Amiamo Dio con Gesù e Maria

La sua vita, Da 26. a 49.

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view post Posted on 14/4/2012, 14:55
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Domenico-89

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26. Vogliono attrarla verso le Orsoline di Maçon

Mi misero presso uno dei miei zii che aveva una figlia monaca, la quale, sapendo che anch'io volevo diventarlo, fece di tutto per avermi con lei. Ma io non sentivo alcuna inclinazione per le Orsoline e le dicevo: «Vedi, se entro nel vostro convento, sarà solo per amor tuo e invece io voglio andare in un convento dove non ci siano parenti né conoscenti, al fine di essere monaca per il solo amore di Dio». Ma poiché non sapevo quale convento sarebbe stato, né quale regola avrei seguito, visto che non ne conosce-vo, pensai di poter cedere alle sue insistenze; tanto più che amavo quella cugina, che si serviva dell'autorità di mio zio, cui non potevo opporre resistenza, dal momento che era il mio tutore. Mi diceva che mi amava come una figlia e che, per questo motivo, voleva tenermi vicina a lui, e non consentì a mio fratello di riprendermi, dicendo che intendeva essere lui ad avere podestà sulla mia persona. Mio fratello, che non aveva ancora accettato che io diventassi monaca, si arrabbiò moltissimo con me, pensando che fossi consenziente e che volessi gettarmi nelle braccia di sant'Orsola nonostante lui e senza il consenso dei miei parenti. Ma ne ero ben lontana; più insistevano per farmi entrare in quel convento e più la cosa mi disgustava. Una voce segreta mi diceva: «Non ti voglio là, ma a Santa Maria»



27. La distolgono dalla Visitazione

Non mi permettevano di visitare le monache di Santa Maria, nonostante vi avessi molte parenti, e me ne dicevano cose che avrebbero allontanato anche caratteri molto determinati. Ma più tentavano di distogliermi e più le amavo e sentivo crescere in me il desiderio di entrare in quel convento a causa del dolce nome di Santa Maria, che mi faceva capire che li c'era quanto cercavo. Una volta, guardando un quadro del santissimo Francesco di Sales, mi parve che mi volgesse uno sguardo paternamente amoroso, chiamandomi figlia, e così cominciai a considerarlo mio padre. Non osavo riferire nulla di tutto ciò e non sapevo come liberarmi di mia cugina e di tutta la sua comunità, che mi dimostrava un affetto tale, che non sapevo come sottrarmi.



28. Richiamata improvvisamente in famiglia

Proprio quando si stava per aprire la porta del convento, ricevetti la notizia che mio fratello era gravemente malato e mia madre allo stremo. Questo mi costrinse a partire subito per recarmi da lei, senza che fosse possibile impedirmelo, sebbene fossi malata anch'io più di rimpianto che altro, vedendomi forzata a entrare in un convento dove credevo che Dio non mi chiamava. Viaggiai tutta la notte per dieci leghe; non appena arrivata, ripresi la mia dura croce su cui ora non indugerò, avendone già parlato diffusamente. Basti dire che le mie sofferenze raddoppiarono. Mi facevano vedere che mia madre non poteva vivere senza di me, poiché il poco tempo in cui ero rimasta lontana era la causa del suo male, e che avrei risposto a Dio della sua morte. Così mi dicevano certi ecclesiastici e ciò mi causava molto dolore, per via del tenero affetto che provavo per lei e di cui il demonio si serviva per farmi credere che tutto ciò sarebbe stato la causa della mia dannazione eterna.



29. L'immagine sofferente

D'altra parte, il mio divino Maestro insisteva moltissimo perché abbandonassi tutto e lo seguissi, e non mi dava tregua. M'infondeva un gran desiderio di conformarmi alla sua vita sofferente, a tal punto che le mie attuali sofferenze mi parevano nulla, cosa che mi faceva raddoppiare le penitenze. Qualche volta, gettandomi ai piedi del crocifisso, gli dicevo: «Mio caro Salvatore, come sarei felice se imprimeste in me la vostra immagine sofferente!». E Lui mi rispondeva: «E ciò che voglio, purché tu non mi opponga resistenza e vi contribuisca ». Per donargli qualche goccia del mio sangue, mi legavo le dita e vi piantavo degli aghi; in quaresima ogni giorno usavo la disciplina il più possibile per onorare i colpi di frusta della sua flagellazione. Ma per quanto a lungo mi battessi con la disciplina, non avevo abbastanza sangue da offrire al mio buon Maestro in cambio di quello che Lui aveva versato per mio amore. Poiché era sulla schiena che mi battevo, ci mettevo sempre un po' di tempo. Nei tre giorni di Carnevale avrei voluto farmi a pezzi, per riparare agli oltraggi che i peccatori facevano alla sua divina Maestà. Digiunavo più che potevo, vivendo di pane e acqua, e davo ai poveri quello che ricevevo per nutrirmi.



30. Ardore per la santa Comunione

La mia maggiore gioia nell'allontanarmi dal mondo era pensare che avrei potuto comunicarmi spesso, mentre allora potevo farlo raramente, e mi sarei ritenuta la creatura più felice se solo avessi potuto farlo spesso e passare notti intere, da sola, davanti al santo Sacramento. Li mi sentivo così sicura che, pur essendo estremamente paurosa, me ne scordavo non appena mettevo piede nel luogo delle mie delizie più dolci. E la vigilia della comunione, per la grandezza del gesto che stavo per compiere, cadevo in un silenzio talmente profondo che non riuscivo a parlare se non facendomi violenza. E dopo che mi ero comunicata, non avrei voluto bere, mangiare, vedere né parlare, tanto erano grandi la pace e la consolazione che sentivo. Finché mi era possibile mi nascondevo, per apprendere ad amare il mio sovrano Bene, che m'invitava a ricambiare il suo amore. Credevo che non avrei potuto amarlo, qualunque cosa facessi, se prima non avessi imparato l'orazione. Tutto quanto sapevo era lui ad avermelo insegnato e consisteva nell'abbandonarmi a tutte le sue sante emozioni quando potevo rinchiudermi con Lui in qualche luogo discosto. Ma mi lasciavano assai poco tempo libero, perché dovevo lavorare tutto il giorno con i domestici e, la sera, si scopriva che non avevo fatto nulla che potesse contentare le persone presso cui mi trovavo. Mi urlavano contro in tal modo che non avevo coraggio di mangiare, e mi ritiravo dove potevo godermi qualche attimo di pace, di cui avevo un gran desiderio. Mi lamentavo di continuo col mio divino Maestro, perché temevo di non poterlo compiacere in tutto ciò che facevo, tanto più che c'era una buona dose di volontà che trasformava in scelte le mie mortificazioni, mentre consideravo di valore solo quanto veniva fatto per obbedienza. «Ahimè, mio Signore», gli dicevo, «datemi qualcuno che mi conduca a Voi». «Non ti basto io?» mi rispose. «Cosa temi? Un figlio amato quanto io amo te, potrebbe mai perire tra le braccia di un Padre onnipotente?».



31. Confessione a un francescano durante il giubileo

Non sapevo cosa voleva dire aver una guida; tuttavia, avevo un gran desiderio di obbedire e la sua bontà permise che, durante un giubileo,7 venisse a casa un francescano, che vi rimase a dormire, così permettendoci di fare le nostre confessioni generali. Era da più di quindici giorni che scrivevo la mia, perché, nonostante mi confessassi non appena ne avevo l'occasione, mi pareva sempre troppo poco, a causa dei miei gravi peccati che mi producevano un dolore così grande, che non solo ne versavo molte lacrime, ma avrei pure voluto con tutto il mio cuore, nell'eccesso del dolore, rivelarli a tutti. I miei più grandi gemiti derivavano dal fatto che ero così cieca, da non riuscire a riconoscerli né a raccontarli tanto erano enormi. Per questo scrissi tutto ciò che riuscii a trovare nei libri che trattano della confessione, e mi accadde di scrivere cose che avevo addirittura orrore di pronunciare. Ma mi dicevo: « Forse l'ho commesso e lo ignoro o non me ne ricordo, ma è giusto che provi la vergogna di dirlo per soddisfare la giustizia divina». E pur vero che, se avessi commesso la maggior parte delle cose di cui mi accusavo, sarei stata inconsolabile e lo sarei stata a maggior ragione per queste confessioni, se il mio divino Maestro non mi avesse assicurato che avrebbe perdonato tutto a una volontà priva di malizia. Feci dunque questa confessione e il padre mi fece saltare molti fogli senza consentirmi di leggerli. Lo pregai di lasciar soddisfare la mia coscienza, perché ero una peccatrice più grande di quanto lui pensasse. Questa confessione mi lasciò una grande pace. Gli raccontai qualcosa del modo in cui vivevo e lui mi diede molti buoni consigli. Non osavo, però, dirgli tutto, perché credevo fosse una grande vanità, cosa che temevo molto essendovi assai portato il mio carattere. Pensavo che facevo ogni cosa per quell'unico motivo, non sapendo affatto discernere il sentimento dall 'acquiescenza. Questo mi faceva soffrire molto, perché temevo il peccato in quanto allontanava Dio dalla mia anima. Jl buon francescano mi promise certi strumenti di penitenza e gli raccontai che mio fratello mi costringeva a rimanere nel mondo, anche se da quattro o cinque anni desideravo farmi monaca. Lui ebbe gran scrupolo di accertarsene e mi domandò se avessi sempre avuto quel progetto e, avendogli io detto che sarei morta

piuttosto che cambiare, mi promise di far si che venissi soddisfatta.



32. Interventi per metterla presso le Orsoline

Così, quel francescano andò a negoziare la mia dote presso quella cugina che non cessava di starmi dietro. Mia madre e i miei parenti volevano che entrassi in quel convento e io non sapevo più come difendermi. Ma mentre lui ci andava, mi rivolsi alla santissima Vergine, mia buona maestra, con l'intercessione di san Giacinto, cui rivolsi molte preghiere e feci dire molte messe in onore della mia santa Madre, la quale mi disse amorevolmente consolandomi. «Non temere nulla, tu sarai la mia vera figlia e sarò sempre la tua buona Madre». Queste parole mi calmarono e non mi lasciarono alcun dubbio sul fatto che ogni cosa si sarebbe aggiustata, nonostante tutte le opposizioni. Mio fratello, di ritorno dal convento, mi disse: «Vogliono quattromila lire. Spetta a te disporre del tuo patrimonio come piu ti aggrada, perché non è ancora stato fissato nulla».



33. Andrà alla Visitazione. Paray l'attrae subito

Io gli risposi risolutamente: « Non se ne farà mai nulla. Voglio andare dalle monache di Santa Maria, in un convento lontano, dove non ci siano parenti né conoscenti; voglio essere monaca solo per amore di Dio. Voglio lasciare il mondo completamente e andare a nascondermi in un luogo lontano, per dimenticarlo ed esserne dimenticata e non vederlo mai più». Mi vennero proposti molti conventi tra cui scegliere, ma, non appena mi nominarono Paray, il mio cuore si riempì di gioia e vi acconsentì subito. Tuttavia, dovetti recarmi ancora a trovare quelle monache che mi avevano ospitata quando avevo Otto anni e ciò mi costò una battaglia difficile da sostenere. Quelle monache mi accolsero dicendo che ero figlia loro e domandandomi come mai volevo abbandonarle, visto che mi amavano così teneramente. Mi dissero che non volevano vedermi a Santa Maria, sapendo bene che li non sarei riuscita a resistere. Risposi che volevo provare e mi fecero promettere che sarei ritornata da loro qualora avessi cambiato idea. Sapevano bene, così dicevano, che mai avrei potuto abituarmi. E, nonostante tutto quanto potevano dir-mi, il mio cuore restava insensibile e si confermava nella sua decisione, ripetendo sempre: «Bisogna morire o vincere».



34. L'amata Paray. «È qui che ti voglio»

Tralascio tutti gli altri conflitti che ho dovuto sostenere, per mettermi a parlare del luogo della mia felicità, l'amata Paray, dove, non appena entrai in parlatorio, mi furono interiormente dette queste parole: « E qui che ti voglio». Dopodiché dissi a mio fratello che bisognava mettersi d'accordo, visto che non sarei andata in un altro posto. Ciò lo sorprese alquanto, avendomi condotta li solo per farmi conoscere le monache di Santa Maria e senza che io avessi precedentemente mostrato desiderio di voler diventare una di loro. Ma, adesso, non volli venir via finché ogni cosa non fu definita. In seguito mi parve di aver preso una nuova strada, tanto intensamente mi sentivo felice e in pace. A rendermi così felice era il fatto che chi non sapeva quanto stava accadendo, diceva: « Guardala, ha proprio i modi di una monaca». In effetti, mi vestito con più vanità di quanto avessi mai fatto e del pari mi divertivo, per la gran gioia che sentivo di appartenere tutta al mio sovrano Bene, il quale, mentre scrivo, mi rivolge spesso questo amorevole rimprovero: « Guarda, figlia mia, non potrai mai trovare un padre così amoroso col suo unico figlio, che si sia preso tanta cura di lui e cui abbia dato tante e così tenere testimonianze d'amore come quelle che io ti ho dato e che ti darò del mio amore, che ha usato tanta pazienza e cura nel coltivarti e nell'adattarti a modo mio fin dalla più tenera età, aspettandoti dolcemente, senza mai rifiutarmi, nonostante tutte le tue resistenze. Ricordati che, se mai tu dimenticassi la riconoscenza nei miei confronti e non mi attribuissi la gloria di ogni cosa, questo sarebbe il mezzo per far inaridire questa fonte inesauribile di ogni bene».



35. Dice addio al mondo ed entra in convento

Quando finalmente giunse il giorno di dire addio al mondo,9 sentii nel mio cuore una gioia e una fermezza mai provate prima e il mio cuore era come insensibile sia all'affetto sia al dolore che mi venivano testimoniati, soprattutto da mia madre. Non versai neanche una lacrima lasciandoli, perché mi sembrava di essere una schiava che viene liberata dalla sua prigione e dalle sue catene, per entrare nella casa del suo Sposo, prenderne possesso e godere in tutta libertà della sua presenza, dei suoi beni e del suo amore. Era questo che Lui diceva al mio cuore, che era fuori di sé. Non sapevo dare altra spiegazione alla mia vocazione per l'ordine di Santa Maria, se non quella che volevo essere figlia della santa Vergine. Confesso che nel momento in cui entrai, era un sabato, tutti i dolori che avevo patito e molti altri mi assalirono così violentemente, che mi pareva che, entrando in convento, il mio spirito si separasse dal mio corpo. Ma subito mi fu mostrato che il Signore aveva rotto il sacco della mia prigionia e che mi rivestiva del suo manto di letizia. 10 La gioia mi domina-va a tal punto, che gridavo: «E qui che Dio mi vuole». Sentii subito scolpito nel mio spirito che questa casa di Dio era un luogo santo, che tutte quelle che l'abitavano dovevano essere sante e che questo nome di Santa Maria significava che dovevo rimanere li a qualunque prezzo, abbandonandomi e rinunciando a tutto, senza riserve o restrizioni. A raddolcirmi tutto quanto mi sembrava più amaro in questo inizio, era il fatto che per alcuni giorni fui svegliata al mattino da parole che udivo perfettamente, anche se non le capivo: Dilexisti iustitiam col resto del versetto;11 e altre volte: Audifilia et vide,'2 eccetera. E ancora: «Hai riconosciuto il tuo sentiero e la tua strada, o mia Gerusalemme, casa d'Israele! E il Signore ti guiderà lungo tutte le strade e non ti abbandonerà mai». Dicevo tutto questo alla mia buona maestra senza capirlo. Guardavo lei e la superiora come se fossero state il mio Gesù Cristo in terra.



36. La tela in attesa del pittore

Poiché non avevo mai avuto una guida né una direzione e ignoravo cosa fosse, ero più che mai disposta ad assoggettarmi al fine di poter obbedire. Mi sembrava un oracolo tutto quanto mi veniva detto e pensavo che non avrei più avuto nulla da temere, ora che facevo ogni cosa per obbedienza. Quando pregai la maestra delle novizie di insegnarmi l'orazione, di cui la mia anima era molto desiderosa, lei si rifiutò di credere che, essendo entrata in religione all'età di ventitré anni, non sapessi ancora farla. Dopo che glielo ebbi assicurato, mi disse per la prima volta: «Va' a metterti di fronte al Signore come una tela in attesa del pittore». Avrei voluto che mi spiegasse cosa intendeva dire, perché non capivo, anche se non osavo dirglielo, ma mi fu detto: «Vieni, te lo insegnerò io». E non appena fui in preghiera, il mio sovrano Maestro mi mostrò che la mia anima era una tela in attesa, sulla quale Lui voleva dipingere tutti i tratti della sua vita dolorosa, spesa interamente nell'amore e nella privazione, nella separazione, nel silenzio e nel sacrificio, nella sua consumazione. Vi avrebbe dipinto tutto questo, dopo averla pulita di tutte le macchie che vi restavano, sia dell'attrazione per le cose terrene sia dell'amore per me stessa e per gli uomini, cui il mio carattere tendeva ancora molto.



37. Troppo ardore per la penitenza. E ricondotta all'obbedienza da san Francesco di Sales

In quel momento Lui mi spogliò di tutto e, dopo aver vuotato il mio cuore e messo la mia anima a nudo, accese un desiderio così ardente di amare e soffrire, che non mi dava mai tregua. M'inseguiva così da vicino, che trovavo pace solo pensando a come poterlo amare crocifiggendomi; la sua bontà èsempre stata così grande nei miei confronti, che mi ha sempre fornito i mezzi per farlo. Sebbene non nascondessi nulla alla mia maestra, avevo tuttavia il progetto di intensificare oltre le sue intenzioni il permesso di fare penitenza. Mi accingevo ad attuare il mio progetto, ma il mio santo Fondatore13 non mi permise di proseguire e mi riprese così fortemente, che mai più ebbi il coraggio di riprovare. Le sue parole sono rimaste incise per sempre nel mio cuore: «Ma come puoi pensare, figlia mia, di far piacere a Dio, superando i limiti dell'obbedienza? Questa, e non l'austerità, è il pilastro principale e il fondamento della congregazione».



38. Vestizione

Avevo superato la mia prova con un gran desiderio di vedermi interamente consacrata a Dio, il quale mi fece la misericordia di badare continuamente a me, per farmi ottenere questa felicità. Rivestita dunque del nostro santo abito,'4 il mio divino Maestro mi fece vedere che era il tempo del nostro fidanzamento e che questo gli conferiva un nuovo potere su di me, dal momento che m'impegnavo ad amarlo esclusivamente.

Poi mi fece capire che, come tutti gli amanti più appassionati, mi avrebbe fatto gustare durante questo periodo quanto c'era di più dolce nella soavità delle carezze del suo amore. Queste furono in effetti così eccessive, che spesso mi lasciavano fuori di me e mi rendevano incapace di agire. Mi ritrovavo, allora, in un abisso di confusione così profondo, che non osavo farmi vedere. Ne venivo rimproverata e mi si faceva intendere che non era questo lo spirito delle figlie di Santa Maria, la quale non vuole nulla di straordinario, e che, se non abbandonavo tutto ciò, non mi avrebbero accettata.



39. Cercano di farle seguire il sentiero comune

Tutto questo mi causò una gran desolazione e feci ogni sforzo, senza mai risparmiarmi, pur di allontanarmi da quel sentiero, anche se tutti i miei sforzi si rivelarono inutili. La nostra buona maestra vi si adoperava pure lei, senza che io lo notassi. Mi vedeva molto desiderosa di fare l'orazione e di imparare a farla, ma io non ci riuscivo secondo le regole che mi venivano date, perché mi rifacevo sempre alla regola datami dal mio divino Maestro, nonostante tutti gli sforzi per dimenticarmene e allontanarmi da Lui. Allora, la maestra mi affidò come ausiliaria a una ufficiale. Questa mi faceva lavorare durante l'orazione e, quando andavo a chiedere alla mia maestra di poter riprendere a pregare, mi rimproverava aspramente, dicendomi di farlo mentre lavoravo, fra un esercizio e l'altro del noviziato. Così io facevo, senza che ciò potesse distrarmi dalla dolce gioia e consolazione della mia anima; anzi, la sentivo aumentare sempre di più. Mi venne ordinato di andar ad ascoltare i punti dell'orazione al mattino, dopodiché dovevo spazzare là dove mi veniva indicato, fino all'ora di Prima, quando dovevo render conto della mia orazione o, piuttosto, di quella che il mio sovrano Maestro faceva in me e per me, perché non avevo altra possibilità in tutto ciò se non di obbedire. Ne provavo un piacere estremo, nonostante tutte le pene che il mio corpo, così facendo, pativa. E in seguito cantavo: « Più contraddicono il mio amore e più quest'unico bene m'infiamma. Mi tormentino pure notte e giorno, ma non me lo si può toglier dal cuore. Più sentirò dolore e più mi unirà al suo Cuore».



40. Avidità di umiliazioni e mortificazioni

Sentivo una fame insaziabile di umiliazioni e mortificazioni, anche se per natura mi ripugnavano vivamente. Il mio divino Maestro m'incitava senza sosta a chiederne e io finivo per trovarne alcune assai particolari. Infatti, sebbene mi rifiutassero quelle che cercavo, ritenendomi indegna di farle, me ne assegnavano altre che non mi sarei aspettata e che erano così contrarie alle mie inclinazioni, che ero costretta a dire al mio buon Maestro, nello sforzo violento che dovevo fare: «Ahimè! Soccorretemi, vi-sto che ne siete la causa». E Lui lo faceva, dicendomi: « Devi ammettere che non puoi fare nulla senza di me, ma non ti farò mancare il mio aiuto, purché il tuo nulla e la tua debolezza sprofondino davanti alla mia forza».



41. Lotta eroica contro una ripugnanza naturale

Racconterò solo una di queste occasioni di mortificazione superiori alle mie forze, attraverso cui mi fece provare davvero l'efficacia delle sue promesse. Si tratta di una cosa per la quale tutta la nostra famiglia provava una grande avversione naturale, al punto che mio fratello aveva ottenuto, nel contratto che regolava la mia entrata in convento, che non sarei mai stata costretta su questo punto. La cosa era stata concessa, essendo di per sé insignificante, ma dovetti adattarmi a farla, perché su ciò fui attaccata con tale veemenza, che non sapevo più cosa fare. Mi pareva mille volte più facile sacrificare la mia vita e, se non avessi amato la mia vocazione più della mia vita, l'avrei sacrificata piuttosto che costringermi a fare ciò che volevano farmi fare. Invano opponevo resistenza, perché il mio Sovrano voleva questo sacrificio, da cui dipendevano tanti altri. Rimasi tre giorni a combattere con tanta violenza, che facevo compassione, soprattutto alla mia maestra, davanti alla quale mi sentivo in dovere di fare quanto lei chiedeva, ma il coraggio mi mancava e morivo di dolore perché non riuscivo a piegare il mio carattere, e le dicevo: « Mi tolga la vita piuttosto che farmi venir meno al voto di obbedienza!». E lei: «Vattene», mi disse, «non sei degna di praticarla e ora ti proibisco di fare ciò che ti avevo ordinato». Questo mi parve troppo. Dissi subito: «Bisogna morire o vincere». Andai davanti al santissimo Sacramento, mio solito rifugio, dove rimasi per tre o quattro ore a piangere e a gemere, nella speranza di trovare la forza di vincermi: «Ahimè! Mio Dio, mi avete dunque abbandonata? Come, c'è ancora qualcosa nel mio sacrificio che deve essere consumato fino al completo olocausto?». Ma il mio Signore voleva spingere all'estremo la fedeltà del mio amore verso di Lui, come mi ha mostrato in seguito, e godeva nel vedere la sua indegna schiava esitare fra l'amore divino e le ripugnanze naturali. E alla fine fu Lui a vincere, perché, senza altra consolazione né armi che queste parole: «L'amore non deve avere riserve», andai a gettarmi alle ginocchia della mia maestra, chiedendole la misericordia di consentirmi di fare ciò che aveva voluto che facessi. Lo feci, sebbene mai abbia provato tanta ripugnanza. E una ripugnanza che ho provato ogni volta che mi è toccato rifarlo, ma non ho mai smesso di continuare a farlo per quasi otto anni.



42. Questo sacrificio le procura un nuovo torrente di grazie

Fu dopo questo primo sacrificio che tutte le grazie e i favori del mio Sovrano raddoppiarono e inondarono la mia anima, a tal punto che ero come costretta a dire spesso: « Interrompete, o mio Dio, questo torrente che mi travolge, oppure aumentate la mia capacità di riceverlo!». E qui tralascio tutte quelle predilezioni e profusioni del suo puro amore, così grandi che non saprei come esprimerle.



43. Si nutrono timori sulla sua vocazione. Nostro Signore si offre come suo garante

Questo mi provocò altri attacchi, mentre stavo per fare la mia professione di fede. Mi dicevano che si vedeva bene che non ero adatta a vivere secondo lo spirito della Visitazione, che teme questi sentieri soggetti all'inganno e all'illusione. Lo riferì subito al mio Signore, lamentandomene: «Ahimè! Mio Signore, sarà dunque a causa vostra che sarò respinta?». A ciò mi fu risposto: «Di' alla tua superiora che non ha nulla da temere accettandoti, che io rispondo per te e che, se mi crede solvente, sarò io la tua cauzione». Avendole riferito ciò, lei mi ordinò di chiedergli, per essere sicura, che mi rendesse utile alla santa religione con la pratica corretta di ogni osservanza. A questo, la sua amorevole bontà mi rispose: «Bene! Figlia mia, te lo concedo e ti renderò più utile alla religione di quanto lei può pensare,ma in un modo che solo io conosco. D'ora innanzi adatterò le mie grazie allo spirito della tua regola, alla volontà delle tue superiore e alla tua debolezza, sino a farti considerare sospetto tutto quanto ti allontanerà dalla pratica corretta della tua regola, che mi pare tu preferisca a tutto il resto. Inoltre, sarò lieto se preferirai la volontà delle tue superiore alla mia, quando t'impediranno di fare quel che io ti avrò ordinato. Lascia che facciano quel che vogliono di te. Io saprò trovare il modo di realizzare i miei disegni, anche con mezzi che ti sembrano opposti e contrari. E mi riservo solo la direzione del tuo intimo e,in particolare, del tuo cuore, che io non cederò mai ad altri avendovi fissato la sede del mio amore». La nostra madre superiora e la nostra maestra rimasero contente di tutto questo e gli effetti si manifestarono con tale evidenza, che non poterono più dubitare che quelle parole provenissero dalla Verità. Infatti, non sentivo alcun turbamento in me e mi dedicai interamente a obbedire, qualunque pena dovessi patire per farlo. La stima e il compiacimento erano per me un supplizio insopportabile e li consideravo un giusto castigo per i miei peccati, che mi parevano così grandi, che tutti i tormenti immaginabili mi sarebbero stati dolci da soffrire pur di espiarli e soddisfare la giustizia divina.



44. Prende i voti

Essendo dunque pervenuta al bene tanto desiderato della sacra professione, quel giorno il mio divino Maestro volle ricevermi in sposa in un modo che mi sento incapace di esprimere.18 Dirò solo che mi preparò e mi trattò come una sposa del Tabor. La cosa era per me più dura della morte, perché non mi vedevo affatto conforme al mio sposo, che immaginavo tutto sfigurato e straziato sul Calvario. Ma mi fu detto: «Lasciami fare ogni cosa a suo tempo, perché voglio che tu sia ora il gingillo del mio amore, che vuole giocare con te a suo piacimento, come fanno i bambini con i giocattoli. E necessario che ti abbandoni, cieca e senza resistenza, lasciandomi divertire a tue spese, e tu non ci perderai». Mi promise di non lasciarmi più, dicendomi: « Sii sempre pronta a ricevermi, perché ormai voglio abitare in te per poter conversare e intrattenermi con te».



45. Gratiftcata dalla misteriosa presenza del suo divino Maestro

D'allora innanzi mi gratificò con la sua presenza divina, in un modo che mai prima avevo sperimentato; mai prima avevo ricevuto una grazia così grande, che in seguito ha sempre manifestato i suoi effetti su di me. Lo vedevo, lo sentivo vicino a me, lo sentivo molto meglio che se fosse stato tramite i sensi del corpo, i quali mi avrebbero potuto distrarre e allontanare. Invece, a tutto ciò non potevo frapporre barriere, non essendovi alcuna mia partecipazione. Questo determinò in me un forte annientamento e mi sentii subito come caduta e annichilita nell'abisso del mio nulla, da cui non sono più uscita, per rispetto e omaggio a questa infinita grandezza, al cospetto della quale avrei voluto stare sempre con la faccia rivolta verso la terra o in ginocchio. Così ho poi fatto, nella misura in cui il lavoro e la mia debolezza me l'hanno consentito. Perché non mi concedeva requie se non ero in una posizione rispettosa, e io osavo sedermi solo quando ero in presenza di qualcuno, a causa della mia indegnità di cui mi ha sempre mostrato la grandezza, al punto che non osavo comparire in pubblico se non con grande turbamento. Desideravo che si conservasse ricordo di me solo per disprezzarmi, umiliarmi e ingiuriarmi, perché null'altro mi è dovuto. Questo unico amore della mia anima traeva molto piacere dal fatto che venissi trattata così e, malgrado la sensibilità del mio carattere orgoglioso, non mi concedeva altra soddisfazione, allorché ero con altri, che quella di mettermi in condizione di essere contraddetta, umiliata, disprezzata, e voleva che tutto questo fosse il mio cibo delizioso, che mai mi ha fatto mancare e che per Lui non era mai abbastanza. Anzi, faceva Lui stesso ciò che altre creature o io per prima mancavamo di fare. Ma, mio Dio, più intensamente sentivo il gusto di questo cibo quando eravate Voi a intervenire, e sarebbe troppo lungo da raccontare.



46. Le due santità dell'amore e della giustizia

Mi onorava con i suoi incontri talvolta come un amico, talaltra come lo sposo più appassionato o come un padre tutto preso d'amore per il suo unico figlio e in mille altri modi, di cui non racconterò gli effetti che producevano in me. Dirò solo che mi mostrò in Lui le due santità: una di amore e l'altra di giustizia, entrambe altissime, che sarebbero state esercitate continuamente su di me. La prima mi avrebbe fatto soffrire una specie di purgatorio molto doloroso, per confortare le anime sante che vi erano prigioniere e alle quali Lui avrebbe permesso di rivolgersi a me. E quanto alla sua santità di giustizia, così terribile e spaventosa per i peccatori, mi avrebbe fatto sentire il peso del suo giusto rigore, facendomi soffrire per i peccati e « in particolare per le anime che mi sono consacrate, per le quali ti farò vedere e sentire in seguito cosa dovrai patire per amore mio».



47. Si sforza di ritrarsi dal percorso straordinario e se ne lamenta con Nostro Signore

Dio mio, Voi che conoscete la mia ignoranza e la mia incapacità nell'esprimere tutto quanto è accaduto tra la vostra sovrana Maestà e la vostra infima e indegna schiava, per l'effetto sempre operante del vostro amore e della vostra grazia, datemi il modo di poter dire qualche piccola cosa di ciò che è più intellegibile e sensibile, affinché io possa mostrare fino a quale eccesso di liberalità è giunto il vostro amore nei confronti di un oggetto così miserabile e indegno. Non nascondevo nulla alla mia superiora e alla maestra, sebbene spesso non comprendessi io stessa ciò che dicevo loro; e poiché loro mi fecero capire che questi percorsi straordinari non erano consoni alle figlie di Santa Maria, provai un forte dolore e, di conseguenza, non c'è sforzo che non abbia fatto per ritrarmi da quel percorso. Ma invano, perché quello Spirito aveva già preso un tale possesso del mio spirito, che non potevo più disporne, come di ogni altra mia potenza interiore, che sentivo tutta assorbita in Lui. Facevo ogni sforzo per applicarmi a seguire il metodo d'orazione che mi veniva insegnato con le altre pratiche, ma nel mio spirito non rimaneva nulla. Potevo anche leggere i miei punti d'orazione: tutto svaniva e riuscivo ad apprendere e a ricordare solo ciò che il mio divino Maestro m'insegnava, cosa che mi ha fatto soffrire molto. Perché le mie superiore facevano di tutto per distruggere le sue azioni in me e mi ordinavano di fare altrettanto. Combattevo contro di Lui per quanto potevo, seguendo esattamente tutto ciò che l'obbedienza mi ordinava per allontanarmi dalla sua potenza, che rendeva la mia inutile. Mi lamentavo con Lui: «Cosa! » gli dicevo. «O mio sovrano Maestro! Perché non mi lasciate sul sentiero comune delle figlie di Santa Maria? Mi avete condotta nella vostra santa casa al fine di perdermi? Concedete quelle grazie straordinarie ad anime scelte, che vi corrisponderanno meglio e vi glorificheranno più di me, che, invece, vi oppongo solo resistenza. Io non desidero altro che il vostro amore e la vostra croce e questo mi basta per essere una buona monaca, che è tutto quanto desidero». Mi fu risposto: « Combattiamo, figlia mia, ne sono contento, e vedremo chi vincerà, il Creatore o la sua creatura, la forza o la debolezza, l'onnipotente o l'impotente. Ma chi vincerà, sarà vincitore per sempre». Questo mi gettò in un'estrema confusione, durante la quale Lui mi disse: « Sappi che non mi sento affatto offeso da tutti questi conflitti e dinieghi che mi opponi in nome dell'obbedienza, per la quale io ho dato la mia vita. Ma voglio insegnarti che sono il padrone assoluto dei miei doni e delle mie creature, e che nulla potrà impedirmi di portare a compimento i miei disegni. Ecco perché voglio non solo che tu faccia ciò che le tue superiore ti diranno, ma pure che tu non faccia nulla di ciò che ti ordino senza il loro consenso. Io amo l'obbedienza e, senza di questa, non mi si può piacere». Questo piacque alla mia superiora, che mi disse di abbandonarmi alla sua potenza, cosa che feci sentendo subito grande gioia e pace nella mia anima, la quale pativa una crudele tirannia.



48. Nostro Signore le chiede un nuovo abbandono di se stessa

Lui mi chiese, dopo la santa comunione, di rinnovargli il sacrificio della mia libertà e di tutto il mio essere, cosa che feci con tutto il cuore. «A patto», gli dissi, «o mio sovrano Maestro, che Voi non facciate mai apparire in me nulla di straordinario, tranne ciò che più possa causarmi umiliazione e abiezione di fronte agli uomini e distruggermi nella loro stima. Ahimè, mio Dio, sento la mia debolezza e temo di tradirvi e di non sapere far si che i vostri doni siano al sicuro con me». «Non temere nulla, figlia mia», mi disse, «vi metterò ordine io e ne sarò il guardiano, rendendoti incapace di oppormi resistenza». «Come! Mio Dio, mi lascerete vivere senza più soffrire?». Mi fu subito mostrata una grande croce, di cui non potevo vedere la fine, ed era tutta coperta di fiori.



49. I fiori e le spine della croce. Tre desideri imperiosi

«Ecco il letto delle mie caste spose, dove ti farò consumare le delizie del mio puro amore. A poco a poco questi fiori cadranno e ti rimarranno solo le spine, ora nascoste per via della tua debolezza. Queste ti faranno sentire così acutamente le loro trafitture, che avrai bisogno di tutta la forza del mio amore per sopportarne il dolore». Queste parole mi rallegrarono molto, perché pensavo che non avrei mai avuto abbastanza dolori, umiliazioni e disprezzo capaci di soddisfare l'ardente sete che ne avevo, e che non avrei potuto provare una sofferenza peggiore di quella che provavo perché non soffrivo a sufficienza, dal momento che il suo amore non mi lasciava requie né di giorno né di notte. Queste dolcezze mi affliggevano. Volevo la croce tutta pura e avrei voluto vedere il mio corpo sempre provato dalle austerità o dalle fatiche, cui mi applicavo per quanto le mie forze potevano sopportare. Infatti, non mi era possibile vivere un solo momento senza sofferenza e più soffrivo e più accontentavo questa santità d'amore che aveva acceso tre desideri nel mio cuore, i quali mi tormentavano senza tregua: il primo era di soffrire, il secondo di amarlo e comunicarmi e il terzo di morire per unirmi a lui.

 
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