò e che contengono le grazie santificanti e in ordine alla salvezza, necessarie per ritrarli dal precipizio della perdizione. Per portare a compimento questo mio grande disegno ho scelto te, abisso d'indegnità e di ignoranza, affinché appaia chiaro che tutto si compie per mezzo mio».

Poi mi domandò il cuore e io Lo supplicai di prenderlo. Lo prese e lo mise nel suo Cuore adorabile, nel quale me lo fece vedere come un piccolo atomo, che si consumava in quella fornace ardente. In un secondo tempo lo ritirò come fiamma incandescente in forma di cuore e lo rimise dove l'aveva preso, dicendomi: «Eccoti, mia diletta, un prezioso pegno del mio amore che racchiude nel tuo costato una piccola scintilla delle sue fiamme più vive, affinché ti serva da cuore e ti consumi fino all'ultimo istante della tua vita. Il suo ardore non si estinguerà mai e potrà trovare un pò di refrigerio soltanto in un salasso, che lo segnerò talmente col Sangue della mia Croce, da fartene riportare più umiliazione e sofferenza che sollievo. Per questo voglio che tu chieda con semplicità questo rimedio, sia per mettere in pratica ciò che ti viene ordinato, sia per darti la soddisfazione di versare il tuo sangue sulla croce delle umiliazioni ».

«E in segno che la grande grazia che ti ho concessa, non è frutto di fantasia, ma il fondamento di tutte le altre grazie che ti farò, il dolore della ferita del tuo costato, benché Io l'abbia già richiusa, durerà per tutta la tua vita e se finora hai preso soltanto il nome di mia schiava, ora voglio regalarti quello di discepola prediletta del mio Sacro Cuore».

Dopo questo insigne favore che durò per molto tempo, durante il quale non sapevo se mi trovassi in cielo o in terra, stetti parecchi giorni come tutta infiammata e inebriata, talmente fuori di me da non potermi riavere, né poter pronunciar parola se non con grande sforzo; e dovevo farmi ancora più violenza per riuscire a mangiare e per partecipare alla ricreazione comune perché non avevo più forze per superare la mia sofferenza. Mi sentivo profondamente umiliata; non riuscivo a dormire perché la ferita, il cui dolore mi è così prezioso, mi causa delle vampate così ardenti da consumarmi e bruciarmi viva.

Mi sentivo poi tanto piena di Dio, che non riuscivo a spiegarlo alla superiora, come avrei desiderato e fatto, anche se riferire queste grazie mi mette sempre in uno stato di confusione e di vergogna, a causa della mia indegnità; preferirei piuttosto rivelare al mondo intero i miei peccati. Sarebbe stata per me una grande consolazione, se mi avessero permesso di fare, in refettorio, ad alta voce, la confessione generale, per mostrare l'abisso di corruzione che è in me e perché non si attribuissero a mio merito le grazie che ricevevo. (A. 53-54)

La seconda rivelazione

Il dolore del costato, al quale ho appena accennato, si rinnovava ogni primo venerdì del mese in questo modo: il Sacro Cuore mi si presentava come un sole sfolgorante di vivissima luce, i cui infocati raggi cadevano a piombo sul mio cuore, che subito si accendeva di fuoco tanto ardente che sembrava dovesse ridurmi in cenere. In quell'occasione il divino Maestro mi manifestava ciò che desiderava da me e mi svelava i segreti del suo dolce Cuore.

Una volta, in particolare, mentre era esposto il Santo Sacramento, sentendomi tutta assorta nell'intimo del mio essere per un raccoglimento straordinario di tutti i miei sensi e di tutte le mie facoltà, Gesù Cristo, il mio dolce Maestro, si presentò a me tutto splendente di gloria con le sue cinque piaghe sfolgoranti come cinque soli. Da ogni parte di quella sacra Umanità si sprigionavano fiamme, ma soprattutto dal suo adorabile petto, che somigliava a una fornace ardente. Dopo averlo scoperto, mi mostrò il suo amante e amabilissimo Cuore, sorgente viva di quelle fiamme.

Fu allora che mi svelò le meraviglie inesplicabili del suo puro Amore e fino a quale eccesso questo lo avesse spinto ad amare gli uomini, dai quali poi non riceveva in cambio che ingratitudini e indifferenza. «Questo, mi disse, mi fa soffrire più di tutto ciò che ho patito nella mia Passione, mentre se, in cambio, mi rendessero almeno un pò di amore, stimerei poco ciò che ho fatto per loro e vorrei, se fosse possibile, fare ancora di più. Invece non ho dagli uomini che freddezze e ripulse alle infinite premure che mi prendo per far loro del bene ».

«Ma almeno tu dammi la gioia di compensare, per quanto ti è possibile, la loro ingratitudine». Confessando io la mia incapacità, mi rispose: « Tieni, eccoti con che supplire alla tua pochezza». E in quel mentre il divin Cuore si aprì e ne uscì una fiamma così ardente, che temetti di esserne consumata, perché ne fui tutta penetrata, e non potendo più sostenerla, gli chiesi di aver compassione della mia debolezza. Ed Egli: « Sarò Io la tua forza, non temere; ma presta sempre attenzione alla mia voce e a ciò che ti chiedo, per portare a termine i miei disegni ».

«Prima di tutto mi riceverai nella Comunione tutte le volte che l'obbedienza te lo permetterà, anche se te ne verranno mortificazioni e umiliazioni, che tu accetterai come pegno del mio Amore. Inoltre ti comunicherai il primo venerdì di ogni mese e infine, tutte le notti che vanno dal giovedì al venerdì, ti farò partecipe di quella mortale tristezza che ho provato nell'orto degli ulivi. Sarà un'amarezza che ti porterà, senza che tu possa comprenderlo, a una specie di agonia più dura della stessa morte. Per tenermi compagnia in quell'umile preghiera che allora, in mezzo alle mie angosce, presentai al Padre, ti alzerai fra le undici e mezzanotte per prostrarti con la faccia a terra, insieme a me, per un'ora. E questo sia per placare la divina collera, col chiedere misericordia per i peccatori, sia per addolcire in qualche modo l'amarezza che provai per l'abbandono dei miei Apostoli, che mi obbligò a rimproverarli di non essere stati capaci di vegliare un'ora assieme a me. Ascoltami bene, figlia mia, non credere tanto facilmente e non fidarti di qualsiasi spirito, perché Satana smania d'ingannarti. Per questo non devi far niente senza l'approvazione di coloro che ti guidano; perché, quando sei autorizzata dall'obbedienza, il demonio non ti può nuocere, non avendo nessun potere su quelli che obbediscono».

Durante tutto quel tempo, io ero stata completamente fuori dei sensi e avevo perduto persino la cognizione del luogo dove mi trovavo. Quando mi condussero via, vedendo che non riuscivo a rispondere e che mi reggevo a mala pena in piedi, fui condotta da nostra madre. Mi gettai in ginocchio ai suoi piedi e lei, nel vedermi come fuori di me stessa, tutta febbricitante e tremante, mi mortificò e mi umiliò con tutte le sue forze. Questo mi fece gran piacere e mi colmò d'una gioia incredibile perché mi sentivo tanto colpevole e confusa, che il più duro dei trattamenti mi sarebbe sembrato troppo dolce. Dopo averle raccontato, con estrema vergogna, quanto mi era accaduto, mi umiliò ancora di più, senza concedermi, per questa volta, niente di ciò che io credevo che Nostro Signore mi avesse chiesto di fare, e disprezzando tutto ciò che le avevo riferito. Ne ebbi un senso di immensa consolazione e mi ritirai in perfetta pace... (A. 55-6-7-8)

La grande promessa

Una volta mentre ero davanti al SS.mo Sacramento, (era un giorno dell'ottava del Corpus Domini) ricevetti dal mio Dio grazie straordinarie del suo Amore; mi sentii spinta dal desiderio di ricambiarlo e di rendergli amore per amore. Egli mi rivolse queste parole: «Tu non puoi mostrarmi amore più grande che facendo ciò che tante volte ti ho domandato».

Allora scoprendo il suo divin Cuore mi disse: «Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini e che nulla ha risparmiato fino ad esaurirsi e a consumarsi per testimoniare loro il suo Amore. In segno di riconoscenza, però, non ricevo dalla maggior parte di essi che ingratitudine per le loro tante irriverenze, i loro sacrilegi e per le freddezze e i disprezzi che essi mi usano in questo Sacramento d'Amore. Ma ciò che più mi amareggia è che ci siano anche dei cuori a me consacrati che mi trattano così».

« Per questo ti chiedo che il primo venerdì dopo l'ottava del <corpus Domini>, sia dedicato a una festa particolare per onorare il mio Cuore, ricevendo in quel giorno la santa comunione e facendo un'ammenda d'onore per riparare tutti gli oltraggi ricevuti durante il periodo in cui è stato esposto sugli altari.

Io ti prometto che il mio Cuore si dilaterà per effondere con abbondanza le ricchezze del suo divino Amore su coloro che gli renderanno questo onore e procureranno che gli sia reso da altri».

Obiettando io che non sapevo come fare per attuare ciò che da tempo mi chiedeva, mi rispose di rivolgermi al suo servo (Padre La Colombière) che mi aveva inviato, per mettere in esecuzione questo suo progetto. Avendolo io fatto, questi mi ordinò di scrivere ciò che gli avevo riferito sul Sacro Cuore di Gesù Cristo e molte altre cose che riguardavano la gloria di Dio e anche la sua persona.

Il Signore mi fece trovare in quel sant'uomo molta consolazione, primo perché mi insegnò a corrispondere ai suoi disegni e poi perché, nella terribile paura che avevo di essere ingannata e che mi faceva piangere continuamente, riuscì a trasfondermi grande sicurezza e serenità.

Quando il Signore lo allontanò da questa città per impiegarlo nella conversione degli infedeli, accettai il dolore con la totale sommissione alla volontà di Dio, che me lo aveva reso tanto utile nel breve periodo, in cui aveva soggiornato tra di noi; ma quando Gesù mi sorprese a riflettere su quella perdita, mi rivolse questo rimprovero: «Non ti basto, dunque, Io che sono il tuo principio e la tua fine?». Non mi ci volle altro per abbandonarmi tutta Lui, sicura che Egli si sarebbe preso cura di tutto ciò, di cui avrei avuto bisogno.

Tutto per Iddio e niente per me

Amare e soffrire ciecamente


Una volta il mio sommo Sacrificatore mi chiese di fare un testamento scritto in suo favore, un atto di donazione intera e senza riserva, come già Gli avevo fatto a voce. In quest'atto avrei dovuto donare tutte le mie azioni, sofferenze, le preghiere e i beni spirituali che per me si sarebbero fatti in vita e dopo la mia morte. Come Egli desiderava, chiesi alla superiora di essere lei il notaio di quest'atto; Dio l'avrebbe ben ricompensata; se però lei non avesse accettato, dovevo rivolgermi al suo Servo, il P. La Colombière. Non ce ne fu bisogno, perché la superiora accettò.

Una volta redatto, presentai l'atto al solo Amore della mia anima, che mi espresse tutta la sua soddisfazione, dicendo che ne avrebbe disposto a suo gradimento, secondo i suoi disegni e in favore di chi Gli piace. Ma siccome il suo Amore mi aveva spogliata di tutto e non voleva che avessi altre ricchezze che quelle del suo Sacro Cuore, me ne fece subito donazione facendomi scrivere l'atto col mio sangue mentre Lui me lo dettava. Io poi misi la firma sul mio cuore con un temperino, incidendovi il nome di Gesù. (A. 84).

Trascrivo i propositi, che devono durare fino al termine dei miei giorni, poiché è stato lo stesso mio Amato a dettarmeli.

Dopo averlo ricevuto nel mio cuore, Egli mi disse: «Ecco la piaga del mio Costato, dove dovrai dimorare ora e sempre. Qui potrai conservare la veste della innocenza, di cui ho rivestito la tua anima, affinché tu viva la vita dell'Uomo-Dio; viva cioè come se non vivessi più, affinché Io possa vivere perfettamente in te. Non dovrai più pensare al tuo corpo e a tutto ciò che lo riguarda, come se non esistesse; dovrai agire, come se non fossi più tu ad agire, ma Io solo in te.

Per questo è necessario che le tue facoltà spirituali e i tuoi sensi siano come seppelliti in Me, in modo che tu sia come sorda, muta, cieca e insensibile a tutte le cose terrene; devi volere come se non volessi più; senza giudicare, desiderare, amare o volere altro che non sia la mia volontà.

Ciò dovrà diventare l'unica fonte delle tue delizie. Nulla devi cercare fuori di Me, se non vuoi offendere la mia potenza e Me stesso, che voglio essere tutto per te.

Sii sempre disposta a ricevermi; Io sarò sempre pronto a donarmi a te, perché sarai spesso preda del furore dei tuoi nemici. Ma non temere; ti circonderò della mia potenza e sarò il premio delle tue vittorie. Sta attenta a non aprire mai gli occhi per considerarti fuori di Me; la tua massima deve essere: amare e soffrire ciecamente: un solo Cuore, un solo Amore, un solo Dio».

(Ciò che segue, la Santa l'ha scritto con il proprio sangue)

«Io, indegno e miserabile nulla, protesto al mio Dio di sottopormi e di sacrificarmi a tutto ciò che desidera da me; di immolare completamente il mio cuore, affinché si compia la sua volontà, senza altro interesse che la sua maggior gloria e il suo puro Amore, al quale consacro e abbandono tutto il mio essere e ogni istante della mia vita.

Sono per sempre del mio Amore: la sua schiava, la sua serva e la sua creatura; perché Egli è tutto mio e io sono la sua indegna Sposa».

Suor Margherita Maria, morta al mondo - Tutto da Dio e niente da me

- Tutto di Dio e niente di me

- Tutto per Iddio e niente per me. (SA. pg. 120-1)

«Cerco una vittima»

Le dirò dunque che questo Sovrano si presentò un giorno a questa indegna schiava e mi disse: «Cerco per il mio Cuore una vittima, che voglia sacrificarsi e immolarsi per realizzare i miei disegni ».

Allora, sentendomi tutta penetrata dalla grandezza di quella sovrana Maestà, mi prostrai davanti ad Essa e le presentai molte sante anime che avrebbero corrisposto fedelmente ai suoi disegni. « Io però - mi rispose - non desidero altri che te e voglio che acconsenta tu ai miei desideri ».

Allora, profusa tutta in lacrime, replicai che Egli sapeva molto bene che ero una peccatrice e che le vittime dovevano essere innocenti e, in tutti i casi, avrei fatto soltanto ciò che la superiora mi avrebbe ordinato. Al che il Signore acconsentì. Non smetteva però di perseguitarmi e io, da parte mia, non facevo che resistere, perché temevo molto che le vie straordinarie mi distogliessero dallo spirito di semplicità della mia vocazione.

Invano però opponevo resistenza, perché non mi dava requie, finché, con il beneplacito dell'obbedienza, non fossi pronta a ciò che desiderava da me, di offrirmi, cioè, vittima, disposta a sacrificarmi a ogni sorta di sofferenza, di umiliazione, di contraddizione, di dolori e disprezzi, senza altro scopo che quello di realizzare i suoi piani.

Dopo la mia offerta mi annunciò che conosceva bene i miei timori, ma mi prometteva (come credo di averle già detto) che avrebbe adattato le sue grazie allo spirito della regola, all'obbedienza dovuta ai superiori e alla mia debolezza e infermità, in modo tale che una cosa non sarebbe stata di impedimento all'altra. Dopo di che profuse in me le sue grazie con tanta abbondanza che non mi riconoscevo più. Il fatto però aumentò talmente i miei timori che mi vidi costretta a pregarlo con insistenza che non smettesse di farmi apparire davanti agli altri sempre più spregevole, abietta e biasimevole. Me lo promise.

In un ritiro che feci qualche tempo dopo, ricevetti, dalla sua liberalità e impensabile misericordia, delle grazie, delle quali però non è necessario che io parli. Dirò soltanto che il fatto avvenne quando la sua bontà mi manifestò le numerose grazie che aveva deciso di farmi, quella in particolare che riguarda il suo amabile Cuore. A questo punto mi prostrai davanti a Lui e Gli chiesi di voler distribuire le sue grazie a qualche anima più fedele e più disposta a corrispondere, perché sapeva bene che io ero capace soltanto di ostacolare i suoi progetti. Allora mi fece intendere che mi aveva scelta proprio per questo: perché non attribuissi nulla a me stessa. Per il resto avrebbe supplito Lui a tutto ciò che mi mancava. (SA. pg. 171-2-3)

Un giorno questo unico Amore della mia anima si presentò a me, portando in una mano un quadro della vita più felice che si possa mai immaginare per una religiosa: una vita soffusa di pace, di consolazioni interne ed esterne, vissuta in perfetta salute, non disgiunta dalla stima e dall'apprezzamento altrui, piena, insomma, di cose piacevoli alla natura; nell'altra mano aveva un quadro che riproduceva una vita povera e abietta, sempre crocifissa da ogni sorta di umiliazioni, disprezzi e contraddizioni, colma di sofferenze fisiche e spirituali. Mostrandomi le due immagini, mi disse: «Scegli, figlia mia, quello dei due che più ti piace; qualunque sia la tua scelta, ti farò sempre le stesse grazie». Prostrandomi allora ai suoi piedi per adorarlo, Gli dissi: «O mio Signore, voglio solo Te e ciò che Tu scegli». E continuando Egli a insistere perché scegliessi, replicai: «Tu mi basti, mio Dio! Scegli per me ciò che Ti darà maggior gloria, senza aver riguardo a me o alle mie soddisfazioni. Accontenta Te stesso e mi basta».

Allora mi disse che, come la Maddalena, avevo scelto la parte migliore, che non mi sarebbe più tolta, perché sarebbe Egli stesso la mia eredità per sempre. E, presentandomi il quadro della Crocifissione, disse: « Ecco quello che hai scelto e che più mi piace, perché più si presta al compimento dei miei disegni e a renderti a Me conforme. L'altra è una vita di gaudio, non di meriti; è la vita eterna». E, baciandogli la mano, con la quale me lo presentava, accettai il quadro di morte e di crocifissione. Benché la mia natura fremesse, l'abbracciai con tutto l'affetto di cui è capace il mio cuore. Stringendomelo al petto, lo sentii imprimersi tanto fortemente in me, che mi parve di non essere altro che un composto di ciò che vi avevo contemplato.

Mi accorsi così, di essere tanto profondamente cambiata nelle mie disposizioni interiori da non riconoscermi più. Tuttavia lasciavo il giudizio di ogni cosa alla superiora, alla quale non riuscivo a nascondere nulla, come non potevo tralasciare di eseguire ciò che essa mi ordinava, purché provenisse direttamente da lei. Lo Spirito che mi possedeva, infatti, mi faceva provare grandi ripugnanze quando lei mi ordinava qualcosa o mi guidava seguendo i consigli altrui; perché mi aveva promesso che a lei e non ad altri, avrebbe dato i consigli necessari per guidarmi secondo i suoi disegni. (A. 66-7)

Sofferenza riparatrice

La Santità d'Amore mi spingeva tanto fortemente verso la sofferenza riparatrice, che il mio più dolce sollievo era quello di sentire il mio corpo oppresso dai dolori, il mio spirito abbandonato a se stesso e tutto il mio essere in braccio a umiliazioni, cose che non mi mancavano mai, grazie al mio Dio, il Quale aveva premura di non lasciarmene mai senza. Se poi capitava che questo salutare pane venisse a scarseggiare, allora lo cercavo attraverso le mortificazioni; e ci pensava la stessa mia natura sensibile e orgogliosa a fornirmene abbondante materia.

Il mio Maestro non voleva che evitassi alcuna occasione di sofferenza; e se ciò accadeva, perché era troppo lo sforzo necessario per vincere le mie ripugnanze, me la faceva poi pagare il doppio. Quando voleva qualcosa da me, mi stimolava tanto vivamente che non riuscivo a resistergli; cosa che tante volte ho cercato di fare, soffrendone poi moltissimo. Egli, infatti, esigeva ciò che era maggiormente opposto alla mia indole naturale e voleva che camminassi costantemente per la via ad essa contraria. (A. 70)

Il mio Signore un giorno, dopo la santa comunione, mi fece vedere una rozza corona di diciannove spine che trafiggevano il suo sacro Capo; il dolore che ne provai fu così vivo che non fui capace di parlare se non con le lacrime. Mi disse che era venuto da me perché Gli strappassi quelle acuminate spine, che Gli erano state conficcate tanto profondamente da una sposa infedele, «che, aggiunse, mi trafigge il cervello con tante spine, quante sono le volte che essa, con il suo orgoglio, si preferisce a Me ».

Non sapendo come estrarle e soffrendo moltissimo per il continuo spettacolo, che mi si offriva davanti agli occhi, la superiora mi suggerì di domandare a Nostro Signore cosa dovessi fare per tirarle fuori. Mi rispose che il mezzo c'era: compiere altrettanti atti di umiltà, in omaggio alle sue umiliazioni. Ma, poiché io ero un'orgogliosa, pregai la superiora di offrire a Nostro Signore le pratiche di umiltà di tutta la comunità. Ciò Gli fece molto piacere, perché dopo cinque giorni, mi mostrò di essere stato liberato da tre spine; le altre purtroppo dovette tenerle ancora a lungo. (SA. pag. 105)

Nostro Signore mi manifestò che Gli era molto gradito lo sforzo che si stava compiendo per ristabilire la carità in una comunità; la nostra preoccupazione al riguardo non sarebbe rimasta senza ricompensa.

Offrivo spesso la mia vita a Dio per dare soddisfazione alla sua Bontà per tutte le mancanze di questo tipo. Una volta, durante l'orazione serale, Egli mi aveva fatto capire che, se le colpevoli non si fossero corrette, la sua misericordia avrebbe lasciato il posto alla Giustizia. In piena confidenza Gli dicevo che i ritiri sarebbero serviti per riparare questi difetti. Mi rispose che molti ritiri avevano già avuto luogo, ma senza alcun frutto. Gli replicai: «Mio Dio, fammi sapere come è possibile ristabilire la carità».

Parlandomi interiormente mi disse che la cosa era possibile, ma irta di difficoltà; bisognava perciò non risparmiarsi; quanto ai mezzi, le persone poste in autorità non avevano che seguire quelli che Lui stesso avrebbe loro fornito, giacché Egli non si sarebbe tirato indietro in questa impresa. (SA. pag. 107)

La grazia dell'obbedienza

Se mi fosse permesso di rattristarmi, sarebbe solo per il timore di aver ingannato gli altri, a mia insaputa.

La più piccola stima, che gli altri hanno di me, mi procura un tormento insopportabile, perché, ed è la verità, se si sapesse quanto sono meschina, gli altri avrebbero di me soltanto orrore, odio e disprezzo. L'essere trattata così sarebbe per me la consolazione più grande che mi possa capitare, poiché non riesco a vedere alcuna azione da me compiuta che non meriti castighi. Dire una vita vissuta senza amore di Dio, è dire il colmo dei mali che si possa immaginare.

Anche se il sacro Cuore di Gesù s'è fatto mio Maestro e mio Direttore, ciò non vuole dire che io faccia qualcosa, di quello che mi ordina, senza il consenso della superiora, alla quale vuole che obbedisca più esattamente che a Lui. Questo mi insegna a diffidare di me stessa come del più crudele e potente nemico; a mettere tutta la mia fiducia in Lui, il Quale, in cambio, mi difenderà; a non preoccuparmi di niente in qualsiasi circostanza, perché tutto dipende dalla sua santa provvidenza e volontà che, se vuole, può dirigere tutto a sua gloria. (SA. pag. 112).
 
Web  Top
0 replies since 14/4/2012, 14:20   10 views
  Share