Amiamo Dio con Gesù e Maria

Omelie del Santo Curato d'Ars, Le verità eterne

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 29/11/2014, 14:41
Avatar

Domenico-89

Group:
Amministratore
Posts:
43,346
Location:
Napoli

Status:





Le verità eterne

“Ricordati della tua fine e non peccherai in eterno”

(Sir 7,40)

Fratelli miei bisogna che questa verità sia molto potente e salutare, dal momento che lo Spirito Santo ci assicura che se la meditiamo seriamente non peccheremo mai. Ciò non è difficile da comprendere: infatti, fratelli miei, chi è colui che potrebbe attaccarsi ai beni di questo mondo al pensiero che fra poco non esisterà più? Da Adamo fino ad ora nessuno si è portato via qualcosa da quaggiù, e anche per noi sarà lo stesso. Chi è colui che potrebbe essere tanto occupato negli affari di questo mondo, se fosse ben persuaso che il tempo che trascorre sulla terra non gli è donato se non per impegnarsi a guadagnare il cielo? Nessuno che si sia impresso nella mente, o meglio nel suo cuore, che la vita del cristiano deve essere vissuta nelle lacrime e nella penitenza, potrebbe ancora dedicarsi ai piaceri e alla pazza gioia del mondo. Chi, essendo convinto che potrebbe morire in ogni istante non si terrebbe sempre pronto? Ma voi mi potreste obiettare: come mai queste verità ultime che hanno convertito tanti peccatori ci impressionano tanto poco? Vi rispondo, fratelli miei, che è perché noi non le meditiamo seriamente; il nostro cuore è troppo occupato nelle cose materiali che possono soddisfare le sue cattive inclinazioni; inoltre il nostro spirito essendo ingombrato per le preoccupazioni degli affari terreni, perde di vista le grandi verità che dovrebbero costituire la nostra unica occupazione in questo mondo. Se mi domandaste perché lo Spirito Santo ci raccomanda con tanta insistenza di non perdere mai di vista queste verità, eccovene la ragione: il motivo è che non c’è nulla che sia più adatto a distaccarci dai beni di questo mondo, niente di più potente per farci sopportare le miserie della vita in spirito di penitenza, o per meglio dire, nulla, più di queste verità ci fa distaccare da tutte le cose create e ci fa aderire a Dio solo.

Oh! Fratelli miei, non dimentichiamo mai queste grandi verità, e cioè: che la nostra vita non è che un sogno; che la morte ci segue molto da vicino, e che ben presto essa ci toccherà in sorte; che saremo un giorno giudicati molto severamente, e che dopo questo giudizio la nostra sorte sarà fissata per sempre. Vedete, fratelli miei, quanto Gesù Cristo desidera salvarci: a volte ci si presenta come un bambino povero nella sua mangiatoia, coricato su una manciata di paglia che egli inumidisce con le sue lacrime; altre volte come un criminale, legato, incatenato, coronato di spine, flagellato, che crolla sotto il peso della sua croce, e, infine, che muore in mezzo ai supplizi, per amore nostro. Anche se ciò non è sufficiente a commuoverci, ad attirarci a lui, ci induce però ad annunciare che un giorno ritornerà, rivestito con tutto lo splendore della sua gloria e della maestà del Padre suo, per giudicarci senza più grazia né misericordia. Allora egli svelerà, davanti al mondo intero, sia il bene che il male che noi abbiamo fatto in ogni istante della nostra vita. Ditemi, fratelli miei, se noi pensassimo bene a tutto ciò, ci sarebbe bisogno d’altro, per farci vivere e morire da santi? Ma Gesù Cristo, per farci comprendere cosa dobbiamo fare per andare in cielo, ci dice nel vangelo, che la gente del mondo conduce una vita completamente opposta a quella di chi appartiene interamente a lui. I buoni cristiani, ci dice, fanno consistere la loro felicità nelle lacrime, nella penitenza e nel disprezzo; mentre la gente del mondo fa consistere la felicità nei piaceri, nella gioia e negli onori della terra, rifuggendo da tutto il resto. Sicché, ci dice Gesù Cristo, la vita degli uni è del tutto opposta a quella degli altri, ed essi non andranno mai d’accordo, né nel modo di vivere né nel modo di pensare. E questo è molto facile da capire.

Io penso che sono quattro le cose che fanno la felicità di un buon cristiano: la brevità della vita, il pensiero della morte, il giudizio e l’eternità. E sappiamo che proprio queste quattro cose, costituiscono, invece, la disperazione di un cattivo cristiano, cioè di una persona che dimentica il suo fine ultimo, per occuparsi solo delle cose presenti. Dico che la brevità della vita è di conforto a un buon cristiano, poiché egli vede che le sue pene, le sue disgrazie, le sue persecuzioni, le sue tentazioni, la sua lontananza da Dio, non saranno lunghe. Quale gioia per noi, fratelli miei, quando pensiamo che lasceremo tra poco tempo questo mondo, dove siamo sempre nel rischio di offendere il buon Dio, che è un Salvatore così caritatevole, che ha tanto sofferto per noi. Ah! fratelli miei, con questo pensiero, potremmo noi mai attaccarci alla vita che è piena di tante miserie? Riguardo al pensiero della morte, poi, san Girolamo gridò: “che bella notizia!, - allorché vennero a dirgli che stava per morire – bella notizia che mi unirà al mio Dio, per sempre!”. E aveva ben ragione, fratelli miei, visto che la morte è lo strumento di cui il buon Dio si serve per liberarci.

Riguardo al giudizio, io penso che, senza neppure minimamente gettare il cristiano nella disperazione, non fa che consolarlo, perché egli non si troverà davanti un giudice severo, ma il suo padre e il suo salvatore. Sì, suo padre, che lo attende per aprirgli le viscere della sua misericordia, al fine di riceverlo nel suo seno paterno; il suo salvatore, che manifesterà davanti all’universo intero, tutte le sue lacrime, le sue penitenze, e tutte le buone opere che ha compiuto durante tutti i giorni della sua vita.

Il pensiero dell’eternità, poi, porta al colmo la sua gioia. Non soltanto la felicità che vi si gode è infinita nella sua dolcezza e nella sua grandezza, ma anche, l’eternità gli assicura che non finirà mai. Questo solo pensiero, fratelli miei, è sufficiente a incoraggiarci, per servire il buon Dio e per sopportare con pazienza tutte le miserie della vita, perché, una volta che saremo in cielo, non ne usciremo mai più! Ah! fratelli miei, tutte le miserie di questo mondo passano, tutto ciò non dura che un momento, mentre la ricompensa durerà per sempre. Coraggio! ci dice san Paolo, siamo ormai vicini alla meta.

Ma per un cristiano, fratelli miei, che ha perso di vista il pensiero del suo fine ultimo, non è la stessa cosa: Anzitutto, la brevità della vita è una sciagura e un’amarezza che lo turba e lo rode anche nel bel mezzo dei suoi piaceri. Quanto, poi, al pensiero della morte, occorre fare tutto ciò che si può per allontanarlo. Tutto quello che gliela ricorda, lo spaventa; rimedi vari e medicine, sono chiamati in suo soccorso, al minimo sentore che essa si avvicina. Egli pensa sempre di poter trovare la felicità quaggiù. Ma, purtroppo, si sbaglia: questo povero infelice, abbandonando il buon Dio, abbandona proprio ciò che poteva renderlo felice; al momento della morte, sarà costretto a confessare, di aver trascorso tutta la vita per cercare un bene che non è mai riuscito a trovare. Ahimè! fuori di Dio, solo molte pene, molte sofferenze, nessuna consolazione, e nessuna ricompensa! Prima di partire da questo mondo, avrà il suo bel gridare, come quel re di cui ci parla la Scrittura, nell’Antico Testamento, il quale, vedendosi sul punto di dover lasciare la vita e tutti i suoi beni, diceva: “Ah!, devo dunque morire! Devo lasciare le mie aiuole e i miei bei giardini, per andare in un paese ignoto!”. Ahimè! la morte che è la consolazione del giusto, diviene la sua disperazione; bisogna morire, e non ci si è mai pensato! Riguardo poi al giudizio, oh! Che triste pensiero, bisogna andare a rendere conto a Dio, di una vita che non è altro che una catena ininterrotta di peccati, e… nessuna buona opera che possa rassicurarlo. Al momento di partire da questa vita, egli vede chiaramente che il buon Dio lo aveva posto sulla terra soltanto per servirlo e per salvare la sua povera anima, mentre non ha fatto altro che oltraggiarlo e perdere così la sua bella anima. Egli vede, capisce benissimo, in questo momento, che il buon Dio non voleva affatto che si perdesse, ma voleva assolutamente salvarlo, e che sono i suoi peccati che Lo costringono a condannarlo. Quanto poi all’eternità, egli vede che fra qualche minuto sarà gettato nell’inferno. Dio mio, che disperazione! Se il pensiero dell’eternità consola tanto un cristiano, nella certezza che la sua felicità non avrà mai fine, questo medesimo pensiero, completa la disperazione di questo povero infelice. Ah! povero disperato, deve iniziare il suo inferno per non finirlo mai più! Entrando nell’inferno, vede l’infelice Caino che brucia fin dall’inizio del mondo e che non ha meno tempo da trascorrervi, di lui che ci sta entrando adesso. Allora, i demoni stessi che lo hanno spinto a peccare, per rendere il suo supplizio ancora più violento, gli metteranno davanti tutte le grazie che il buon Dio aveva meritato per lui, con la sua morte e con la sua santa Passione. Egli comprende che, già quando stava in terra, preoccupandosi di più della sua salvezza, sarebbe stato più felice. Egli vede quanto Gesù Cristo era buono, per coloro che volevano amarlo.

Ma, malgrado tutte queste riflessioni, che per lui saranno come altrettanti inferni, bisognerà rassegnarsi a bere, per tutta l’eternità, a piena bocca, il fiele del furore di Colui che doveva essere tutta la sua felicità, se egli si fosse deciso ad amarlo. Ah! triste meditazione che questo cristiano farà per tutta l’eternità, dicendo a se stesso: ho perso il mio tempo, ho rovinato la mia anima, ho perduto Dio, ho rifiutato il cielo, ed ora mi aspetta una eternità di sofferenze! Ah! Cielo! che disgrazia! Ecco, fratelli miei, cosa succede a chi perde di vista il suo fine ultimo.

Ma voi forse mi obietterete: tu dici bene che c’è una eternità infelice per i peccatori, ma perché non ce lo dimostri? Sarebbe molto facile, fratelli miei; ma significherebbe fare un affronto a dei cristiani. Sarebbe molto meglio per voi, se potessi convincervi della necessità che avete, di fare tutto il possibile per evitare quei tormenti. Se volete, ve ne dirò qualche parola, sorvolando, visto che siete così ignoranti e così ciechi, da nutrire qualche dubbio sull’argomento. Ascoltatemi bene.

Ecco cosa ci dice lo Spirito Santo per bocca del profeta Daniele: ci sono due categorie di uomini, ci sono i giusti e i peccatori. Gli uni muoiono in grazia di Dio, gli altri in odio a Lui. Tutti compariranno un giorno davanti al buon Dio, tutti si sveglieranno dal sonno della morte; tutti saranno giudicati e riceveranno una sentenza senza appello, dopo la quale, gli uni non avranno più nulla da temere, gli altri più nulla da sperare. Ma la differenza che sarà trovata tra gli uni e gli altri sarà molto grande, poiché gli uni si sveglieranno per andare a godere una gioia eterna, gli altri, per essere coperti di obbrobri, inabissati in ogni genere di pena, e questo, per tutta l’eternità. Lo Spirito Santo ci indica in ogni parte della Scrittura, quale sarà la sorte dei peccatori nell’altra vita. Egli ci dice: “Il Signore spargerà il fuoco sulla loro carne, affinché ardano e siano eternamente divorati”. Il santo re Davide dice che “il peccatore che durante la vita ha disprezzato il suo Dio, sarà gettato nell’inferno”. Se desiderate procedere oltre, san Giovanni Battista, predicando ai Giudei il battesimo di penitenza, per prepararli alla venuta del Messia, indica loro, ancora, quale sarà la sorte del peccatore nell’altro mondo, dicendo che Gesù Cristo verrà un giorno e separerà il buon grano dal grano cattivo e dalla paglia: il buon grano, che sono i giusti, il Padre eterno li porrà nel suo granaio, che è il cielo; il grano cattivo e la paglia, che sono i peccatori, saranno legati in fasci e saranno gettati nel fuoco, che è l’inferno; là vi sarà pianto e stridore di denti. Gesù Cristo, ci dice nel vangelo, che il ricco cattivo muore, e che l’inferno è il suo sepolcro, dove soffre infiniti mali, Lazzaro, invece, è trasportato dagli angeli nel seno di Abramo, cioè nel cielo. In un altro passo, parlando del peccatore ci dice: “Và, maledetto, nel fuoco che è stato preparato per il demonio e per coloro che lo hanno imitato”.

Ma, fratelli miei, ciò che sto dicendo è superfluo. Non c’è bisogno che io vada a trovare prove così grandi, per mostrarvi che c’è una vita felice e una infelice, a seconda che avremo vissuto bene o male. E’ sufficiente che apriate il vostro catechismo, e lì troverete tutto quello che dovete credere, sapere e fare. Infatti, fratelli miei, quale è stata la prima domanda che vi è stata fatta, quando siete venuti in chiesa per farvi istruire? Non è stata forse questa: chi vi ha creato e conservato fino al presente? E voi non avete risposto, molto semplicemente, che è stato Dio? Poi vi è stato chiesto: perché Dio vi ha creato? E voi avete risposto: per conoscerlo, amarlo, servirlo, e in questo modo guadagnare la vita eterna. Ecco, dunque, quale deve essere tutta l’occupazione di un buon cristiano, e tutta la sua felicità. Deve imparare a conoscere Dio, cioè, a conoscere quali siano i mezzi più sicuri che egli deve usare, per piacere al buon Dio, evitando il male, e facendo il bene. Sto dicendo, fratelli miei, che noi dobbiamo amare il buon Dio.

Ah! fratelli miei, non dobbiamo cadere in inganno; se non ameremo il buon Dio in questo mondo, non avremo mai e poi mai la felicità di amarlo nell’altro. Non vi è stato detto forse, quando siete venuti al catechismo, che se non vi impegnate a salvarvi l’anima, per voi tutto è perduto? Anche se starete a piangere per tutta l’eternità, non ne caverete un bel nulla! Non vi è stato forse assicurato, facendovi distinguere il bene dal male, che un solo peccato mortale, potrebbe portarvi alla dannazione eterna? E non vi è stato detto che il peccato è l’unico male che dovete temere, perché solo esso ha il potere di separarci da Dio per tutta l’eternità, gettandoci nell’inferno? Non vi è stato forse detto, che tutti noi un giorno moriremo, e che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo per ognuno di noi? Non vi è stato forse ricordato che nell’istante in cui moriremo, saremo giudicati con ogni rigore, e che tutto ciò che abbiamo fatto durante la nostra vita, sia in bene che in male, ci accompagnerà davanti al tribunale di Dio? Non avevo, dunque, ragione nel dirvi che se conoscessimo tutto quello che è scritto nel nostro catechismo, avremmo la scienza necessaria per salvarci? Allorché siete venuti qui, nella vostra infanzia, non vi è stato forse detto che, dopo questo tempo che finirà ben presto, ne verrà un altro che non finirà mai più, e che racchiuderà ogni sorta di bene o di male, a seconda che ci saremo comportati bene o male? Ditemi, fratelli miei, se tutte queste verità fossero incise nei nostri cuori, potremmo vivere, senza amare il buon Dio, e senza fare tutto ciò che dipende da noi, per evitare tutti questi malanni?

Ahimè! fratelli miei, queste verità hanno fatto tremare i santi, hanno fatto convertire grandi peccatori, e hanno spinto i penitenti a usare grande rigore nelle loro penitenze e nelle loro macerazioni!

Leggiamo nella storia che sant’Ambrogio, scrivendo all’imperatore Teodosio, che aveva commesso un certo peccato, più per essere stato colto di sorpresa che per malizia, gli diceva: “Ho avuto una visione nella quale il buon Dio mi ha mostrato che, se ti avessi visto venire in chiesa, avrei dovuto chiuderti la porta in faccia, poiché il tuo peccato ti aveva reso indegno di entrarvi”. Dopo la lettura di questa lettera, l’imperatore cominciò a spandere lacrime in abbondanza; tuttavia, come era suo costume, andò a presentarsi alla porta della chiesa, nella speranza che il vescovo si sarebbe lasciato commuovere dalle sue lacrime e dal suo pentimento. Ma il vescovo, ben lontano dal lasciarsi piegare, come i suoi ministri vili e compiacenti, vedendolo avvicinarsi alla chiesa, gli intimò di fermarsi, secondo l’ordine ricevuto da Dio, poiché non era degno di entrare nella casa di Colui che aveva osato oltraggiare, e gli ordinò di cominciare a espiare il suo peccato”. L’imperatore rispose: “E’ vero che sono un peccatore e che sono indegno di entrare nel tempio del Signore, ma il buon Dio vede il mio pentimento. Anche Davide peccò, ma poi Dio gli ha perdonato”. - “Ebbene!, gli rispose sant’Ambrogio, come hai imitato Davide nel suo peccato, così imitalo nella sua penitenza”. L’imperatore, senza nulla replicare a queste parole, si ritira; le lacrime colano dai suoi occhi; il suo cuore si lacera per il dolore; si toglie di dosso gli abiti regali e indossa abiti poveri e strappati, si getta con la faccia a terra, abbandonandosi a tutta l’amarezza del dolore e facendo risuonare per il palazzo le grida più laceranti. I suoi sudditi, vedendolo in una così grande desolazione, non hanno il coraggio né di guardarlo, né di rivolgergli la pur minima parola per consolarlo; si accontentano di mescolare le loro lacrime a quelle del loro padrone; il suo palazzo si trasforma in un luogo di dolore, di lacrime e di penitenza. Egli (l’imperatore) non si accontentò di confessare il suo peccato nel tribunale della penitenza, ma lo confessò pubblicamente, affinché una tale umiliazione attirasse su di lui la misericordia di Dio. Era mortificato nel vedere che i suoi sudditi potevano entrare in chiesa, mentre lui ne era escluso. Se gli si permetteva di partecipare alla preghiera in pubblico, vi prendeva parte nell’atteggiamento più umiliante: non stava né in piedi, né in ginocchio, come gli altri, ma prostrato con la faccia a terra, inondandola di lacrime. Si strappava i capelli per mostrare la grandezza del suo dolore, raccoglieva delle pietre con le quali si feriva il petto, implorando misericordia. Per tutta la vita conservò il ricordo del suo dolore, e i suoi occhi non cessavano di spargere lacrime.

Ma se voi mi chiedeste: quale fu la causa di tante lacrime, di un così grande dolore e di una penitenza così straordinaria? Ahimè! fratelli miei, vi risponderei che fu il solo pensiero che un giorno Dio lo avrebbe citato in giudizio per il suo peccato, davanti a quel tribunale dove sarebbe stato giudicato senza più misericordia. Ahimè! fratelli miei, se queste grandi verità fossero ben impresse nei nostri cuori, potremmo noi vivere senza lavorare continuamente per placare la giustizia di Dio, che i nostri peccati hanno tanto esasperato? Infatti, fratelli miei, chi è colui che, pensando che non si trova in questo mondo se non per salvarsi l’anima, potrebbe ancora cercare di ingannare o fare torto al proprio prossimo?

Chi potrebbe cercare di arricchirsi con mezzi illeciti, se fosse ben convinto che tutti quei beni che accumula, danneggeranno la sua anima? Tra breve tempo dovrà lasciarli ai suoi ereditieri, che forse sono ingrati, che li dissiperanno in dissolutezze, senza, forse, fare la minima preghiera in suffragio della sua anima. Ma, quand’anche essi li useranno per compiere opere buone, queste non potranno strapparvi dall’inferno, se voi, (quando eravate in vita) avete lasciato la vostra anima nel peccato. Chi potrebbe ancora abbandonarsi ai divertimenti del mondo, che sono tanto fugaci e tanto funesti per la nostra salvezza, perdendo di vista l’affare più grande della vita, cioè guadagnarsi l’eternità?

Chi è colui che, essendo ben persuaso che un solo peccato mortale potrebbe portarlo alla dannazione eterna, avrebbe il coraggio di commetterlo? Oppure, chi, avendo avuto la disgrazia di commetterlo, potrebbe restare ancora in uno stato tanto deplorevole, in cui la mano di Dio può colpirlo da un momento all’altro, e non si affretterebbe invece a fare ricorso al sacramento della penitenza, unico rimedio che il buon Dio ci offre, nella sua misericordia? Chi è colui, fratelli miei, che pensando che potrebbe morire in qualunque momento, non vivrebbe ogni giorno, tremante, sull’orlo dell’abisso? Chi è colui che si attaccherebbe tanto fortemente alla vita, al pensiero che forse domani non esisterà più? Chi, fratelli miei, pur essendo certo che nell’istante in cui andrà a comparire davanti a Dio, sarà giudicato con ogni rigore, non temerebbe continuamente di dover subire un giudizio, così temibile perfino per i più giusti? Chi è colui che, essendo certo che dopo questa vita mortale ne avremo un’altra felice o infelice, a seconda che avremo vissuto bene o male, non si darebbe da fare al massimo per guadagnarsi quei beni che il buon Dio ha preparato per coloro che lo hanno amato? Ah! fratelli miei, diciamo ancora meglio, chi è colui che, meditando a fondo queste grandi verità, non vivrebbe e non morirebbe da santo? Anima mia, gridava un santo penitente, ricordati dei tuoi peccati e di queste grandi verità; non dimenticare mai da dove vieni, dove vai, da chi hai ricevuto l’essere, a chi devi donare il tuo cuore, che cosa hai portato in questo mondo e che cosa porterai via, uscendo dal tuo esilio. Ahimè! fratelli miei, noi, fino ad ora, non abbiamo mai considerato seriamente tutte queste cose. Ahimè! noi aspettiamo, per pensarci, il momento in cui le nostre lacrime e le nostre penitenze resteranno ormai senza frutto. Come saremmo felici, fratelli miei, se queste grandi verità potessero dissipare le tenebre che ci accecano, riguardo al grande affare della nostra salvezza! Se avessimo la fortuna di essere fortemente convinti che noi siamo stati soltanto un puro nulla e dei miserabili vermi di terra, che siamo solo peccatori e pieni di colpe, che un giorno saremo eternamente felici, se evitiamo il peccato, ed eternamente infelici, se seguiamo le nostre cattive inclinazioni! Ahimè! fratelli miei, forse non abbiamo a nostra disposizione che pochi istanti ancora, per prepararci al terribile passaggio.

Rientriamo nei nostri cuori, fratelli miei, per non occuparci che delle grandi verità, le sole degne della nostra attenzione, le sole capaci di convertirci. Fratelli miei, lasciamo passare ciò che passa e perisce insieme a noi; attacchiamoci a ciò che è eterno e permanente. Diciamo a tutte le cose di quaggiù, come facevano tutti i santi: No! No! Voi per me non contate più nulla, visto che forse domani, o voi o io, non esisteremo più; lasciatemi approfittare del poco tempo che mi resta, per fare in modo che il buon Dio si degni di perdonarmi. Ah! no, no, io non voglio vivere che per Dio, disprezzando i beni che periscono. Ah! questi santi hanno ben compreso queste grandi verità! E potremmo dire che ne hanno fatto l’unica loro occupazione.

Leggiamo nella storia della Chiesa che un gran numero di santi, tutti penetrati delle verità eterne e del nulla di questo mondo, lo hanno disprezzato e abbandonato, per andare a chiudersi nei monasteri o ritirarsi nel fondo delle foreste, per poter meditare queste verità con maggiore agio. E là, nelle grotte spaventose e oscure, lontani dai rumori e dai tumulti del mondo, non si occupavano d’altro se non di queste verità immutabili. Penetrati da questi grandi sentimenti, esercitavano sui loro corpi tutti i rigori della penitenza, che il loro amore per Dio gli ispirava. La preghiera, il digiuno e la disciplina, riducevano i loro corpi in uno stato degno della più grande compassione. Una gran parte di loro non mangiava che qualche radice che trovavano rimuovendo la terra. Se mangiavano qualche pezzetto di pane, lo ammollivano con le loro lacrime, vedendosi costretti a dare un po’ di sollievo a quel corpo che era più morto che vivo. In questo modo trascorrevano la loro vita, che non era altro che un continuo martirio. E allorché, dopo venti, trenta, quaranta o ottant’anni di penitenza, arrivavano alla fine della loro corsa, ancora tutti spaventati, si dicevano, gridando, gli uni gli altri: Pensate, amici miei, che Dio avrà finalmente pietà delle nostre anime e che si lascerà piegare? Che vorrà ancora accordarci il perdono dei nostri peccati? Pensate che potremo ancora trovare grazia davanti a questo giudice che allora sarà senza misericordia? Ah! chi pregherà per noi, per addolcire la severità del nostro giudice? Ah! potremo ancora sperare di aver parte un giorno alla felicità dei figli di Dio?

Sì, fratelli miei, noi vediamo che i santi penitenti, dopo aver avuto la fortuna di conoscere che cos’è veramente il peccato, e come il buon Dio lo punisce severamente nell’altra vita, non mettevano limiti alla loro penitenza. San Girolamo ci racconta che una dama romana, avendo abbandonato il marito, a causa dei vizi a cui era dedito, credette che, essendosi separata secondo la legge, poteva, senza peccare, rimaritarsi legittimamente con un altro uomo. San Girolamo ci dice che un giorno egli la rese consapevole del suo peccato; ella allora fu colta da un tale dolore, coperta da una tale confusione, che abbandonò all’istante gli abiti mondani e si vestì di un sacco; aveva i capelli scompigliati, il volto coperto di fango, le mani tutte sporche, la testa coperta di cenere e di polvere, i vestiti tutti strappati, la bocca serrata. In questo misero stato, si va a gettare ai piedi del santo Padre (san Girolamo). Il santo padre e tutti coloro che furono testimoni di questo spettacolo, non riuscivano a resistere vedendo il triste stato in cui questa signora romana era caduta, a causa della sua ignoranza. Roma, continua questo Padre, faceva echeggiare le sue mura delle grida più laceranti, e sembrava voler condividere il dolore di questa grande penitente. Ella confessava pubblicamente il suo peccato, sempre versando un torrente di lacrime. Portò per tutta la vita i vestiti della penitenza; il suo dolore e il suo pentimento la seguirono fino alla tomba. Non contenta di tutto ciò, vendette tutti i suoi beni, che erano immensi, per vivere e morire nella più grande povertà. A questo punto vi sarete chiesti: quale è stata la causa di tutto questo? Ahimè! Il solo pensiero che un giorno le sarebbe stato intimato di andare a presentarsi davanti al tribunale di Gesù Cristo. Ella chiedeva a Dio la grazia di prolungarle di qualche giorno la vita, affinché avesse il tempo di fare penitenza. Ahimè! Gridava ad ogni istante, bisogna che io vada a comparire davanti al buon Dio; che ne sarà di me, se il mio peccato non sarà cancellato dalle lacrime e dalla penitenza? O felice penitenza! O lacrime salutari! Venite in mio aiuto: soltanto voi voglio come compagne per tutti i giorni della mia vita. Ahimè! Fratelli miei, ci dice il grande santo Giovanni Climaco, se il pensiero dell’eternità ha portato tanti santi a fare penitenze così straordinarie, quale sarà la nostra sorte, noi che non facciamo nessuna penitenza? Dio mio! Quanto sarà terribile la tua giustizia per questi poveri peccatori che non avranno nulla su cui appoggiarsi! “Ah! Amici miei, egli ci dice, ho visto dei penitenti in un luogo a cui non si può nemmeno pensare, senza versare lacrime; in un luogo, dico, sprovvisto di ogni aiuto umano, di ogni consolazione umana. Non c’era che oscurità, puzza e sporcizia; tutto era così spaventoso, che non lo si poteva vedere senza piangere di compassione. Questi nobili e santi penitenti non avevano in questo luogo né fuoco né vino, solo qualche radice e qualche pezzo di pane duro e nero che essi inzuppavano con le loro lacrime. Quando arrivai ci dice san Giovanni Climaco, in quel luogo di penitenza, che molto giustamente è nominato “soggiorno del pianto e delle lacrime”, vidi veramente, oserei dire, ciò che colui il quale trascura la sua salvezza, non ha mai visto, e ciò che colui che è pigro nei suoi doveri, non ha mai ascoltato, e ciò che il cuore di colui che cammina lentamente nella via della virtù, non ha mai potuto comprendere; poiché vi assicuro che ho visto delle azioni ed ho ascoltato delle parole, capaci di piegare la collera di Dio.


Fonte: http://preghiereagesuemaria.it/
 
Web  Top
0 replies since 29/11/2014, 14:41   2 views
  Share